TEANO

 
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S. Antonio
 
SANT'ANTONIO fede e folclore

Se si sosta sull'amena collina di S. Antonio all'ora del vespro, si vede defluire a fine messa dall'omonimo santuario un gran numero di fedeli: hanno espressioni meste, si appartano in piccoli crocchi per salutarsi un attimo e scambiarsi qualche impressione, sembrano tutti più buoni, ben disposti verso se stessi e gli altri, dopo poco vanno via alla spicciolata da quel luogo di culto che da secoli infonde conforto. Quanti di quei fedeli, tolti gli "addetti ai lavori", conoscono qualche notizia sulla storia del luogo? In effetti si sa molto poco sia della vita religiosa della Famiglia francescana del nostro convento che della sua edificazione e trasformazione nei secoli. Forse nell'osservanza della sobria Regola francescana agli stessi cronisti premeva più osservare il silenzio, perseguire l'umiltà che non assurgere alla ribalta delle cronache attraverso i secoli.
Dalla Cronica Francescana di Terra di Lavoro del 1818 di Padre Antonio da Nola apprendiamo che il convento fu ultimato nel 1428, appena un anno dopo che Martino V ne ordinò, con bolla papale, l'edificazione, affidandola a due monaci Francescani: Fra Martino di Campagna e Fra Nicola di Castellammare. Un nobile locale, Don Ludovico Galluccio, donò il necessario per la riuscita dell'opera: un vasto appezzamento di terreno per il convento e la chiesa, per l'orto, per il frutteto ed il bosco. Il nuovo cenobio fu dedicato a S. Antonio da padova: la tradizione tramandataci ancora da Frate Antonio da Nola riferisce che l'opera appena completata fu consegnata al glorioso S. Bernardino da Siena che fece scavare un pozzo nelle vicinanze della cucina (ancora oggi detto pozzo di S. Bernardino) per dissetare i frati. Questa tradizione, seppur suggestiva, non sembra corrispondere al vero: nel 1427 l'illustre predicatore sosteneva a Roma (ove restò fino alla fine di agosto) un processo per eresia intentato contro di lui, che, assolto, ritornò a Siena, di lì passerà a Ferrara e poi ad Urbino. Sappiamo invece da Padre Timoteo da Termoli che il Santo fu a Teano intorno al 1417 e forse a Rocca Monfina ove nel 1448 si edificherà una ltro convento della Famiglia Francescana.
Attualmente l'edificio è molto vasto, ma disorganico, costruito in diversi tempi con aggiunte al nucleo primitivo. Il convento antico è rimasto fortunatamente individuabile nel refettorio e nelle celle terranee che si aprono nel bellissimo chiostro impiantato su pilastri a fasci e volte a crociera con capitelli in stile gotico frammentario ornati con foglie di cardo, l'uso del tufo grigio locale a diverse sfumature dà all'insieme un aspetto pittorico molto suggestivo. La struttura era ad un solo piano coperta da terrazzo, fino agli inizi del secolo scorso erano ancora visibili, in qualche punto, la cornice romanica con canaletti di pietra per lo scorico dell'acqua piovana. L'architettura della chiesa che nasce accanto al chiostro è ad una sola navata con volte a tutto sesto, tre cappelle per lato fiancheggiano la chiesa, nei primi anni del secolo scorso le cappelle del lato destro furono trasformate in navata per aumentare la capienza. Dell'antica chiesetta non rimane che un frammento, una specie di cunicolo a sinistra di chi entra, appresso alla cappella di S. Antonio ove si possono ammirare affreschi, secondo alcuni, del quattrocento e vi si notano i Magi, l'Annunciazione e l'Eterno Padre. Dal 1508 il convento e la chiesa subirono radicali trasformazioni attraverso generose elargizioni di fedeli e in special modo delle rilevanti contribuzioni della nobile Lucrezia Martino De Carles, l'edificio fu ampliato e furono edificati i piani superiori. Nello stesso periodo ad opera della famiglia Galluccio, fu fatto costruire il ponte sul rio Messere spendendo 80 ducati "...che con pubblico istrumento lo si donò ai Frati...". Nel 1799 i Francesi del Generale Championnet incendiarono il convento e la chiesa, nell'incendio andò distrutta la splendida biblioteca donata ai Frati da Mons. Boldoni ed anche l'antica statua del santo andò bruciata, quella nuova, che è veramente molto bella, fu fatta scolpire in legno in Napoli dai Sig.ri Compagnone di Casi nel 1800. Da uno stato generale del 1849, conservato nell'archivio provinciale, la famiglia religiosa conta 24 frati dei quali 8 sacerdoti, 2 laici e 14 oblati. Nel 1856 P. Raffaele di Pozzuoli, allora ministro provinciale, scriveva "...che il convento aveva delle case in fitto in diversi paesi della Campania ad uso di ospizi per i laici questuanti e che vi si era ricostruita una importante biblioteca per la munificenza del Duca di Caianello...". Con la legge di eversione sulle congregazioni religiose del 1866 il Convento passò al demanio dello Stato dal quale fu ceduto al Comune di Teano. I frati ne furono espulsi, ma alcuni di essi, per attendere al culto della chiesa, vi furono sempre tollerati. Dopo più di 40 anni, per istrumento del notaio Giovanni Lucianelli, il convento, con annessi alcuni orti, fu riacquistato dai Frati, vi fu stabilita una regolare comunità religiosa con a capo un padre Guardiano: Fra Valentino Barile che dopo tanti anni di abbandono "...rinnovò i pavimenti, il refettorio, la cucina, pose a cultura l'orto e alberi da frutto, provvide la comunità di tutto quanto potesse abbisognare...".
In occasione della festa di Giugno dedicata al Santo ha luogo nei dintorni del convento, una fiera, un tempo molto rinomata e importante, fin dal 1700 l'amministrazione Borbonica contrattava sulla collina l'acquisto dei cavalli per l'esercito. Fino alla fine del XIX secolo era usanza, per l'occasione, nominare un Mastro di fiera appartenente alle famiglie nobili teanesi di II rango che aveva facoltà di reggere la giustizia per la durata della fiera. Oggi la fiera è molto scaduta, ha perso, ovviamente, le sue peculiarità antiche, ma non si è adeguata coi tempi, riducendosi ad una qualsiasi festa patronale con i soliti stand e una miriade di giostre, che senza rispetto per il luogo sacro e per il raccoglimento dei pellegrini, che pure giungono numerosi a venerare il santo, s'impiantano fino a pochi passi dalla porta del santuario. E' veramente singolare il seguito di fedeli che questo santo taumaturgo accoglie su questa collina per gli appuntamenti liturgici durante tutto l'anno. Sulla celebrità del luogo e del culto di S. Antonio ci affidiamo ancora al nostro cronista Padre Antonio da Nola "...qui innumera ibidem operatur miracula... vi concorrono non solo dalla città; ma da lontani paesi li devoti ad offerire voti al glorioso S. Antonio da Padova di cui vi è una antica e miracolosissima statua per la quale l'onnipotente opera infiniti prodigi, talché il far prodigi par lì sia fatto usuale. In tutte le ore del giorno si vedono affollati nella sua cappella li bisognosi... o afflitti da passioni o perseguitati da disgrazie... e nessuno se ne parte scontento...".
La moltitudine dei fedeli che segue in processione la statua del santo la sera del 12 Giugno è veramente imponente: quando la croce con le confraternite che aprono la via è già sotto la "Crocella" su per la collina la gente stenta ancora a defluire per porsi in seguito. Essa percorre lunghe ed inpervie vie ed a volte il suo svolgimento si tinge di tinte forti: la Statua è circondata da portatori che si danno il cambio, essi rappresentano un po' i pretoriani del Santo per quella occasione. Sul ponte che collega la città alla collina, i parrocchiani di Casi consegnano il Santo ai portatori della città, a volte si registrano poco edificanti bisticci nello stabilire, al centimetro, quale sia l'esatta linea di confine per la consegna e la riconsegna della statua. Non mancano, a seguito della processione, le matrone che intrattengono col Santo quasi un rapporto confidenziale e non è difficile sentirle "alluccare" improperi per propiziarsi la grazia, vi è un allucco interessante, che specialmente fra gli abitanti di Casi ricorre spesso, per il suo significato non solo folcloristico ma finemente psicologico: "... Sant'Anto' i te cunoscu piru..." il riferimento è chiaramente fatto al tronco di pero proveniente dagli orti di Casi e servito a scolpire la statua.. L'alluccata nel significatoi propiziatorio è chiarissima: "io ti conosco fin da quando eri un albero di pero, (se possibile conosco i tuoi segreti, i tuoi difetti) a me non puoi dire di no! devi esaudirmi!". Fin dai popoli primitivi una processione, oltre ad essere un corteggio che accompagna il simbolo da propiziarsi, è sempre stata una esaltazione del sentimento religioso - sociale del gruppo, ove si potenzia al massimo il sentimento individuale. Per quanto riguarda il cristianesimo esso ha già trovato l'uso delle processioni sia presso gli Ebrei che presso i pagani/Romani e lo ha mantenuto nelle proprie liturgie per esaltare la gloria di Dio ed eccitare la pietà collettiva dei fedeli.
Dal punto di vista architettonico, oggi la facciata del convento e della chiesa in particolar modo si ammanta di una veste barocca tendente ad effetti scenografici che poco richiamano la funzionale semplicità Francescana. La struttura precedente all'ultimo rifacimento del 1925, a guardarla, dà, in effetti, all'animo quel senso di aspettativa di pace cui ogni pellegrino anela alla ricerca di un ricovero non tanto più fisico, oggi, quanto spirituale.
Da qualche decennio il Santuario sta tornando ad essere un importante centro di coinvolgimento sociale e di iniziative pastorali ad opera dell'attuale guardiano P. Giuseppe Cianci. Anche l'attenzione verso la cura di tutta la struttura sta attraversando un periodo di grossa operosità, percorrendo i corridoi e girando per i giardini si è pervasi da un senso di pulizia e di ordine, per questo non si può dire che fa onore anche a quanti prestano volontariamente la propria opera. Così i terreni che furono degli orti e dei frutteti sono diventati giardini "all'inglese" ben rasati innaffiati e squadrati con il vezzo di nascenti aiuole e qualche accennato parcheggio. Nei muri, che sorreggono le socce ben rifiniti e inframmezzati di reperti archeologici, non si scorgono più ricoveri per le lucertole ove possano meriggiare all'ultimo sole d'ottobre. Chi sa che quella pace che sarebbe potuta scendere, all'insaputa, nell'animo, lieve come la neve, fra pruni, meli, fra qualche viale di bianchi gigli, un gruppo di crisantemi in un angolo ed un muro con sopra cocci di bottiglie a proteggere il silentium, non abbia lasciato, nei cuori, un po' di nostalgia. Certo i tempi sono cambiati e con essi anche i modi di poter vivere la regola e se oggi, lontanissimi dalle dispute iconoclastiche, è permesso di poter fare commercio di santini, oltre che pregarli, noi sappiamo che ogni cosa è fatta a fin di bene: aiutare discretamente i bisognosi, consigliare e sorreggere i deboli, mantenere opere e strutture che permettano la predicazione del Vangelo, così che la via è aperta, la missione continua e Francesco certo ne sarà contento.

Carlo Antuono
(da Il Sidicino - Anno V 2008 - n. 7 Luglio)

 
 

 
IL CHIOSTRO
 

Il convento e la chiesa extra moenia di S. Antonio, sulla collina omonima a circa un chilometro dalla città, furono edificati tra il 1412 e il 1448 su committenza di Ludovico Galluccio e Giovanni Antonio Marzano.
Dell’impianto originario della chiesa non rimane quasi più nulla, ma si conserva in modo mirabile il bellissimo chiostro a quattro lati, il cui impianto architettonico è analogo a quello dei conventi francescani di Casanova di Carinola, Mondragone e Sessa.
Il chiostro di Teano, nonostante la superfetazione in falso gotico del primo piano, conserva su tutti i quattro lati le volte a crociera ogivali poggianti su splendidi capitelli decorati da motivi vegetali e zoomorfi posti su pilastri polistili. La ricca decorazione, intagliata nel tufo locale usato anche per i pilastri, rivela reminescenze tardo gotiche, ascrivibili con molta probabilità ad una officina di alto livello proveniente dalla stessa capitale del regno, Napoli.
A tale proposito, il prof. Massimo Rosi, uno dei massimi conoscitori dell’architettura rinascimentale catalana nel Sud Italia, attribuisce a Guillem Sagrera la realizzazione del chiostro.
Le volte poggiano sulle pareti di fondo su peducci finemente intagliati e le lunette conservano un ciclo di affreschi del XVII secolo.
Tutt’altra situazione si riscontra per i portali polistili posti all’interno dei corridoi del chiostro, i quali per l’incorniciatura a giogo con peducci pensili poggianti su capitelli floreali, nella triplice incorniciatura del vano porta, e nelle esili colonnine laterali, si avvicinano alle forme dei pilastri e delle cornici di palazzo Marzano a Carinola.
Negli ultimi tempi il convento è stato oggetto di una serie di interventi di ristrutturazione che hanno interessato sia la chiesa sia il chiostro, ed anche il bellissimo refettorio d’impianto quattrocentesco, rivestito da maioliche del XVII secolo. I lavori sono stati estesi anche all’area del giardino inclusa nelle mura di recinzione del convento e posta a nord ovest del complesso.

                                  (Italia Nostra) da “continua la devastazione dei nostri monumenti”
(da Il Sidicino - Anno VI 2009 - n. 8 Agosto)

(foto di Mimmo Feola)