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Indice Franco Pezzella
 
 
I dipinti di Gaetano Gigante in alcune chiese
dell'agro sidicino-caleno (I parte)
 
Fig. 1 Pietravairano, Ch. S. Maria della Vigna
Assunzione di Maria Vergine
 

Gaetano Gigante (Napoli 1770-1840), padre dei più celebri Giacinto ed Achille - l’uno cofondatore della Scuola di Posillipo, l’altro rinomato disegnatore e acquafortista nonostante la morte lo avesse precocemente ghermito a solo ventitré anni - è figura di artista napoletano noto soprattutto come paesaggista e pittore di genere, avendo rappresentato, prevalentemente, nelle sue opere (oltre duemila, tra oli, acquarelli, disegni e mezze tempere), paesaggi, costumi, tarantelle, eventi storici e scene popolari tra cui le conosciutissime e apprezzate Festa della Madonna dell’Arco e Ritorno dalla festa della Madonna dell’Arco (conservate entrambe a Napoli, nel Museo di S. Martino).
Tuttavia, paradossalmente, proprio la predilezione per la pittura di paesaggio e di genere rappresenta anche uno dei motivi per cui la storiografia artistica antica e moderna gli ha attribuito un ruolo marginale rispetto ai suoi congiunti e colleghi. Pesa particolarmente in proposito, anche il severo giudizio di Consalvo Carelli, pittore e patriota tra i maggiori esponenti della “Scuola di Posillipo” e suo contemporaneo per più di un ventennio, il quale, in uno scritto in memoria del padre Giacinto Gigante (La Pinacoteca Reale di Capodimonte G. Mancinelli e G. Gigante, Napoli 1877), lo etichetta «mediocre pittore, ma ottimo affrescante pel prestigio del colorito» non mancando, tuttavia, di osservare che «atteso i tempi, la sua numerosa famiglia e la povertà, non poté conseguire quegli studi che s’addicono ad un pittore monumentale e di scienza; e forse con migliori mezzi sarebbe salito ad alta fama».
Eppure, la produzione artistica del primo periodo (quella subito dopo l’emancipazione dalla bottega del pittore puteolano Giacinto Diano, suo maestro), ma anche quella a cavallo tra il secondo e terzo decennio dell’Ottocento, fu improntata quasi esclusivamente alla realizzazione di dipinti d’arte sacra di discreta qualità, come attestano in merito diverse sue opere per la cattedrale di Lanciano (Madonna col Bambino tra i santi Andrea Avellino ed Emidio, 1794), per alcune chiese dell’agro sidicino-caleno (a Pietravairano e Vitulazio), per la chiesa di Santa Maria di Caravaggio di Napoli (La Natività della Vergine, f. e d.1806), e per la basilica di Santa Maria di Piedigrotta, sempre a Napoli, dove tra il 1818 e il 1824 affrescò con Scene mariane, Angeli con simboli della Passione di Cristo, Figure allegoriche e Profeti le volte della chiesa e dei due cappelloni laterali, nonché i pennacchi della cupola con le figure dei Quattro Evangelisti.
Torna conto a questo punto illustrare la produzione del Gigante per le chiese dell’agro sidicino-caleno, in primis l’Assunzione di Maria Vergine (fig. 1) che troneggia sulla parete alle spalle dell’altare maggiore della chiesa di Santa Maria della Vigna a Pietravairano, già officiata dai domenicani dell’attiguo convento fino al 1809, quando i religiosi furono espulsi per ordine di Gioacchino Murat, e poi, dal 1828 fino a qualche decennio fa, dai francescani. Nella tela, di grandi dimensioni (cm. 400x220), è rappresentato un soggetto molto prediletto dagli artisti, i quali, in ogni tempo, sia pure con diversi accenti ed emotività che hanno dato esito a vari archetipi, lo hanno rappresentato in dipinti, disegni e sculture: il momento in cui, secondo svariate e antiche tradizioni cristiane, la Vergine Maria, completato il corso della sua vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo; così come recita, d’altronde, il dogma proclamato da papa Pio XII il 1⁰ novembre del 1950 con la costituzione apostolica Munificentissimus Deus.
L’iconografia adottata dal Gigante è quella riconducibile alla grande tavola realizzata, nel 1516 da Tiziano Vecellio in Santa Maria dei Frari a Venezia che vuole i dodici apostoli riuniti intorno all’urna sepolcrale mentre - chi stupito, chi con le braccia sollevate - alzano lo sguardo verso la Vergine condotta in cielo su una nube da uno stuolo di angeli osannanti. Ad ogni buon conto, la pala, firmata per esteso in basso a sinistra e collocabile cronologicamente alla fine del Settecento, si presenta fortemente corrispondente, nell’impianto formale e nella resa cromatica, all’analoga tela dipinta nel 1770 dal suo maestro Giacinto Diano per l’altare maggiore della chiesa di Santa Maria Maggiore in Santa Maria Capua Vetere. Ancorché priva dello sfondo architettonico classicheggiante che connota, fortemente, la pala sammaritana, la tela del Gigante denota, infatti, compiutamente - nel calibrato impianto compositivo a vortice, nelle forme nitide, nei toni pastello rosso, azzurro, verde, giallo, rosa e marrone, nonché nella diffusa luminosità - la lezione del pittore puteolano.

Franco Pezzella
(da Il Sidicino - Anno XXI 2024 - n. 5 Maggio)