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Indice Franco Pezzella
 
 
I costumi dell'Agro sidicino-caleno nelle testimonianze /
figurative del Settecento e del primo Ottocento (I parte)
 
Fig. 1 Firenze, Museo di Palazzo Pitti,
A. D'Anna, Uomo e donna di Marzano
 

La pittura di costume ovvero «la rappresentazione dei modi e delle diverse fogge del vestire popolare» costituisce uno dei filoni più ricchi della produzione artistica napoletana dei secoli XVIII e XIX. Stanno a testimoniarlo la grande varietà di dipinti, incisioni, disegni, litografie e fogli a stampa, prodotti da artisti locali e anche da artisti stranieri in risposta alle numerose richieste di collezionisti e viaggiatori che in quegli anni raggiungevano il regno di Napoli nel corso del “Grand Tour”. A introdurre la stampa di costume nel regno di Napoli era stato, nella seconda metà del Settecento, un artista di probabile origine inglese, Pietro Fabris, autore, nel 1773, di una Raccolta di varij Vestimenti ed Arti del Regno di Napoli, patrocinata da un nobile anch’egli inglese, sir William Hamilton, ambasciatore presso la corte borbonica e noto geologo e raccoglitore d’antichità dell’epoca.
La Raccolta che il Fabris aveva realizzato trasponendo su rame le «amabili figurine» popolari dipinte in precedenza era costituita da 35 tavole illustrate prevalentemente con rappresentazioni di brani di vita con figure colte per strada, nelle loro attività quotidiane. All’opera del Fabris guarderanno, più tardi, a far data dal 1782 - prima il palermitano Alessandro D’Anna e Antonio Berotti (subentrato al leccese Saverio Della Gatta dopo una sua pressoché subitanea rinuncia) e poi di nuovo il Berotti e Stefano Santucci dopo l’abbandono anche del D’Anna - allorquando saranno incaricati da Ferdinando IV, di documentare con una serie di gouache (termine francese, altrimenti traducibile in italiano con la parola guazzo, con cui si indica un dipinto realizzato con colori a tempera resi più pesanti ed opachi con l’aggiunta di biacca o gesso e gomma arabica al fine di ottenere un colore più coprente e più opaco) «le fogge del vestire in uso del suo regno». Numerose sono, infatti, le analogie tra le incisioni del Fabris e le gouaches realizzate soprattutto dal D’Anna, come è dato vedere mettendo a confronto alcuni bozzetti del primo (Napoli, Museo di San Martino) e le corrispondenti gouaches realizzate dal D’Anna nel 1785 e negli anni seguenti, attualmente conservate a Firenze tra i depositi di Palazzo Pitti e Villa Petraia.
Scopo della ricognizione ordinata dal sovrano, passato alla storia con il poco lusinghiero epiteto di “re lazzarone” per le sue inclinazioni popolari e che, tuttavia, al di là della propria scarsa cultura, mostrò sempre e comunque un profondo interesse meramente etnografico per le popolazioni del proprio regno, era, nelle mire del marchese Domenico Venuti, direttore della “Real Fabbrica di Porcellane” della città partenopea e vero ispiratore dell’impresa, la realizzazione di un vasto corpus di illustrazioni da utilizzarsi come modello per la decorazione dei nuovi servizi da tavola che il marchese aveva in animo di realizzare per la corte, di cui uno poi effettivamente composto e noto come “1° Servizio delle Vestiture”. In un primo momento, come si accennava, il compito fu affidato, dopo regolare concorso presieduto dallo stesso Ferdinando IV, ai pittori Saverio della Gatta e Alessandro D’Anna, già esperti nella riproduzione dei costumi, poi sostituiti in seguito perché rinunciatari, il primo da Antonio Berotti (quest’ultimo, cognato del D’Anna, partecipò praticamente, fin dall’inizio all’impresa, che durò ben quindici anni), il secondo (dopo qualche anno) da Stefano Santucci. La prima provincia a essere visitata, dal febbraio al giugno del 1783, fu, come testimoniano i numerosi dispacci reali conservati nell’Archivio di Stato di Napoli, quella di Terra di Lavoro. Al termine della ricognizione, D’Anna e Berotti, affiancati da alcuni collaboratori, realizzarono un congruo numero di tempere, ben 56, ognuna incorniciata da un passe-partout e fornita di una didascalia, di cui alcune raffiguranti Uomo e donna di Marzano, Donna della Torre di Francolisi (l’attuale Francolise), tutte e due firmate e datate da Alessandro D’Anna rispettivamente nel 1785 e 1786, Uomo e donna di Tiano Sidicino e sua veduta che, sebbene non firmata né datata, è da attribuire allo stesso D’Anna o in altra ipotesi ad Antonio Berotti o al loro maggiore collaboratore, Francesco Progania. Circa la presenza delle gouaches nell’istituzione museale fiorentina va ricordato come in passato Palazzo Pitti fosse stato la sede della reggia di rappresentanza delle varie dinastie succedutesi attraverso i secoli nel governo del granducato di Toscana, tra cui quella degli Asburgo-Lorena, cui una prima serie di tempere era stata loro donata nel 1790 da Ferdinando IV di Borbone e dalla consorte Maria Carolina d’Austria - unitamente a diciotto biscuit con costumi del regno di Napoli di cui daremo conto più avanti - durante la loro permanenza a Firenze in occasione del viaggio di nozze.
La prima di queste gouaches, Uomo e donna di Marzano (fig.1), raffigura una coppia di contadini intenti a smerciare i prodotti del loro campo, forse delle granaglie, e delle ciambelle, deposte, le une in un sacco rigato, le altre in una cesta. Le figure, eseguite con molta plasticità, hanno un impianto piuttosto robusto e massiccio: l’uomo, il capo coperto da un cappello scuro a falde piane e larghe, un bastone nella mano destra, indossa un ampio mantello di fustagno scuro sotto il quale, all’altezza del busto, s’intravede una camiciola e un fazzoletto bianco che gli avvolge il collo; parimenti la donna, con in testa una mantellina che le copre anche le spalle fino alla vite, indossa un ampio mantello scuro sotto il quale si scorgono, appena, le maniche di una camiciola e una sottana bianca. Entrambi, calzano delle scarpe. Sullo sfondo, preceduto da una folta boscaglia, si delinea la sagoma del castello di Terracorpo, appartenuto alla potente famiglia dei Marzano, una delle sette grandi casate nobiliari del regno di Napoli da cui deriva anche il toponimo moderno del paese. La coppia, com’era nei programmi del Venuti, fu raffigurata quasi nell’identico modo, fatto salvo qualche piccolo particolare (vedasi la rappresentazione del castello di Terracorpo e quella della boscaglia nella parte anteriore, riprodotte un po’ più articolate) in uno dei piatti che compongono il sopracitato 1° Servizio delle Vestiture, ora in collezione privata svizzera (fig. 2). L’immagine ritorna, ancora, su una tazza, parte integrante con il sottostante piattino decorato con la rappresentazione della Donna di Bosco (Boscotrecase o Boscoreale) di un importante Solitaire, anch’esso attualmente in mani private, prodotto dalla stessa Real Fabbrica di Porcellane parallelamente al 1° Servizio delle Vestiture (fig 3), nonché in un’analoga tazza che si conserva nel Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza (fig.4). Come anche, la sola rappresentazione plastica della figura della Donna di Marzano entrò a far parte, con altre diciassette analoghe statuine, del cosiddetto completo da dessert, oggi conservato nel Museo degli Argenti a Palazzo Pitti, il quale, concepito per la decorazione della tavola, accompagnava lo stesso “1° Servizio delle Vestiture” (fig.5). Le diciotto statuine in biscuit, alte fra i 28 e i 32 cm., furono modellate, intorno al 1785, sulla falsariga delle riproduzioni utilizzate per le Vestiture dallo scultore e ceramista umbro Filippo Tagliolini, trovando collocazione su un sostegno piramidale anch’esso in biscuit (termine francese con cui si indica una porcellana senza rivestimento, d’apparenza bianca ed opaca, simile al marmo, così detta perché ricordava i dolcetti in zucchero candito tipici della pasticceria continentale europea, i biscuit appunto) che erano posti a centrotavola durante i pranzi e le cene di gala. È ipotizzabile che a questo centro tavola, il quale al momento costituisce ancora un unicum, facessero da pendant uno o più analoghi esemplari con i personaggi maschili e i restanti costumi che costituivano l’intera serie dei “Vestimenti”. Un modello pressoché identico di questa statuina è conservato, unitamente ad altri della serie, nel Museo delle Porcellane di Doccia di Sesto Fiorentino (fig.6). Per quanto contrassegnati da marchi borbonici si tratta, però, probabilmente, di manufatti realizzati da maestranze locali intorno al 1830, con forme acquistate dalla fabbrica napoletana, compreso il diritto all’uso dei marchi. Del resto, ancor prima, tra il 1791 e il 1792, diverse gouaches realizzate dal D’Anna e dai collaboratori, tra cui quella dell’Uomo e donna di Marzano, erano state utilizzate, finemente incise in rame e colorate a mano da Secondo Bianchi, Antonio Zaballi e Giuseppe Morghen, quali modelli per illustrare ben 60 tavole che, prima circolarono sciolte a Roma e poi, ottenuto i diritti per la pubblicazione, furono inserite in un elegante volume denominato Raccolta di Varie vestiture che si costumano nelle Città, Terre e Paesi in Provincie diverse del Regno di Napoli edito a Napoli da Nicola Gervasi e Vincenzo Talani nel 1793 (fig.7). L’incisione in oggetto porta la firma di Secondo Bianchi.
Nella seconda tempera di sicura autografia del D’Anna, giacché firmata in basso a sinistra, l’artista ci propone una vivace rappresentazione della Donna della Torre di Francolisi mentre, in compagnia di un ragazzo, sta per recarsi dalla campagna al paese per vendere al mercato tre agnellini che fanno capolino da una cesta deposta sulla sua testa (fig.8).

Franco Pezzella
(da Il Sidicino - Anno XXI 2024 - n. 2 Febbraio)

Fig. 2 Svizzera, coll. privata,
A. D'Anna, Uomo e donna di Marzano
Fig. 3 Svizzera, coll. privata, Solitaire
Fig. 4 Faenza, Museo Internazionale delle Ceramiche
Fig. 5 Firenze, Museo degli Argenti di Palazzo Pitti,
F. Tagliolini, Donna di Marzano
Fig. 6 Sesto Fiorentino,
Museo delle Porcellane di Doccia,
Maestranze fiorentine,
Donna di Marzano (da F. Tagliolini)
Fig. 7 S. Bianchi, Uomo e donna di Marzano
Fig. 8 Firenze, Museo di Palazzo Pitti, A. D'Anna,
Donna della Torre di Francolisi