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L'arte perduta: il pannello maiolicato della
Madonna delle Grazie a Vairano Patenora
 
Foto di Mimmo Feola
 

Le edicole votive maiolicate rappresentano - alla pari di quelle affrescate o dipinte indifferentemente su tavola o su tela, ovvero di quelle realizzate in bassorilievo quanto non anche con piccole sculture di legno oppure in gesso, inserite o meno all’interno di strutture architettoniche - un’ennesima sentita testimonianza del rapporto dell’uomo con il sacro. Note fin da XVII secolo - la più antica ad oggi conosciuta è costituita da una mattonella risalente al 1627 presente a Raito, in Costiera amalfitana, che riproduce Cristo in croce con ai lati i santi Antonio da Padova e Francesco d’Assisi - le edicole maiolicate hanno come origine giustappunto le faenzere della contigua Vietri sul Mare, dalla quale si diffusero ben presto prima in Costiera e poi in tutta la Campania. Collocate in genere sulle facciate delle abitazioni, talvolta nei cortili o sui balconi, altre volte alla confluenza delle strade, le edicole nascevano e nascono ancora tuttora, seppure più raramente, per opera dei singoli o di una collettività - ponendosi, peraltro, in questa ultima evenienza, come ulteriore elemento di aggregazione della compagine che vive nel vicinato - in risposta ad un bisogno di protezione o anche, più spesso, come voto per una grazia ricevuta. È il caso quest’ultimo, del prezioso pannello maiolicato ottocentesco (ahimè rubato nel 2017 e sostituito adesso da una copia moderna) ubicato sul muro di cinta dell’antico convento di Sant’Agostino a Vairano Patenora all’interno di un’edicola costituita da un portale trilobato a sesto acuto, in stile gotico, proveniente da un palazzo o da una chiesa del posto, sulla cui sommità ancora svetta lo stemma araldico della famiglia De Capua, prima feudataria del paese, a partire dal 1305, con Bartolomeo, logoteta e gran protonotario del Regna di Napoli. Rinviando il gentile lettore interessato a conoscere la manifattura e l’originaria collocazione del portale medievale all’esauriente studio stilato in proposito da Francesco Miraglia e Corrado Valente per il convegno “Ethnos Archeologia e arte nel territorio di Vairano Patenora fra preistoria ed età moderna” tenutosi nella sala consiliare del comune il 14 novembre del 2015 (i cui atti sono stati pubblicati nello stesso anno a cura di Adolfo Panarello dall’editore Armando Caramanica), qui ci preme dare, piuttosto, qualche ragguaglio sugli aspetti più propriamente devozionali ed iconografici del manufatto: notazioni che, per evidenti e giustificati motivi di opportunità, mancano nel suddetto saggio. Una narrazione del dottor Alberto D’Arezzo, lontano parente del protagonista dell’episodio che stiamo per riassumere, riportata, quasi alla lettera, dal cavaliere Gerardo Zanfagna nel suo “Vairano tra storia e leggenda” edito nel lontano 1986 dal comune, descrive, con dovizia di particolari, l’accaduto che fu all’origine della realizzazione, nel 1852, della edicola dedicata da tale Luigi Cortellessa alla Madonna delle Grazie, come si leggeva, e si legge tuttora sulla copia moderna, in calce alla maiolica (S. MARIA DELLE GRAZIE/A DIVOZIONE DI LUIGI CORTELLESSA A.D. 1858). Narra dunque il cavaliere Zanfagna - non prima di averci ragguagliato sull’apparato di sicurezza messo in atto all’epoca dal governo borbonico per contrastare i fuorilegge (ora i briganti che infestavano le campagne, ora i carbonari che anelavano all’Unità d’Italia, ora, ancora, i delinquenti comuni), attraverso la formazione, anche a Vairano Patenora, di un presidio della cosiddetta Guardia Nazionale, della quale il Cortellessa era parte attiva - che costui, una notte, mentre in compagnia di un commilitone effettuava un giro di ricognizione, giunto nei pressi del convento di Sant’Agostino, s’imbatté in un famigerato brigante. Istintivamente imbracciò il suo fucile ad avancarica, lo puntò contro il brigante e, presa la mira, sparò. Inaspettatamente, l’arma s’inceppò, fortuna volle, però, che il brigante non se ne avvedesse e scappasse a gambe levate. Fu così che il Cortellessa, molto devoto, una volta tornato a casa, scosso ma grato per lo scampato pericolo, viepiù per non essere stato costretto, pur nell’adempimento del proprio dovere, ad ammazzare un uomo, si pose in preghiera davanti ad un’immagine della Madonna e, convinto di aver ricevuto una grazia, si ripromise di edificare un’edicola dedicata alla Vergine con questo appellativo nei pressi del luogo dove era avvenuto l’increscioso incontro.
Il titolo di Madonna delle Grazie con cui viene spesso invocata la Vergine affonda le proprie origini nel noto episodio evangelico delle Nozze di Cana descritto da Giovanni (2,1-11), laddove l’evangelista racconta che, mentre Maria partecipava con Gesù e i suoi discepoli a delle nozze in Galilea, venuto a mancare il vino, pregò il figlio di provvedere, sicché Gesù, ordinato che fossero riempite di acqua sei grandi giare, le benedisse trasformando l’acqua in vino. La Madonna delle Grazie incarna pertanto l’intermediaria misericordiosa, colei che, in virtù della propria nascita immacolata e del suo essere la madre di Gesù, si è assunta il compito di invocare Dio nei momenti di bisogno dell’uomo. In questa accezione, il culto della Madonna delle Grazie ha conosciuto una diffusione vastissima. Per quanto concerne l’iconografia della Vergine con questo titolo, la tradizione la raffigura, generalmente, con la veste rosata e il manto blu mentre seduta su una nuvola allatta il Bambino, ma talvolta anche con il Bambino ritto sulle ginocchia mentre due putti angelici o lo stesso Bambino le pongono una corona di regina sulla testa. Altre volte, invece, soprattutto nelle raffigurazioni più antiche e in Italia meridionale, in particolare in Campania, la troviamo raffigurata nell’atto strizzarsi uno dei seni per fare fuoriuscire il latte con il quale bagnare le anime purganti sottostanti in attesa di refrigerio. Similmente fa il Bambino con l’altro seno. Del resto, san Bernardino da Siena, nella prima delle sue prediche cosiddette volgari che tenne nel 1427 in Piazza del Campo (quella del 15 agosto), nel propugnare il potere della Madonna come mediatrice di tutte le Grazie la definiva «fontana misericordiosa in cui posa ciascuna virtù, e da cui vengono tutte le grazie».
La maiolica di Vairano Patenora - rappresentata su ben 48 mattonelle o riggiole (come vengono comunemente denominate in dialetto napoletano) opportunamente conformate al profilo dell’arco - riprende, semplicemente, quella che è l’immagine più popolare della Madonna delle Grazie, vale a dire raffigurata, coronata e su un groppo di nubi, nell’atto di indicare ai fedeli il Bambino Gesù, il quale, coronato anch’egli e ritto sulle sue ginocchia, le porge una carezza con la mano destra mentre con l’altra mano regge il globo terrestre sormontato da una croce: un’immagine questa utilizzata, peraltro, per la realizzazione dei cosiddetti “santini”, ossia di quelle piccole riproduzioni a stampe che su un lato riproducono la figura di un santo o di un altro soggetto sacro, e sull’altro recano, invece, una preghiera o una formula di invocazione. Un’ultima annotazione per ipotizzare che la maiolica fu verosimilmente prodotta da una delle varie manifatture partenopee (Giustiniani, Massa, Chianese, Colonnese, Del Vecchio, Mollica, Maurino, Migliuolo) o vietresi (Tajani, Punzi, Sperandeo), ovvero cerretesi (Giavanti, Teta) quanto non anche arianesi, attive nell’Ottocento nella nostra regione, di cui, purtroppo, in assenza di marchi, diventa difficoltoso indicare la provenienza.

Franco Pezzella
(da Il Sidicino - Anno XX 2023 - n. 10 Ottobre)