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L'arte perduta: l'Assunta di Giuseppe Simonelli
nella chiesa di S. Francesco a Teano
 
Fig. 1 Il dipinto del Simonelli in una foto d’epoca
 

Durante il II conflitto mondiale, il territorio di Teano costituì il fulcro della cosiddetta linea difensiva fortificata denominata “Barbara”, approntata nell’autunno del 1943 dall’esercito tedesco durante la campagna d’Italia, che correva, nel tratto casertano, da Mondragone fino al Monte Cesima, nel territorio di Presenzano. A causa della sua posizione strategica, l’abitato di Teano fu oggetto, il 6, il 22 e il 29 ottobre 1943, di violenti bombardamenti americani che provocarono, secondo l’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra, oltre 124 vittime tra i teanesi e gli sfollati che dal Napoletano avevano trovato riparo nella cittadina, nonché numerosi morti tra i militari tedeschi ricoverati presso una struttura ospedaliera allestita nella chiesa di Santa Reparata. Alla dolorosa perdita di tante vite umane si accompagnò quella non meno dolorosa dell’ingente perdita di una buona parte del patrimonio storico artistico e architettonico della città: dalla cattedrale romanica (poi ricostruita da Roberto Pane nel dopoguerra) al complesso monastico di Santa Maria de Foris, dalla chiesa barocca dell’Annunziata alla chiesa di San Francesco. In particolare, quest’ultima subì solo - per una fortunosa circostanza che impedì ad una bomba di esplodere dopo aver centrato il tetto - la distruzione con annessa cornice del dipinto sottostante, raffigurante l’Assunta, capolavoro del pittore napoletano Giuseppe Simonelli (Napoli 1650-1710), uno degli allievi più quotati di Luca Giordano.
Il dipinto era posto al centro di un prezioso soffitto ligneo scampato per buona sorte alla distruzione, fatto salvo alcuni elementi poi ripristinati nel 1955 grazie all’interessamento del rettore della chiesa don Giuseppe Iannuccilli e della Soprintendenza ai Monumenti della Campania. Sicché la volta si presenta ancora ora decorata con cassettoni ottagonali che si distribuiscono su un fondo riproducente un campo fiorito, ognuno dei quali accoglie, nel mezzo, un rosone in oro zecchino. Grazie ad una rara pallida fotografia d’epoca, pubblicata nel 1930 sul vol. 7 della nota raccolta editoriale Attraverso l’Italia Illustrazioni delle regioni italiane curata dal TCI, sappiamo che il dipinto era strutturato, secondo uno dei modelli correnti del tema in età barocca, con un’immagine giovanile della Vergine, mentre, sospesa nell’aria, volgeva, con le mani giunte, l’espressione assorta e un sorriso appena abbozzato, il suo sguardo ad un nugolo di angeli che, impugnando alcuni simboli tratti dalle prefigurazioni veterotestamentarie in parte assimilate dalle Litanie lauretane, volteggiava ai suoi piedi.
Una preziosa testimonianza questa che ci permette, peraltro, a ragione dell’assenza di alcuni specifici connotati iconografici con cui era ed è tuttora solitamente raffigurata l’Immacolata Concezione, di confermare che si trattava di una rappresentazione dell’Assunta e non già della Vergine Immacolata come ancora riportano alcune pubblicazioni locali. È oltremodo noto che questa ultima iconografia fu codificata nel 1649, sulla scorta di quanto già asserito da san Bonaventura nel XIII secolo, da Francisco Pacecho del Rio, pittore, scrittore e censore artistico dell’Inquisizione, nel suo famoso trattato El arte de la pintura, dove si specificava, a chiare lettere, che i caratteri essenziali dell’Immacolata erano quelli della «donna incinta dell’Apocalisse vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle» (Apocalisse, 12, 1). Pertanto, secondo gli iconografi, la figura dell’Immacolata andava rappresentata come quella di una giovanetta vestita di bianco e con il mantello azzurro, il capo circondato da una corona con le dodici stelle, simbolo delle tribù d’Israele, le mani sul petto o giunte in preghiera, mentre era nell’atto di schiacciare la testa di un serpente, incarnazione del male; e di più doveva essere cinta in vite dal cordone francescano a tre nodi, emblema delle virtù morali della castità, della povertà e dell’obbedienza, cioè della pienezza della Consacrazione, mentre la luna doveva essere rappresentata in fase crescente con le punte rivolte verso il basso (antico simbolo di castità). Elementi che, a ben vedere, mancavano quasi del tutto nel dipinto in esame. Va tuttavia evidenziato, che spesso, specie nelle rappresentazioni del passato, le due immagini si scambiano o addirittura associano o fondono atteggiamenti e particolari iconografici, come il colore delle vesti e la direzione dello sguardo verso l’alto, dando adito a qualche confusione.
L’Assunta di Teano va inquadrata nel novero dei dipinti realizzati dal pittore napoletano allorquando, dopo un lungo rapporto di collaborazione con Luca Giordano, durato pressoché ininterrottamente sino al momento in cui il maestro lasciò Napoli per trasferirsi in pianta stabile a Madrid presso la corte di Carlo II, si affacciò sulla scena artistica meridionale, imponendosi da subito come uno dei divulgatori più validi del barocco di marca giordanesca, prima a Napoli (a partire dall’ultimo decennio del secolo) e poi in provincia (nel decennio successivo) realizzando numerose opere sacre. In questa sede, a ragione degli spazi limitati, ci limiteremo solo ad osservare che esiti della sua attività napoletana, si ritrovano nelle chiese di S. Maria della Speranza, S. Maria del Rosario alle Pigne, ai Girolamini, a S. Maria di Donnaromita, ai SS. Marcellino e Festo, a S. Caterina a Formiello S. Gregorio Armeno, S. Giovanni Battista delle Monache, S. Maria di Montesanto, S. Carlo alle Mortelle, al Gesù Nuovo, a S. Nicola da Tolentino, alla Redenzione dei Cattivi, al Rosario di Palazzo, a S. Maria del Carmine e a S. Anna dei Lombardi. La sua attività produzione in provincia si svolse, invece, oltre che lungo le direttrici campane (Benevento, Avellino, Somma Vesuviana, Torre del Greco, Padula, Procida, Forio d’Ischia), in area lucana (Aliano, Cirigliano, Marsico Nuovo, Brienza, Rotonda), pugliese (Lecce) e abruzzese (Sulmona), interessando, in particolare, nel versante di Terra di Lavoro, soprattutto la città di Aversa, dove dipinse, in collaborazione con il fratello Gennaro, ben 28 tele per le cappelle laterali e il transetto della chiesa dell’Annunziata, il Sant’Agostino in gloria per l’omonima chiesa, l’Apparizione della Vergine a san Liborio per la chiesa di San Rocco.
In misura minore, fu attivo nella contigua Teverola con il San Giovanni Evangelista in gloria nell’omonima parrocchiale e nella vicina Frattaminore con la Madonna del Rosario e santi nella chiesa di San Simeone Profeta. Per quanto concerne la commissione del dipinto teanese è ipotizzabile che ad introdurre il Simonelli nell’ambiente ecclesiale cittadino e a promuoverne le virtù artistiche per l’assegnazione dell’incarico fosse stato probabilmente, agli inizi del Settecento, quel Vincenzo Maria de Silva, un frate domenicano aversano, vescovo della confinante diocesi di Calvi dal 1679 al 1702, il quale, già alcuni anni prima, nel 1698, aveva commissionato all’artista le opere di abbellimento della propria cappella gentilizia nella chiesa di S. Caterina a Formiello. Un’ultima annotazione per evidenziare che la tela del Simonelli fu rimpiazzata intorno agli anni ’70 del secolo scorso da un dipinto su tavola raffigurante S. Francesco e il Concilio del pittore napoletano Augusto de Rose Orange (1926-1987).

Franco Pezzella
(da Il Sidicino - Anno XX 2023 - n. 9 Settembre)

Fig. 2 Il cassettonato nella configurazione
odierna (foto Mimmo Feola)