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Indice Franco Pezzella
 
 
Echi della peste del 1656 a Teano in una pala d’altare
della cattedrale e nel culto per la Madonna della Libera
 
Fig.  Teano, Cattedrale, Ignoto pittore, I santi Reparata e Paride
intercedono presso Cristo per la fine della peste
(foto D. Feola)
 

Nel mese di aprile del 1656, portata da una nave proveniente dalla Sardegna, l’epidemia di peste bubbonica che aveva colpito l’isola nel 1652 raggiunse anche Napoli, e successivamente il resto del Regno, stravolgendo la vita delle città e dei paesi nei suoi aspetti economici e sociologici con una virulenza vissuta dai contemporanei come un flagello divino, quasi come un segno premonitore di un’imminente fine del mondo a causa della malvagità degli uomini. Tale era stato evidentemente anche lo stato d’animo dell’anonimo committente teanese, scampato fortunosamente al morbo, che qualche tempo dopo la cessazione dell’epidemia richiese, ad un altrettanto ignoto artefice, la realizzazione di un dipinto, attualmente ancora visibile sull’altare di una delle cappelle laterali di destra della cattedrale di Teano che, come una sorta di ex voto gratulatorio, fosse servito a ringraziare i santi Paride e Reparata, i santi protettori più cari alla comunità locale, per aver avuto salvo la vita durante l’epidemia e per aver interceduto presso Cristo affinché mitigasse la sua ira nei confronti dei teanesi (fig. 1). Questo è quanto sembra evocare l’iconografia del dipinto in oggetto laddove si osservano giustappunto le figure dei due santi mentre, accompagnati da due angeli, genuflessi sulle nubi a braccia aperte, con lo sguardo rivolto verso l’alto, chiedono clemenza a Cristo che, assiso a sua volta su un groppo di nubi circondato da uno stuolo di cherubini, è nell’atto di scagliare i fulmini della peste sulla città sottostante, facilmente identificabile con Teano per la presenza, al di là delle mura, delle sagome del campanile dell’Annunziata e della torre del castello. E ancora - viepiù perché originariamente conservato nella distrutta cappella dei Sette Dolori dove avevano trovato sepoltura una quindicina di chierici rimasti vittime della peste per soccorrere spiritualmente la popolazione, il dipinto si prefigura, alla pari della lapide marmorea posta nella stessa cappella, di cui resta solo un frammento (fig.2), anche come una sorta di Commemoratio pro defunctis per queste eroiche figure (ministri del culto che avevano ricevuto solo gli ordini minori), laddove nell’angolo destro di esso è dato osservare due di loro che, incuranti del contagio, affiancano un sacerdote intento a comunicare due donne, una delle quali già moribonda. La scena, velata da un’atmosfera brumosa, si svolge, sul fare della sera, ai margini di un campo fuori delle mura della città, adibito parte a cimitero parte a lazzaretto, dove alcuni monatti, scortati da soldati, sono intenti a rimuovere da un carro trainato da una coppia di buoi, carico di cadaveri e di contagiati, i corpi delle vittime raccolti durante il giorno.
Circa l’artefice del dipinto, si tratta, quasi sicuramente, di un attardato epigono di Mattia Preti o Domenico Gargiulo alias Micco Spadaro quanto non anche di un mediocre imitatore del grande Luca Giordano, vale a dire di alcuni dei maggiori pittori napoletani sopravvissuti al morbo che immortalarono nelle loro tele i momenti drammatici dell’epidemia. Se l’allucinante scena del campo invaso da un ammasso informe di cadaveri in attesa di essere sepolti da una colata di calce richiama, infatti, Il largo del Mercatello di Napoli durante la peste del 1656 (Napoli, Museo di San Martino) realizzato da Micco Spadaro, la contrapposizione delle zone e di luce e di ombre riflette, invece, la conoscenza, da parte del nostro pittore, dei sette grandi affreschi (che conosciamo solo attraverso dei bozzetti e l’unico lacerto che ci è pervenuto, quello posto su Porta San Gennaro a Piazza Cavour) realizzati da Mattia Preti su altrettante porte di Napoli, peraltro gratuitamente secondo lo storico settecentesco Bernardo De Dominici, per ingraziarsi le autorità cittadine ed evitare così le pene detentive per aver ucciso una guardia al fine di eludere il cordone sanitario proprio durante l’epidemia. Da questo stesso affresco, che rappresenta la Vergine Immacolata con il Bambino, affiancata dai santi Gennaro, Francesco Saverio e Rosalia che intercedono per la fine del morbo e dal San Gennaro che intercede presso la Vergine, Cristo e il Padre Eterno per la peste di mano di Luca Giordano (Napoli, Museo nazionale di Capodimonte) il pittore trasse, verosimilmente, l’ispirazione per inserire, giusto al cento della composizione, i due santi protettori di Teano nell’atto di chiedere misericordia a Cristo.
Il dipinto, che misura 240 cm di altezza per 170 di larghezza, fu rinvenuto, abbandonato e in pessime condizioni di conservazione, in un vano della sacrestia della cattedrale, dal canonico monsignor Aurelio De Tora, il quale, autorizzato dal vescovo Matteo Guido Sperandeo, premuroso artefice della ricostruzione post bellica degli episcopi di Teano e Pignataro, della cattedrale e di tutte le chiese danneggiate della diocesi, lo affidò alle abili mani di don Onorato, un monaco benedettino dell’abbazia di Praglia che in capo a pochi mesi restituì alla tela, ancorché rattoppata, buona parte dell’originaria gamma cromatica.
Al tema della peste si riconduce, probabilmente, anche la devozione locale per la Madonna della Libera, il cui culto è genericamente collegato fin dal XIII secolo - quando fu introdotto e diffuso in Italia dai monaci cistercensi - alla liberazione da qualche male, costituito, nella fattispecie, per l’appunto dalla peste. Il culto gode di un particolare seguito soprattutto presso l’omonima chiesa della frazione di Borgonuovo, sulla cui facciata, all’interno della lunetta che sormonta il portale d’ingresso, è dato vedere un altorilievo in stucco, di un ignoto artista campano, raffigurante la Madonna della Libera tra due angeli che sorreggono un lungo cartiglio (fig.3), mentre, con le mani protese in avanti, è, secondo una tradizione locale non ben controllata, nell’atto di fermare la peste. Lo stucco realizzato nel 1915, come ricorda una lapide posta sulla facciata, mutua, verosimilmente, una più antica perduta raffigurazione, forse ad affresco, e trova un corrispettivo, all’interno della chiesa, in una tela ad olio, firmata e datata 1900, in basso a destra, da R. Contestabile, un pittore locale non altrimenti noto (fig.4), e nei tre piccoli ex - voto della seconda metà dell’Ottocento, che, ancorché animati da un popolare spirito miracolistico, ci restituiscono, peraltro - nel tracciare le ambientazione e i personaggi che li animano - un autentico spaccato dei costumi del tempo (figg.5-6-7). Nella stessa chiesa e nella chiesa di Santa Maria la Nova del capoluogo, due statue lignee di autori ignoti, risalenti l’una in legno, al XX secolo (fig. 8), l’altra, in cartapesta, al secolo precedente (fig.9), completano il corpus delle testimonianze iconografiche sulla Madonna della Libera presenti nel territorio.

Franco Pezzella
(da Il Sidicino - Anno XX 2023 - n. 3 Marzo)

 
Fig.2 Teano, Museo diocesano, Ignoto lapicidi
campano, Frammento della lastra commemorativa
dei chierici morti durante la peste
Fig.3 Borgonuovo di Teano, Ch. S. Maria della Libera, Ignoto artista campano
Madonna della Libera tra due angeli che sorreggono un lungo cartiglio
Fig.4 Borgonuovo di Teano, Ch. S. Maria della
Libera, R. Contestabile, S. Maria della Libera
Figg.5-6-7 Borgonuovo di Teano Ch. S. Maria della Libera, Ex voto
Fig.8 Borgonuovo di Teano, Ignoto scultore, Ch. S. Maria
della Libera - S. Maria della Libera (foto D. Feola)
Fig.9 Teano, Ch. S. Maria la Nova
Ignoto cartapestaio, S. Maria della Libera