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Indice Franco Pezzella
 
 
Il volto più antico di Teano nei pannelli
della porta bronzea del Maschio Angioino
 

Fig. 1 - Napoli, Maschio Angioino, G. Monaco, Porta bronzea
 

Sulla quattrocentesca porta di bronzo che originariamente sbarrava l’ingresso del Maschio Angioino a Napoli - ora esposta in bella mostra all’interno del suo vestibolo - su due dei sei pannelli, decorati con bassorilievi che narrano e celebrano la vittoria riportata tra il 1460 e il 1462 da Ferdinando I d’Aragona, meglio conosciuto come Ferrante I, su Giovanni d’Angiò e i baroni ribelli, sono raffigurati i due eventi di quella lunga contesa che si svolsero a Teano, per la precisione in località detta “alla Torricella”, ad un miglio e mezzo dalla città, nel maggio del 1460 (fig. 1). I suddetti episodi storici, illustrati all’interno di riquadri centinati perimetrati da decorazioni con motivi rinascimentali e annotati in calce da distici latini, raffigurano, rispettivamente: il primo in alto a sinistra, l’Abboccamento alla Torricella tra Ferrante I e Marino Marzano avvenuto il 29 di quel mese (fig. 2); il secondo, in alto a destra, Il re che si difende dall’attacco di Marino Marzano (fig. 3). Gli altri episodi raffigurati si riferiscono, invece: alla Presa aragonese di Accadia, avvenuta il 9 agosto del 1462, e alla Ritirata degli Angioini verso Troia nei due riquadri immediatamente sottostanti; alla Battaglia di Troia, avvenuta il 18 agosto del 1462, e a Ferrante che conquista la città, nei restanti due. Per meglio comprendere l’iconografia degli eventi raffigurati, in particolare quelli che si svolsero “alla Torricella”, oggetto della nostra trattazione, ci sembra opportuno, però, di dettare prima qualche nota sulle ragioni che avevano portato a questa contesa passata alla storia come Guerra angioino - aragonese. Ferrante, unico figlio maschio - peraltro illegittimo - di Alfonso il Magnanimo, poco dopo essere subentrato sul trono per la morte del padre, aveva dovuto fronteggiare una rivolta che aveva visto coinvolti alcuni dei maggiori baroni regnicoli, insurrezione collegata alle pretese angioine - non ancora sopite - di rimpadronirsi del regno di Napoli andato perso nel 1442. Scoppiata apertamente nell’estate del 1459, la guerra avrebbe poi trovato conclusione, dopo alterne vicende, nella suddetta battaglia di Troia, seppure con code che si sarebbero trascinate fino alla battaglia nel mare di Ischia del 1465 che spense definitivamente il sogno - di Renato prima e di Giovanni d’Angiò dopo - di recuperare il regno di Napoli. Tra i maggiori protagonisti della ribellione dei baroni, le fonti coeve o immediatamente successive (Antonio da Trezzo, Giovanni Pontano, Notar Giacomo e Tommaso Costo) segnalano Marino Marzano, duca di Sessa e grande ammiraglio del regno di Napoli, che aveva sposato nel 1442 Eleonora, figlia di Alfonso di Magnanimo e sorellastra di Ferrante. Secondo tali fonti il rapporto tra quest’ultimo e il Marzano fu da subito burrascoso, degenerando successivamente in un vero e proprio odio a ragione delle voci che riportavano di una relazione incestuosa tra Ferrante e la sorellastra Eleonora; dissapori che sarebbero stati addirittura all’origine stessa della rivolta dei baroni e alla loro alleanza con gli angioini. Secondo la storiografia moderna, invece, la causa scatenante del conflitto intestino era stata unicamente di carattere politico, scaturita dalla scelta di Ferrante di servirsi di collaboratori catalani e non degli inaffidabili baroni regnicoli. Discordanti sono, del resto, anche le narrazioni riportate dai succitati storici riguardo gli accadimenti di Teano rappresentati sulla porta bronzea. Se tutte queste narrazioni concordano, infatti, che - dopo il fallito tentativo dei baroni di defenestrare Ferrante, il Marzano chiese ed ottenne dal sovrano, grazie agli uffici di Gregorio Coreglia, che era stato precettore del sovrano, un incontro per riappacificarsi e chiederne la grazia (una richiesta che nascondeva in realtà un piano per tendergli un tranello); e, ancora, che tale incontro si svolse, dietro richiesta di Ferrante, in presenza del Coreglia e di Giovanni Ventimiglia, conte di Montesarchio, suoi accompagnatori, e di Deifobo dell’Anguillara e Giacomo da Montagano, due scaltri cavalieri compagni d’armi del duca - è pur vero che esse vengono riportate con racconti difformi. In particolare, Antonio da Trezzo, ambasciatore a Napoli del duca di Milano, Francesco Sforza, in un dispaccio del 31 maggio 1460, riporta - rifacendosi a suo dire a quanto narratogli dallo stesso Ferrante - che giunti sul luogo concordato, nei pressi di una chiesetta, il re e il Marzano, dopo aver discusso per circa un’ora seduti sui propri cavalli, stavano per accommiatarsi, apparentemente soddisfatti, quando ad un tratto Deifobo, affermando di volersi riconciliare anch’egli con Ferrante, gli mosse incontro, mentre il Montagano teneva a bada il Coreglia e il Ventimiglia, per colpirlo con un coltello avvelenato che nascondeva nella mano. Ma Ferrante, che aveva subito intuito le vere intenzioni di Deifobo e Marzano, estrasse la spada e li affrontò riuscendo a ferire entrambi e a metterli in fuga, prima ancora che giungessero alcuni suoi soldati in aiuto. Giovanni Pontano, il famoso poeta, umanista e uomo politico, nonché intellettuale di punta della corte aragonese, riporta, invece, secondo la versione più accreditata, che il Marzano, raggiunto alle prime luci dell’alba il campo di Ferrante accompagnato da Deifobo e Giacomo da Montagano, ebbe un’accesa discussione con il sovrano, ad un certo punto della quale Deifobo, pugnale avvelenato alla mano, gli si avvicinò con l’intenzione di colpirlo. Ma Ferrante fu lesto nel disarmarlo sicché al Marzano e ai suoi due sgherri non restò altro che la via della fuga. Le schermaglie tra i due sarebbero durate, con alterne vicende che qui non ci è dato riportare per esigenze di sintesi, fino all’8 giugno del 1464 quando Marzano fu arrestato dalle guardie del re e condotto prigioniero prima a Capua, poi a Castelnuovo e infine ad Ischia dove sarebbe morto nel 1494 per i devastanti effetti di un colpo di mazza sul capo infertagli da uno schiavo su ordine di Ferdinando II d’Aragona (Ferrandino), subentrato intanto al padre Ferrante sul trono di Napoli.
Tornando alla porta di bronzo, va innanzitutto ricordato che essa fu commissionata dallo stesso Ferrante verso il 1475 per tenere viva la memoria della sua impresa di essere riuscito a contenere le mire angioine su Napoli e di aver così continuato ad assicurare il regno alla corona aragonese. L’incarico di realizzarla fu affidato a Guglielmo Monaco, un eclettico orologiaio, fonditore e scultore parigino, che fin dal 1452 era al servizio di Ferrante con una provvigione annua di ben 400 ducati d’oro.
Al di là della notevole valenza celebrativa e storico - artistica della porta, in questa sede ci preme sottolineare, tuttavia, il valore che essa assume nei riguardi dell’iconografia di Teano, in quanto contenente la più antica immagine urbana della città ad oggi nota. Non prima, però, di ricordare che la palla di cannone che si osserva incastrata nel quinto quadrante è, verosimilmente, secondo l’ipotesi più accreditata, il proiettile conficcatosi in uno scontro con la flotta genovese ingaggiata dalla flotta di re Carlo VIII di Francia mentre faceva ritorno in patria con parte del bottino di guerra - tra cui la suddetta porta sistemata sulla tolda di una delle navi francesi - razziato al termine della cosiddetta “calata in Italia” di re Carlo che lo aveva portato fino a Napoli, dove aveva regnato dal febbraio del 1495 al maggio dello stesso anno quando il popolo e le armate napoletane rinvigoritesi sotto le insegne aragonesi del giovane re Ferrandino, erano riuscite a scacciarlo. Nello stesso anno i genovesi, alleati degli aragonesi, avrebbero rispedita la preziosa porta a Napoli.
Nei due pannelli che illustrano gli eventi svoltisi a Teano, il profilo, seppure parziale della città - relegata sullo sfondo delle scene oggetto della narrazione e sovrastata da uno strato di nubi cumuliformi - occupa la parte sinistra di entrambi i bassorilievi ed è preceduto e affiancato sul lato opposto da un fitto bosco, alle cui spalle si stagliano le prime propaggini del massiccio vulcanico di Roccamonfina. Dal momento che i primi profili delle città medievali eseguiti mediante l’applicazione di tecniche di rilevamento e riproduzione scientifica risalgono alla metà del XV secolo abbiamo ragione di ritenere che - ancorché essi obbedissero ad un doppio intento, insieme descrittivo e dimostrativo - il parziale profilo di Teano che compare nei suddetti pannelli, rispecchi abbastanza fedelmente quello reale del tempo; vieppiù se si confronta con la seicentesca stampa di Francesco Cassiano de Silva pubblicata postuma nel 1703 ne Il Regno di Napoli in prospettiva diviso in dodeci provincie di Giovan Battista Pacichelli (fig. 4). Come nella stampa dell’incisore spagnolo, la città si presenta, infatti, cinta da un circuito murario, intervallato da torri difensive, costruito, verosimilmente a partire dal X secolo per integrare le precedenti fortificazioni preromane e romane, al cui interno si riconoscono: la trecentesca chiesa dell’Annunziata con il suo imponente campanile, all’epoca ragionevolmente ancora in fase di ultimazione giacché un’epigrafe ne ricorda l’inaugurazione nel 1502; il Castello, successivamente trasformato nel complesso palaziale Cattaneo-Zarone-Loggione; il convento di Sant’Antonio da Padova, fondato alcuni anni prima, nel 1427, su una piccola altura fuori dell’abitato, ai cui piedi s’intravede il torrente Savone, il fiume sacro ai sidicini, come attesta la memoria degli importanti santuari che sorgevano lungo le sue rive (in particolare a Teano presso il fondo Ruozzo e in località Torricelle). Mancano invece elementi per poter riconoscere la chiesetta di Torricelle, l’antico villaggio presso il quale si svolse l’incontro tra Ferrante I e Marino Marzano di cui restano solo i pochi ruderi di una taverna.

Franco Pezzella
(da Il Sidicino - Anno XX 2023 - n. 1 Gennaio)

 
Fig. 2 - L’Abboccamento alla Torricella tra Ferrante I e
Marino Marzano
Fig.3 - Ferrante si difende dall’attacco di Marino Marzano
Fig. 4 - Cassiano de Silva, Teano, da G.B. Pacichelli, Il Regno di
Napoli in prospettiva diviso in dodeci provincie, Napoli 1703