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L'arte perduta:
i dipinti di Nicola Malinconico nel duomo di Teano
 

Due delle tele posizionate sotto il cassettonato
 

Una polizza di pagamento, registrata il giorno 11 gennaio del 1712 in un antico giornale mastro del Banco del Salvatore di Napoli e resa nota da Mario Alberto Pavone fin dal 1994, recita: «A D(on) Egidio Gadaleta d(ucati) undici e per esso a Sor Christina Fernandez de Guevara, disse pagarli di nome e parte della Compagnia di Gesù della Provincia di Napoli donataria del fratello Francesco Fernandez de Guevara e detti sono per semestre finito a 17 dicembre 1711 del vitalizio debito a detta Signora come per istrumento a cui s’habbia relazione e con detto pagamento resta intieramente sodisfatta di tutto il passato sino a detto tempo. E per essa con autentica di Notar Matteo Bocchino d’Aversa a D(on) Domenico Pacifico Vescovo di Teano per altri tanti e per lui al cavaliero D(on) Nicolò Malinconico e sono per saldo e final pagamento del prezzo tra loro convenuto di nove quadri da lui dipinteli per la sua Chiesa Cat(t)edrale di Teano, cioè otto laterali et uno nel presbiterio, atteso l’altri quantità d’esso prezzo convenuto gli sono stati pagati da lui contanti, dichiarando che in detto final pagamento vengono comprese e sodisfatte tutte e qualsiano altre spese da lui fatte per nove stragalli (cornici) indorati, chiodi, vetture, mastria, et ogn’altro che è occorso per far trasportare e mettere detti quadri nella detta sua Chiesa, ne gli resta a conseguire altro per insino li 25 novembre 1711». Di contro ad una dettagliata descrizione delle transazioni finanziare che precedettero e accompagnarono la realizzazione e l’allestimento dei nove dipinti del Malinconico - andati ahimè perduti in seguito ai bombardamenti alleati del 6 e 22 ottobre del 1943 che distrussero quasi completamente la cattedrale di Teano - il suddetto documento, è manchevole, purtroppo, manco a dirlo, delle indicazioni iconografiche che ne avrebbero permesso una sicura identificazione. Non crediamo, tuttavia, di essere in errore, nell’individuare otto dei novi dipinti menzionati nel documento, nei quadri che, in ragione di quattro per lato, si distribuivano tra il cornicione marcapiano e il cassettonato della cattedrale prima dei bombardamenti e l’altro nel dipinto posto sull’altare maggiore. Lo lascia ipotizzare un breve ma prezioso saggio a firma di Gennaro Aspreno Galante, l’ottocentesco presbitero napoletano autore della celebre Guida sacra della città di Napoli, che riporta con grande dovizia la descrizione dei restauri della chiesa teanese, in uno dei fascicoli della rivista La scienza e la fede (fasc. 721 del 20 aprile 1881); laddove scrive: «I finestroni sono adorni tutti a foggia di diversi marmi; le pareti eseguite ad olio e vernice per rendere l’effetto più vero; in esse si vedono da un lato i Santi Amasio, Domenico, Filippo e Gennaro; dall’altro i Santi Urbano, Antonio, Giuseppe e Nicola, che sono stati appena ritoccati in qualche parte rosa». Per quanto concerne il dipinto del presbiterio lo stesso Galante ci informa che rappresentava Il supplizio di san Giovanni immerso nell’olio bollente, una rara iconografia che fa riferimento ad un episodio della vita del santo evangelista (a cui è intitolata la chiesa) narrato nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, secondo il quale durante la persecuzione dei cristiani ordinata da Domiziano verso l’anno 95, Giovanni, ormai novantenne, appena giunto a Roma su espressa richiesta dell’imperatore, fu catturato e immerso in un calderone di olio, da cui ne uscì non solo indenne, ma addirittura ringiovanito. Il supplizio, documentato anche da alcune autorevoli fonti storiche come il De praescriptione haereticorum, di Tertulliano, l’apologista vissuto in Africa tra il II e il III secolo, e il Commento al Vangelo di Matteo di san Girolamo, sarebbe avvenuto nei pressi della Porta Latina, nel luogo dove successivamente sarebbe stata poi eretta, nel XVI secolo, la cappella denominata San Giovanni in Oleo proprio a ragione del miracoloso evento.
È immaginabile che il quadro, rappresentasse il santo - così come gli analoghi dipinti di Scipione Pulzone e Giovanni Lanfranco, verosimilmente visti e studiati a Napoli dal Malinconico rispettivamente nella chiesa di San Domenico Maggiore e dei Santi Apostoli - mentre esce fermo e sereno dal pentolone colmo di olio bollente, con le mani giunte in preghiera, sotto gli sguardi attoniti degli astanti. Ai consueti modelli iconografici si rifacevano, probabilmente, anche le rappresentazioni degli otto succitati santi, due dei quali, Amasio e Urbano, erano stati, come si ricorderà, rispettivamente il secondo e terzo successore di san Paride sul trono episcopale di Teano. Purtroppo le rarissime immagini dell’uno e degli altri dipinti (cortesemente fornitemi da Luigi Di Benedetto, che qui ringrazio) non ne permettono un adeguato confronto. Per una singolare coincidenza i dipinti di Malinconico fanno il paio con le nove tele - otto delle quali raffiguranti Storie della vita di San Francesco e la nona San Paride, anch’esse realizzate nel 1711, come attesta un’epigrafe in calce ad uno dei dipinti, ma non firmate né ancora documentate - che si ammirano tra il cornicione marcapiano e il cassettonato della chiesa dedicata a San Francesco nella stessa Teano.
Il Malinconico, oggetto di una lacunosa trattazione del settecentesco biografo e storico dell’arte napoletana Bernardo De Dominici - bollata, peraltro, da tutta una serie di riferimenti negativi a causa, probabilmente, del suo manifesto antagonismo nei confronti del Solimena, molto apprezzato, invece, dal biografo napoletano - fu allievo prima del padre Andrea, poi del Giordano, e prima ancora di questi di Massimo Stanzione e del pittore di natura morta, Andrea Belvedere, cui è ispirata d’altronde gran parte della sua produzione giovanile. Per il resto ci limiteremo a evidenziare solo la sua propensione naturalistica e abilità di frescante essendo impossibile elencare in questa sede, il gran numero di dipinti che egli realizzò non solo per le chiese di Napoli (Croce di Lucca, Santa Maria la Nova, Santa Maria di Donnalbina, SS. Apostoli, S. Gregorio Armeno, Trinità dei Pellegrini, S. Giuseppe a Chiaia, etc.) e dintorni (Aversa, S. Lorenzo; Caivano, S. Pietro; Capri, Certosa, S. Antimo, Basilica omonima) ma anche per le chiese della Puglia (Mottola, Cattedrale; Cutrofiano, Matrice, Gallipoli, Duomo), del Lazio (Gaeta, S. Caterina), della Calabria (Cassano allo Jonio, S. Maria della Catena), della Sicilia e della lontana Bergamo (tele in Santa Maria Maggiore), dove andò per sostituire nientemeno che Luca Giordano in partenza per la Spagna.

Franco Pezzella
(da Il Sidicino - Anno XIX 2022 - n. 3 Marzo)

 
Il supplizio di san Giovanni immerso nell’olio bollente