L'ASSOCIAZIONE
 
il Sidicino
 
Indice per autore
 
Indice Franco Pezzella
 
 
Un inedito dipinto di Giuseppe Tomajoli a Calvi Risorta
 
 

Sull’altare maggiore dell’antica cattedrale di Calvi Risorta troneggia, maestosa, una pregiata tela settecentesca raffigurante I santi Casto e Cassio che venerano la Madonna Assunta del pittore pugliese Giuseppe Tomajoli. La pala ben sintetizza la storia religiosa della cittadina in quanto all’Assunzione della Vergine - la cui devozione era praticata in loco sin dalla fine del X secolo come attestano l’intitolazione stessa della cattedrale e un notevole affresco di scuola benedettina nella Grotta delle Fornelle - si affianca quella per i santi Casto e Cassio, l’uno primo vescovo e patrono della città e diocesi di Calvi, l’altro suo compagno di martirio durante le persecuzioni neroniane, secondo quanto riportano le fonti agiografiche. In particolare, relativamente a Casto, alcune di esse, portando a riprova un’antica iscrizione, ritengono che il santo era nato nella cittadina calena dall’illustre e nobile famiglia Vinicia Casta. Altre fonti lo dicono, invece, originario dell’Africa, dalla quale, a causa delle persecuzioni subite, si trasferì a Cales. In ogni caso le une e le altre ci informano che accostatosi alla religione cristiana ascoltando le prediche dell’apostolo Pietro, fermatosi per qualche tempo a Cales durante il suo viaggio da Puteoli a Roma, Casto si convertì al cristianesimo e si fece battezzare dallo stesso Pietro, il quale prima di continuare il suo viaggio verso la Città Eterna, ammirato dallo zelo con cui, a sua volta, Casto propagava i dogmi della nuova religione, lo ordinò primo vescovo di Cales. Era l’anno 44. Poco più di un ventennio dopo, nell’anno 66, Casto e il suo confratello Cassio, vescovo della vicina Sinuessa, incapparono, però, nelle persecuzioni ordinate da Nerone: catturati dai soldati del preside Messalino, dopo una serie di vicissitudini furono decapitati il 22 maggio dello stesso anno. Il 1° luglio successivo, il corpo di Casto, rimasto insepolto per 39 giorni fuori la porta di Sinuessa, fu trafugato da alcuni caleni e seppellito, presumibilmente, in località “San Casto vecchio al Ciavolone”, dove rimase per nove secoli, fino al 966, quando Landone, duca di Gaeta, di nascosto, lo fece trasferire nella sua città. Nel 1806, dopo una serie di alterne vicende al termine delle quali i resti del primo pastore della diocesi di Calvi erano finiti nelle catacombe di San Callisto a Roma, il papa dell’epoca, Pio VII, li riconsegnò ai caleni per mano del cardinale di Napoli Luigi Russo Scilla, perché venissero riposti nella cattedrale cittadina, sotto la cui cripta sono tuttora conservati.
L’impianto della pala calena riprende uno schema di derivazione barocca che - sostituendo con le figure di santi in estasi, gli apostoli presenti alla morte della Vergine (secondo una narrazione dovuta a Leucio Carino, vissuto nel II secolo, successivamente ripresa da Sant’Efrem, da Timoteo di Gerusalemme e da sant’Epifanio) - modificò la tradizionale raffigurazione del cosiddetto “Transito della Vergine”, ovvero il trasferimento direttamente in Paradiso, dell’anima e del corpo di Maria dopo la sua morte. La composizione si prefigura pertanto, più correttamente, come la tipica iconografia di una “gloria in volo” dove una giovanissima Maria, seduta su una coltre di nuvole, immersa in un fulgore di luce, con lo sguardo rivolto verso l’alto e le braccia spalancate in segno di accoglienza verso il fedele, si eleva al cielo in mezzo a una corona di angeli e cherubini sapientemente disposti attorno alla spirale delle nubi. Nel registro inferiore della composizione, che si sviluppa su una struttura piramidale la quale trova il suo vertice nel volto luminoso di Maria, i santi Casto e Cassio, e non già i santi Gennaro e Nicola come riportano alcune biografie del Tomajoli, presenziano all’evento miracoloso. San Casto indossa sontuosi paramenti vescovili e regge con la mano destra il bastone pastorale; ai suoi piedi s’intravede uno stemma vescovile, riconoscibile come tale per la presenza del cappello prelatizio al suo apice, riferibile al vescovo del tempo, monsignor Gennaro Maria Danza, committente, nel 1738, del dipinto e del rifacimento del sottostante altare Maggiore come riporta una lunga epigrafe in latino ai piedi del dipinto; più dimessa la figura di san Cassio i cui paramenti sono retti da una coppia di Angeli.
Originario di Vieste, dove era nato il 4 giugno del 1697, Giuseppe Tomajoli è ricordato dallo storiografo Bernardo De Dominici tra gli allievi di Giacomo De Po prima e di Francesco Solimena poi, ai cui modelli puristi è ispirata la sua produzione giovanile, come denotano la sua prima opera nota, la Visitazione (firmata e datata 1730) in San Giovanni delle Monache e l’Assunta in Santa Maria Avvocata a Napoli, ma anche quella successiva presente per la gran parte in provincia: dalla nostra pala alla Madonna in gloria col Bambino e Santi della chiesa di San Nicola a Fontanarosa; dalla Madonna col Bambino tra i santi Stefano ed Agata della cattedrale di Sant’Agata dei Goti alla Morte di San Giuseppe (firmata e datata 1742) nella chiesa della Maddalena a Morano Calabro; dall’Adorazione dei Pastori (anch’essa firmata e datata 1742) della chiesa dell’Annunziata ad Arienzo all’Assunzione di Maria (firmata e datata 1749) nel soffitto della parrocchiale di Mirabella Eclano. Un buon numero di suoi dipinti, ancora in larga parte da identificare (e non dovrebbero essere pochi dal momento che Luigi Vanvitelli, parlando di lui, nel 1772 lo definiva uno «migliori pittori del Regno»), si conserva nella cattedrale del paese natale. Si tratta di due pale, di una Presentazione al Tempio (proveniente dalla chiesa di San Pietro d’Alcantara, e ora nell’attiguo Episcopio), di una SS. Trinità, collocata sull’altare dell’omonima cappella, e del monumentale trittico che si sviluppa nella controsoffittatura, purtroppo, ahimè, malamente “pasticciato” da sventurate ridipinture ottocentesche e novecentesche. Recenti ritrovamenti documentari gli assegnano due ovali eseguiti per le pareti laterali all’altare maggiore della chiesa napoletana di Santa Maria della Redenzione dei Cattivi (1757) e le decorazioni degli ambienti di Palazzo De Francesco a Nocera Inferiore dove sono ancora presenti alcune tele, tra cui una Madonna col Bambino nella cappella di famiglia di sicura autografia, che si possono ricondurre alle sue mani (1760).
Tomajoli fu anche docente, a far data del 1771, presso la Real Accademia di Disegno di Napoli, diretta da Giuseppe Bonito, nonché pittore di “nature morte” (due suoi piccoli tondi, firmati, si conservano al Museo Correale di Sorrento) e collaboratore di Leonardo Coccorante nella realizzazione di figurine in alcune sue “vedute di rovine”. Morì, verosimilmente, tra la fine di gennaio e gli inizi del febbraio del 1779, giusto quanto si legge in una lettera del Bonito datata 9 febbraio di quell’anno.

Franco Pezzella
(da Il Sidicino - Anno XVIII 2021 - n. 11 Novembre)