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Tesori d’arte nella cattedrale di Calvi:
le pale di Girolamo Imperato
 
Madonna dell’Arco venerata dai santi Pietro, Casto e Agostino
 

La Cattedrale di Calvi, risalente nel suo impianto originario ad un periodo compreso tra la fine dell’XI secolo e la prima metà del secolo successivo, è considerata da molti storici dell’arte una delle più rare e significative testimonianze della cultura romanica in Campania. Tuttavia, come la maggior parte delle chiese di quel tempo ha subito nei secoli vari rimaneggiamenti, i più imponenti dei quali, iniziati dal vescovo Gennaro Maria Danza, risalgono al 1735 e portarono ad una prima serie di rifacimenti in chiave tardo barocca dell’architettura interna, poi fatti completare dai suoi successori, in particolare da Giuseppe Maria Capece Zurlo, vescovo di Calvi tra il 1756 e il 1782, per mano dell’architetto napoletano Carlo Zoccoli, fino a conferirle l’attuale configurazione, fatto salve le modifiche apportate nell’area presbiteriale e nella ricostruzione della volta della navata centrale, crollata a causa del sisma del 23 novembre 1980. Nel tempo restò inalterata, sotto il presbiterio, la sola cripta, sorretta da ben 21 colonne di granito cipollino, in parte lisce, in parte scanalate, terminanti con capitelli, ognuno diverso dall’altro, provenienti dall’antica Cales. Del primitivo arredo ecclesiastico si sono invece conservati, per fortuna, la sedia episcopale, sospesa su due elefanti stilizzati risalenti alla fine dell’XI secolo con i più tardi leoncini sottostanti che costituiscono il suppedaneo (sec. XIII) e i resti dell’ambone, anch’esso del XIII secolo, ma ricomposto nella forma attuale in un intervento moderno. Naturalmente nel corso dei secoli la cattedrale è stata arricchita anche di nuove opere, molte delle quali, però, sono andate perse, vuoi per i segni del tempo, vuoi per l’incuria umana, vuoi perché depredate. Se poco o niente resta dei secoli XIV e XV, il Cinquecento è invece ben rappresentato da due tavole ad olio del pittore napoletano Girolamo Imparato, entrambe dedicate alla Vergine: l’una sotto il titolo della Madonna dell’Arco venerata dai santi Pietro, Casto e Agostino; l’altra sotto il titolo della Madonna Assunta venerata dai santi Pietro, Casto e Rocco. L’autografia della prima è documentata da una polizza di pagamento - registrata il giorno 5 settembre 1595 in un giornale mastro dell’antico Banco dello Spirito Santo di Napoli (Archivio Storico Banco di Napoli, g. m. 10, f. 1254) e pubblicata da G.B. D’Addosio, Documenti inediti di artisti napoletani dei secoli XVI e XVII, in «Archivio Storico per le Province Napoletane», V (n. s.), 1919, p. 393 - nella quale si legge: «A 5 settembre 1595. Il R.do D. Clemente de Napoli paga D.ti 10 a Geronimo Imperato per nome e parte di M.gnor di Calvi in conto di D.ti 35, per il prezzo d'una cona con I’imagine della Madonna dell'Arco di sopra et altre figure abbasso conforme il disegno che d.to Geronimo tiene, il quale l'ha pigliato a fare per la chiesa di Calvi di d.to Monsignore, et ha promesso darla finita a Natale prossimo, et pintarla di sua propria mano». L’altra tavola, ancorché non documentata e lacunosa nel volto della Madonna, è unanimemente attribuita all’Imparato sulla scorta dell’esame stilistico: uno stile ancora fortemente influenzato, in una fase in cui si trovò a vivere ed operare, dalla sensibilità pittorica napoletana, in particolare dai modi espressivi di Marco Pino e Teodoro d’Errico - con il quale aveva peraltro collaborato, tra il 1587 e il 1590, alla decorazione del soffitto della chiesa di Santa Maria di Donnaromita a Napoli - quantunque lo schema della Madonna dell’Arco, pare tenere conto, specie nei due angeli in alto, dell’analoga Madonna venerata dai santi Francesco da Paola e Antonio da Padova dipinta alcuni anni prima da Francesco Curia per la chiesa napoletana di San Giovanni a Carbonara.
Figlio di quel Francesco - anch’egli pittore, passato alla storia dell’arte soprattutto per essere stato maestro di Battistello Caracciolo, anche se il suo stile non sembra aver lasciato il segno sull’allievo - Girolamo Imparato nacque a Napoli nel 1549 e vi morì nel 1607. Discepolo del padre prima e di Silvestro Buono poi, con il quale forse partecipò nel 1571 al completamento dell’Assunzione della Vergine nella chiesa napoletana di San Pietro in Vinculis, prima ancora di collaborare con Teodoro D’Errico nel cassettonato di Donnaromita che gli avrebbe offerto la possibilità di aggiornarsi alla maniera “tenera” del fiammingo e del Barocci, il giovane Girolamo aveva esordito, in piena autonomia, nel 1573, eseguendo delle non meglio specificate pitture nella loggia del giardino di tale Ottavio Poderico alle quali avrebbe fatto seguito una “cona”, destinata a Castelvetere, raffigurante i Santi Nicola, Urbano e Biagio, nel riquadro centrale, Cristo e i dodici apostoli, nella predella, Cristo, la Madonna e san Giovanni, nelle cimase. Imparato realizzò l’opera in collaborazione con Giovanni Angelo D'Amato, figura cui sarebbe rimasto peraltro legato per i successivi venti anni, seppure in modo discontinuo, da vincoli di società e compartecipazione. A questa produzione iniziale la critica ha ricondotto un gruppo di opere eseguite per alcune chiese di Napoli: la Pietà con i ss. Nicola ed Eusebio (già a Santa Patrizia, ora al Museo nazionale di San Martino), la Madonna con i santi Scolastica, Andrea e Maddalena (Santa Patrizia); la Madonna delle Grazie con i santi Sebastiano e Giuseppe (Santa Maria della Sapienza), la Gloria della Vergine e santi (Arciconfraternita dei Bianchi allo Spirito Santo). Tuttavia fu con l’impresa di Donnaromita che l’artista assunse a una certa notorietà, certificata da numerose polizze per opere commesse ma per lo più ancora non rintracciate (una Natività per Lucrezia Caracciolo, un'Ascensione per Muzio Delle Pere e una Pietà per il vescovo di Massa Lubrense); nel 1591 realizzò, altresì, l’Annunciazione per la distrutta chiesa dell’Assunta a Castiglione Cosentino (ora in Santa Maria dell’Olmo), la più antica opera firmata e datata fin qui nota della sua produzione. La buona fama acquisita gli consentì di fregiarsi, l’anno successivo, della nomina a "maestro" e "console" della corporazione dei pittori napoletani. Al primo lustro degli anni ’90 si riconducono anche il Gesù tra i dottori, firmato, del retablo del monastero di Santa Maria de la Vid presso Burgos, spedito in Spagna dal viceré don Juan de Zúñiga e l’intervento, con Wenzel Cobergher, Fabrizio Santafede e Giovanni Battista Cavagna, nella perduta decorazione dell’intempiatura della chiesa napoletana dell’Annunziata, per la quale realizzò la Presentazione al tempio di Maria. Ancora nel 1594 firmò e datò il polittico della chiesa del Carmine a Cagliari raffigurante la Madonna con Bambino e i santi Bartolomeo, Francesco, Pietro e Giacomo nella parte centrale e una Pietà con sei mezze figure di santi nella predella caratterizzata da una convinta adesione a quel baroccismo, che avrebbe contraddistinto la sua produzione di fine secolo: l’Annunciazione (Lecce, chiesa del Gesù), la Deposizione (Napoli, chiesa dei Santi Severino e Sossio), la Madonna del Carmine e i santi Francesco di Assisi e Francesco di Paola (Napoli, chiesa dello Spirito Santo), la Madonna del Rosario con i misteri (Meta di Sorrento, chiesa della Madonna del Lauro), il Battesimo di Cristo (Massa Lubrense, cattedrale). Agli ultimi anni della sua breve vita si riconducono, invece, l’Estasi di s. Ignazio e la Natività al Gesù Nuovo di Napoli, l’Allegoria dei sette sacramenti della chiesa di Sant’Elia a Pianisi nei pressi di Campobasso, l’Assunzione della Vergine per il soffitto della chiesa napoletana di Santa Maria la Nova, la Circoncisione (Coll. Banco di Napoli), l’Immacolata, f. e d. 1607, per la chiesa di San Raffaele a Vibo Valentia, il Martirio di san Pietro martire per la chiesa napoletana di Santa Maria la Nova, l’ultima sua opera nota.

Franco Pezzella
(da Il Sidicino - Anno XVIII 2021 - n. 8 Agosto)

 
Madonna Assunta venerata dai santi Pietro, Casto e Rocco