Come già ricordava l'architetto napoletano Luigi Catalani in una fortunata guida sacra di Napoli della metà dell'Ottocento, Angelo Mozzillo, nato ad Afragola il 24 ottobre del 1736, è figura di pittore settecentesco «… spontaneo e di grandissimo genio: sarebbe stato egli di gran cosa se fosse vissuto in secoli quando l'arte trovavasi in un grado eminente, e non già avvolta tanto nel manierismo e nella decadenza come al finire del secolo passato […] dipinse molto, e con molta gloria. Parte della produzione di questo prolifico pittore si ritrova anche nell'agro sidicino-calense a cominciare dall'affollato ciclo raffigurante le effigie dei vescovi di Calvi Risorta, che si sviluppa lungo tutte e quattro le pareti della sagrestia attigua all'antica cattedrale romanica di Cales. I busti, inseriti all'interno di una decorazione floreale, furono realizzati dall'artista afragolese nel 1778 nell'ambito dei lavori di restauro dell'antica sagrestia, commissionati dal vescovo del tempo, monsignor Giuseppe Maria Capece Zurlo (1756-1782), eletto poi cardinale - arcivescovo di Napoli (1782-1801), e condotti dall'architetto napoletano Carlo Zoccoli. La serie che continuerà poi, per opera di altri artefici, con l'effigie del successore di Zurlo, monsignor Andrea De Luca, ultimo vescovo di Calvi Risorta e primo vescovo delle diocesi unite di Calvi Risorta e Teano, conta a oggi un totale di ottantotto busti.
Il ciclo mozzilliano si compone di ben settantasei medaglioni, tanti quanti erano stati fin lì, secondo la lista redatta dallo stesso Zurlo sulla scorta di un precedente elenco compilato un secolo prima dal reverendo Giuseppe Cerbone, i vescovi che lo avevano preceduto sulla sedia episcopale: da San Casto, Patrono della diocesi, risalente all'epoca apostolica, ordinato, secondo la tradizione, primo vescovo di Cales direttamente da san Pietro, al suo predecessore, monsignor Agnello Fraggianni. La serie mozzilliana si chiude, naturalmente, con l'immagine dell'arcivescovo Zurlo, l'unica reale essendo tutte le altre, com'è ovvio, idealizzate. Manca, invece, la figura del vescovo Giusto, giacché la sua esistenza rimase ignorata fino al 1932, quando, in occasione di alcuni scavi, venne fortunosamente alla luce una lastra tombale con sopra incisa un'epigrafe che riportava il suo nome e il periodo del suo episcopato. Per l'esecuzione il Mozzillo si avvalse probabilmente, com'era accaduto qualche anno prima quando aveva realizzato un ciclo analogo per un salone del Vescovado di Nola, di alcuni collaboratori della sua bottega. Secondo la testimonianza del Penna, durante questo periodo l'artista e le sue maestranze alloggiarono nel vicino Seminario vescovile e furono affiancati, per la consulenza storica, da don Mattia Simonetta, il quale in possesso dei manoscritti del vescovo Zurlo «traduceva in Latino il nome, la creazione, e la morte dell'effigiato Vescovo, ogni volta che bisognava». I medaglioni, in parte realizzati ad affresco, in parte a olio su tela, hanno dimensioni diverse che vanno rapportate alla figura storica dei vescovi. Tutti, però, si caratterizzano per l'intensa luminosità e la gradevole policromia che fanno del ciclo di Calvi Risorta uno dei più apprezzati del genere.
Molto verosimilmente, il Mozzillo era stato l'artefice, alcuni anni prima, nel 1772 circa, anche della tela con San Rocco e devoti in atto di venerare la Madonna con il Bambino che sovrasta l'altare maggiore della chiesa della Misericordia di Pignataro Maggiore. Il dipinto, essendo il santo universalmente invocato contro la peste, va prefigurato come un ex voto fatto eseguire, probabilmente, da un gruppo di devoti risparmiato dall'epidemia di “febbri putride” che nel 1764 colpì Napoli e gran parte della Campania provocando circa 30.000 vittime. Pertanto si svolge, facendo riferimento alla canonica impostazione delle pale d'altare dell'epoca, con la Madonna e il Bambino in gloria fra le nuvole nella porzione superiore e con il santo e i devoti in atteggiamento di adorazione in quella inferiore. San Rocco, secondo la consueta iconografia, è appoggiato a un bastone e sul mantello reca una conchiglia, elementi distintivi entrambi della sua condizione di pellegrino. Le fonti agiografiche c'informano, infatti, che egli, guarito dalla peste che aveva contratto per assistere gli ammalati nell'ospedale di Santa Maria di Betlemme di Piacenza durante il viaggio di ritorno da Roma a Montpellier, sua città natale, dopo un pellegrinaggio nella Città Eterna, continuò a peregrinare lungamente tra Italia e Francia, dedicandosi alla cura degli appestati.
È altrettanto verosimile, che mentre attendeva al ciclo di Calvi, al Mozzillo fu commessa anche la pala d'altare dell'Annunciazione per l'altare maggiore della seicentesca chiesa dell'Annunziata di Sparanise. La realizzazione della tela s'inquadra nell'ambito dei lavori di ampliamento e di abbellimento della chiesa, suggeriti dal vescovo Filippo Positano fin dal 1712 ma portati a compimento solamente tra il 1783 - quando dopo una pubblica assemblea, la Giunta comunale dell'epoca, per finanziare i lavori, stabilì di prelevare cento ducati dai proventi del Demanio e di accendere un mutuo presso il Capitolo di Calvi - e il 1811, quando dopo quasi tre decenni - con l'elevazione del campanile, l'edificazione della sacrestia e i rifacimenti della pavimentazione, della facciata e dell'abside - furono finalmente completati i lavori. In quella circostanza la tela fu ricollocata sul nuovo altare maggiore, dove è tuttora data vederla. L'incontro tra la Vergine e l'arcangelo Gabriele si svolge all'aperto, nei pressi di un giardino, cinto da una balaustra, sotto lo sguardo del Padre Eterno che, circondato da angeli e cherubini, osserva la scena dall'alto. Il basso a destra la firma Angelus Mozzillo e la data 1781, apparse nel suddetto restauro, ne certificano la paternità e l'anno di esecuzione.
Firmata e datata 1800 è, invece, l'altra Annunciazione che si conserva nella chiesa dell'Annunziata di Rocchetta e Croce, già sede, in passato, della baronia dei vescovi di Calvi. Qui lo schema è, però, molto più semplificato e denuncia, anche per la non eccelsa stesura dei colori, il largo intervento di un collaboratore di bottega; superlativo, invece, l'inserto naturalistico del giglio, di sicura mano del maestro.
A Camigliano, infine, la chiesa patronale di San Simeone, accoglie sull'altare maggiore, insieme ad una Madonna Assunta che si conserva nell'attigua casa canonica, quella che è una delle ultime opere di Mozzillo, la Presentazione al tempio, firmata e datata ANGEL/MOZZIL/LO F./1806. Ispirata all'episodio evangelico dell'infanzia di Gesù narrato da Luca (2, 22-34), la tela si presenta con un impianto compositivo ordinato e composto dal quale emerge, giusto al centro, in una ricca ambientazione dominata da un tempio in cui si rintracciano spunti classici che traggono ispirazione dalle antiche architetture romane della vicina Santa Maria Capua Vetere, (verosimilmente dall'arco di Adriano), la barbuta sagoma di Simeone che accoglie Giuseppe e Maria con il Bambino Gesù. Alle sue spalle è tutta una schiera di figure che distribuite su più piani sovrapposti, conferiscono alla composizione un gradevole effetto di profondità. Più convenzionale, invece, è l'impianto compositivo dell'Assunta che, in ottemperanza alle indicazioni dell'arte controriformata, si presenta con la consueta immagine della Vergine mentre, con le braccia aperte e lo sguardo rapito, è trasportata in cielo da un coro di angeli e cherubini.
Franco Pezzella
(da Il Sidicino - Anno XVII 2020 - n. 7 Settembre)
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