TEANO
 
Tradizioni
 
Credenze e superstizioni
 
Le Janare
 

La credenza della strega, fin dai popoli primitivi, è universalmente diffusa, e non solo nelle classi più arretrate delle popolazioni. L’alta letteratura Greca preferisce evitare l’argomento, esso è tuttavia onnipresente nella mitologia (Medea, Circe). In epoca Ellenistica, però, come pure nella letteratura Romana le strigae sono un tema frequente, così come nella vita quotidiana. Si pensi ai moltissimi ritrovamenti archeologici su quel fenomeno che è conosciuto con il nome di defissione: su delle tavolette di piombo dette lamie (lamie è anche una variante del nome streghe) gli antichi romani scrivevano il malocchio desiderato ai danni di qualcuno, poi le inchiodavano e le sotterravano consegnandole così agli spiriti della notte (il fenomeno, in forme diverse, è sopravvissuto fino ai giorni nostri). Molta influenza hanno trasmesso queste credenze e tutta la mitologia classica ai periodi successivi: ancora oggi in un paesino della vicina Ciociaria la nostra janara si identifica con il nome di Zucculara e si crede debba il suo nome al fatto di portare degli zoccoli abbastanza rumorosi che riecheggiavano sul lastrico di un antico teatro Romano, sua riconosciuta dimora. E’ facile l’accostamento all’antica e terribile dea pagana Ecade, divinità della notte e dei trivi che secondo la mitologia pare fosse claudicante e calzasse un solo zoccolo dalla risonante suola di bronzo. La spiritualità cristiana, in seguito quindi, non riuscirà ad affievolire queste credenze così come molte altre radicate tradizioni pagane con le quali la chiesa dovrà fare un lungo cammino insieme. Anzi ad un certo punto della sua storia ai tempi della “Riforma e Controriforma” prese così sul serio il fenomeno delle streghe che lo farà assurgere a cultura ufficiale e costruirà intorno ad esso tutta una giurisprudenza per combatterlo. Così, purtroppo, intorno al secolo XV si aprirà un infausto periodo, per il mondo occidentale, che va sotto il nome di “Caccia alle streghe”e che durerà fino ai primi decenni del secolo XVIII. In questo periodo si calcola che non meno di un milione di persone siano rimaste vittime dei tribunali dell’inquisizione: le torture cui venivano sottoposti i malcapitati ma soprattutto le malcapitate, erano efferrate ed in alcuni casi rivoltanti e vergognose come l’impalamento, la garrota o l’immersione dello sgabello: naturalmente, sottoposto a tortura, ognuno confessava qualsiasi cosa per porre fine alle atrocità subite e finire infine puniti sul rogo. Con il secolo dei “Lumi” finalmente tale Schoa perse di forza fino a scomparire e la credenza delle streghe sopravvisse, nella cultura folclorica e popolare, e non solo, per arrivare fino ai giorni nostri.
Fino a qualche decina di lustri fa, nei luoghi domestici, la notte ci si muoveva a lume di candela, le ombre intorno si allungavano irregolari, mentre ogni cosa, gli oggetti, le distanze, le stesse angustie del giorno, sfumavano e rimpicciolivano nei cuori della gente. Nelle lunghe sere d’inverno, le sagome assonnate delle numerose famiglie che a semicerchio si raccoglievano davanti ai grandi camini, creavano sui muri anneriti alle loro spalle, immagini bizzarre che il tremolio della fiamma ravvivava e modulava in figure gioiose o sinistre a seconda dei fatti cuntati. Spesso i racconti parlavano di fatti di janare (o altrimenti dette Pantaseme) successi in quella casa o in villaggi vicini, erano quelli che tenevano col fiato sospeso e che a volte facevano drizzare i peli sulle braccia. Per questi cunti il giorno del sabato era tabù, non si poteva parlare delle streghe, ché era il giorno in cui esse andavano a convegno e i loro poteri si moltiplicavano e potevano sentire e fare le loro malìe anche a distanza. La Janara era una donna sottomessa al diavolo, normale di giorno, ma che la notte, dopo essersi unta con particolari sostanze, assumeva poteri soprannaturali e poteva volare, portata dal vento o da un cavallo che rubava dalle stalle, a far danno alle persone, agli animali e alle cose, poteva entrare attraverso le fessure delle porte e delle finestre ed era capace di organizzare tremendi malocchi anche mortali. Non di rado qualcuna di loro nei villaggi era tacitamente ammezzata e riconosciuta per tale, si evitava accuratamente per timore di indisporla ed attrarre la sua attenzione. Le Janare prediligevano, per fare del male, i bambini che ammatuntavano in ogni parte del corpo,palleggiandoseli o esponendoli al freddo della notte per farli ammalare. Spesso si parlava di animali domestici che durante le notti di novilunio impazzivano e la mattina venivano trovati sciolti dalle mangiatoie con gli arti spezzati. Non c’era contadino che almeno una volta non si fosse “vantato” di aver trovato al mattino la criniera della giumenta completamente intrecciata con trecce di soli tre crini: pare che questo fosse un piacevole passatempo per streghe. Esse potevano eccitare le piogge e le tempeste rovinando i raccolti o seccando alberi con le loro urine. Esistono accorgimenti per la difesa delle Janare: è credenza comune che esse nell’entrare di notte in una casa debbano contare tutto ciò che si trova dietro le porte o le finestre, pertanto era usanza, e tuttora  ne rimane traccia, deporre dietro le porte delle scope o dei sacchetti di sabbia o di fagioli, così attardandosi nel gravoso obbligo, il primo albeggiare le coglieva intente nella conta, ed erano costrette ad abbandonare il campo al giorno che sopraggiungeva. L’attenzione per questi racconti diventava totale, specialmente per i ragazzi, quando si parlava della cattura di qualche Janara: il padrone della casa quando si accorgeva che la sua dimora potesse essere frequentata da queste presenze, nascondeva una candela sotto una zuppiera da Cuonzulo (il Cuonzulo: lauto pasto che si portava, in una capiente zuppiera, ai parenti in lutto)e facendo finta di dormire restava sveglio tutta la notte, quando si sentiva per la stanza come un camminare di capra e la si aveva a taglio, si alzava la zuppiera e la strega, presa per i lunghi capelli, restava ferma in tutta la sua nudità a lume di candela. Con mosse studiate essa assumeva una posizione prona e, torcendo il capo come una civetta, con occhi di fuoco, incominciava con le maiulelle ad ammaliare il padrone di casa per essere lasciata libera: si prestava ad ogni sorta di favori, prometteva di lasciare tranquilla la famiglia per sette generazioni, o di moltiplicare i raccolti e gli animali nelle stalle. Ma il padrone sordo alle allettanti offerte le intimava, l’indomani, di venire per sale: era un comando al quale, secondo le scritture, non poteva sottrarsi, era questo un segno evidente per la comunità del villaggio, che quella donna, che alla luce del giorno sarebbe andata per sale, era una Janara, così si smauriceva pubblicamente. Il termine smaurice starebbe per maledire mentre maurire starebbe per benedire; azzardo una spiegazione etimologica del termine: i maurini erano una congregazione di monaci benedettini istituitasi nel 1618 quali seguaci di S. Mauro, essi certo non mancarono a Montecassino, nelle nostre zone ed a Teano in cui i benedettini stazionarono per decenni per le note vicende delle invasioni Saracene. A tarda sera, dopo i cunti sulle streghe e non prima che ogni litania e giaculatoria si fosse recitata, mandare a dormire i ragazzi sui freddi sacconi di paglia di pannocchie diventava un’impresa: i grossi ciocchi di radice si andavano consumando, le fiamme ammortite non proiettavano più sugli scalcinati muri nitide ombre, esse erano indefinite e fisse e rievocavano immagini sinistre per i ragazzi  che indugiavano patetici, seppur cascanti di sonno.
Nella nostra regione le streghe s’identificano con il nome di Janare (il nome deriverebbe dalla loro peculiarità di passare attraverso le porte che il latino traduce appunto ianua, -ae) ne troviamo un rimando nel XII secolo in un sonetto allegorico “Il FIORE” che molti attribuiscono a Dante, nel sonetto si fa riferimento alle Janare ed a un non meno noto noce di Benevento. Già nella tradizione Longobarda si parla di un albero di noce che San Barbato avrebbe fatto sradicare perché sotto di esso si andava per la tregenda e si adorava una vipera d’oro. Pare però che il noce sia rinato, come albero sempre verde più rigoglioso che mai, nello stesso posto dove fu abbattuto, lungo il fiume Sabato presso la Ripa delle Janare. L’albero, fra la notte del venerdì ed il sabato, diventerà luogo di convegno: lì, presso la ripa, le streghe si bagnerebbero nell’acqua del fiume e adorerebbero il demonio… “… ove ognuna racconta le malvagie gesta della settimana, che per ricompensa, ottengono banchetti, feste, sfrenati balli e tripudi d’ogni genere, giocando alla cavallina e fornicando animalescamente insieme con lui che ha sembianze di caprone per tutta la notte”. L’avvento dell’energia elettrica ha illuminato anche la più sperduta masseria, le ombre si sono dissolte, la televisione, le macchine ed ogni “civile“ modernità, hanno affievolito l’ancestrale timore delle streghe, lasciando il posto, nell’immaginario collettivo, ad altre paure ed ansie forse ben più angoscianti. Ma c’è chi giura, ancora oggi, che la notte avverta un peso sullo stomaco e svegliandosi di soprassalto, nel buio profondo della stanza, senta un sinistro ticchettare come un camminare di capra che si avvia verso l’uscio, e prima di udire un sinistro sibilo, scorge due tremendi occhi di fuoco che lo fissano.

Carlo Antuono
(da Il Sidicino - Anno V 2008 - n. 4 Aprile)