A cura di Antonio Martone, la trascrizione del testo musicale è del M° Guglielmo De Maria.
Introduzione - Il canto che ora presentiamo è preso dal fascicoletto pubblicato dal Museo della Civiltà Contadina e Artigiana di Pignataro per l'inaugurazione della terza sala museale dedicata a Francesco Palmesano il 4 luglio 2009; in quella occasione il canto fu eseguito assieme a molti altri dal gruppo “Arianova” (tra i cui membri principali sono da annoverare Giacomo D'Angiò, Lucio Palumbo, Giovanni Giordano, Giovan Giuseppe Rotolo, Vincenzo Magliocca ecc.) che discende dal Collettivo TG (Teatro Giovane) nato a Pignataro negli anni 70; il canto è stato raccolto dallo stesso gruppo.
Nella trascrizione del testo letterario, ci siamo permessi di apportare qua e là delle lievi modifiche che riguardano il modo di scrivere il dialetto napoletano (a nostro giudizio esso va trascritto nella forma più vicina possibile alla lingua italiana, facendo presente che la vocale finale di ogni parola, qualunque essa sia, purché non accentata, si pronuncia in maniera indistinta); inoltre, alcuni versi sono stati accorciati (siamo convinti che il volgo nel cantarli li ha allungati) in considerazione del fatto che dal punto di vista metrico si tratta di sei distici di endecasillabi, alcuni dei quali sono tronchi; i versi pari rimano, ma non nelle prime strofe dove comunque aràpe (v.4) richiama 'rapire (v.2); c'è inoltre da osservare che al principio dei versi pari si aggiunge nel canto una esclamazione (oé), che è anche una specie di intercalare.
Il contenuto del canto - Un giovane innamorato insiste testardo per entrare nella casa della ragazza; ma la porta resta chiusa (il verbo “aprire” nel nostro dialetto diventa arapire; nel pres. ind. apre diventa aràpe con la metatesi della R che si sposta davanti alla P), perché i genitori di lei la vogliono maritare a qualche vecchio facoltoso.
Il giovane però non desiste, piuttosto è pronto a morire; dovranno strisciare per terra, come fanno i serpi, coloro che gli si oppongono; e lancia maledizioni: che possa essere ucciso chi vuol maritare la ragazza!
Il tono dell'ultima strofa è decisamente più realistico: le vogliono dare come marito uno smidollato, senza forza, tenero come la lattuga e sciacquo come certe uova il cui tuorlo è diventato acqua; incapace di farle nemmeno una carezza (al maschile nel testo dialettale); e quando si è coricato a letto, per farlo girare (vutare: voltare) ci sarà bisogno di ricorrere a delle “varrelle” (diminutivo di barre, per il noto scambio B-V, aste di legno o di ferro).
Antonio Martone
(da Il Sidicino - Anno IX 2012 - n. 1 Gennaio)