TEANO
 
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Un sesquipedale obbrobrio!...
 

UNA PIAZZA CREATA DALLA GUERRA
Si fa un gran parlare del rifacimento di piazza Giovanni XXIII, luogo da tutti conosciuto, se non altro perché da esso trae accesso l'edificio che ospita l'ufficio postale, a due passi da Piazza Municipio, nelle immediate vicinanze del Duomo.
Nel corso degli anni questo luogo ha subito molteplici variazioni, sia sotto il profilo dell'impianto urbanistico, che sotto quello dell'arredo. Anzi, per la precisione, fino alla seconda guerra mondiale la piazza proprio non esisteva.
Non è, quindi, superfluo precisare che, prima degli eventi bellici del 1943, l'area dell'attuale piazza risultava pressocché completamente edificata.
Lungo Via Ginnasio, i fabbricati De Quattro e Cipolla occupavano l'area antistante l'ufficio postale e quella compresa all'interno della bianca fascia di demarcazione attuale.
I bombardamenti alleati distrussero completamente il palazzo già proprietà Cipolla, seminarono lutti anche nelle aree adiacenti, facendo vittime anche tra le Crocerossine presenti nell'edificio del Seminario occupato dai tedeschi; e uccisero per beffa del destino, nel palazzo Capaldo, alcuni componenti della famiglia Pironti, editori napoletani, sfollati a Teano per sfuggire ai continui bombardamenti di Napoli.
Dopo la guerra la zona veniva indicata come "Dietro le macerie": dove quel "dietro" stava ad indicare la
relazione dell'area con la via principale di Teano, ossia il Corso, rispetto al quale risultava appunto “retrostante”. Tale indicazione topografica permase anche in seguito, quando, dopo una prima sistemazione, la zona della piazzetta veniva indicata come "Dietro i giardinetti". E così è stato fino a ieri.
Successivamente, verso la metà degli anni '60, un altro grave evento interessò l'area della piazza, ma per fortuna senza conseguenze drammatiche, modificandola sostanzialmente e condizionandone per lungo tempo la fruibilità. Infatti, a causa di un improvviso cedimento del terreno, attraversato dall'antica condotta fognaria, si verificò il crollo del palazzo De Quattro, prospiciente i due vicoli. Di conseguenza l'area circostante il fabbricato crollato, ingombra di macerie, fu recintata con un muro in tufo. Disvelata dal crollo, infissa sulla parete dell'ediiicio retrostante, ha fatto bella mostra di sé, per lungo tempo, una grande testa di cavallo in gesso posta sulla porta della rimessa che un tempo serviva le carrozze da noleggio di Giuseppe «'u Sparanisuolo»: un paio di carrozzelle e un break.
Contemporaneamente fu murato l'accesso da Corso Vittorio Emanuele al Supportico Ginnasio che oggi conosciamo come “Vicolo dell'Arte”.
Di lì a poco, si sarebbe completata anche la costruzione della nuova Confidenza Castallo, sulle macerie del palazzo del Barone di Puglianello di cui resta il bel portale durazzesco-catalano. Dalle due verande realizzate al primo e al secondo piano, gli anziani, per anni, hanno potuto godere di una bella veduta sulla piazza.

NASCE LA PRIMA PIAZZETTA
Delimitata da un marciapiede, si componeva allora di quattro settori, di forma irregolare, a loro volta delimitati da un gradino in pietra chiara. Ciascun settore era adibito ad aiuola, per la verità non particolarmente curata (vista anche la facilità di accesso che ne consentiva la calpestabilità a chiunque: compresi i cani randagi, all'epoca alquanto numerosi): in origine vi erano stati piantati degli oleandri. Nell'area centrale, troneggiava una fontana che si sviluppava su tre livelli e ospitava pesci rossi, periodicamente asportati e, quindi, rimpiazzati. Lo zampillìo scaturente dalla bocca dì un delfino sorretto da un putto, a ripensarci, mi fa tornare in mente alcuni versi di una celebre poesia di C. F. Meyer: Alto il getto, empie vadendo / la marmorea coppa in tondo / che trabocca, sé velando / in un'altra coppa al fondo. Non distanti dalla fontana, quattro panchine in ferro fungevano da comoda seduta per i 'vecchietti" del vicino ospizio, nelle giornate in cui il tempo era clemente, e consentivano loro di godere di una dolce battuta di sole.
Ricordando quei tempi, sia consentita una digressione. Mi piace pensare che il sole abbia potuto mitigare il mal di vivere che all'epoca, prima metà degli anni '70, affliggeva un nostro caro concittadino solito attardarsi nella piazzetta nel primo pomeriggio. Lo ricordo malconcio, trasandato, capelli e barba tali da renderlo il ritratto vivente di Robinson Crusoé; per me, che all'epoca ero poco più che un bambino, si trattava di una presenza inquietante, che incuteva timore; ma le parole che egli pronunciava, quando mi vedeva attraversare la piazza con il cane al guinzaglio, erano tutt'altro che ostili, tutt'altro che dure. Erano un inno alla Libertà: “Ma lascialo libero, lascialo andare". Parole, probabilmente, indirizzate a se stesso, traccianti una via di fuga da una vita segnata da un'invincibile angoscia esistenziale. Addio, ragioniere!

UN LUOGO DI RITROVO
Come l'ho conosciuta inizialmente, la piazza si presentava sempre piena di vita. Non solo perché, fino agli anni '90, anche i terranei del Palazzo Palmieri erano abitati, ma, soprattutto, perché l'edificio del Seminario ospitava alcune aule delle Elementari, prima, per divenire poi sede dell'lstituto “Foscolo”. Questo faceva sì che, fin dalle prime ore del mattino, la piazza si animasse, con la presenza di tante ragazze e ragazzi, per la maggior parte provenienti dai paesi limitrofi, che con i professori e tutto il personale, venivano risucchiati, alle 8,30, dal grande portone d'ingresso; quasi che il pifferaio magico avesse tradito il suo delicato strumento, in favore del più intenso, elettrico, trillo della campanella.
A metà degli anni '70, la piazza fu prescelta per ospitare anche un paio di edizioni della Festa de “l'Unità”. Per chi non ne avesse memoria, si trattava di feste di partito (l'allora Partito Comunista Italiano), improntate sulla falsariga delle sagre, che si sostanziavano di attività divulgativo - propagandistiche, e presentavano, all'interno del "contenitore", momenti dedicati al dibattito politico ed eventi di autentica valenza culturale: erano feste caratterizzate sempre da una grande partecipazione popolare.
Ricordo ancora che, proprio in una delle edizioni tenutesi nella piazza, il compianto maestro Mario Carpine aveva avuto la brillante intuizione di allestire una mostra di pittura, sfruttando le pareti dell'appena riaperto Supportico che ribattezzò "Vicolo dell'Arte” e come tale è riportato attualmente sulle moderne mappe digitali!
E sempre in occasione di una di tali feste, era il 1976, ricordo una gara tra complessi musicali, terminata con la vittoria di un "ensemble" composto in prevalenza da nostri concittadini, il cui leader, tuttora impegnato sia sul fronte canoro che su quello della poesia, nonché apprezzato sassofonista, nel congedarsi dagli spettatori entusiasti, al termine dell'ennesimo "bis", si lasciava andare all'annuncio di un'alquanto improbabile tournée che avrebbe, a suo dire, visto protagonista il gruppo in terra nipponica.
Sul finire egli anni '70, la Piazza cambiò nuovamente i connotati.
Nell'area un tempo interdetta, si provvide a costruire l'edificio postale; la cui realizzazione vide, quali spettatori in prima fila, noi, all'epoca studenti del "Foscolo", dai cui balconi potevamo verificare lo stato di avanzamento dei lavori; pieni di ammirazione nei confronti delle maestranze all'opera, in virtù delle moderne tecniche utilizzate, illustrate a noi diplomandi in ragioneria dai colleghi di studio, futuri geometri.
Alla sinistra del cantiere, alla base cioè del ristrutturato palazzo che fu dei Salvi e ora è proprietà Pelliccione, si era nel frattempo reso disponibile un locale, divenuto sede di una meritoria associazione, fondata da nostri giovani concittadini, il Gruppo Autonomo per Teano, per anni organizzatore di una delle più suggestive manifestazioni locali, degli ultimi decenni, e di cui, purtroppo, tutti sentiamo la mancanza: mi riferisco alla rappresentazione del Presepe Vivente che per tanti anni ha avuto per scenario la collina di S. Antonio. Alla medesima Associazione faceva capo anche un'attività allora pionieristica nel campo delle comunicazioni: la gestione di una delle prime radio “libere” (così definite all'epoca): Radio Uno Teano che trasmetteva dall'ultimo piano del Seminario.
Gli anni '80 si aprirono nel peggiore dei modi: il 23 Novembre del 1980, anche la nostra cittadina subì l'onda lunga del grave sisma che sparse distruzione e morte in Campania e Basilicata. La piazza, che nel corso del tempo era stata sempre più abbandonata a se stessa, divenne, la notte dopo il sisma, ricovero di fortuna per molti; perlomeno per coloro che non ritennero opportuno spostarsi in luoghi più aperti; così fu anche per la mia famiglia. Svegli, nella piazza, durante quella notte (lo ricordo come fosse ora: erano l'una e mezza circa), avvertimmo chiaramente una delle più forti scosse dì assestamento; che fece oscillare a lungo, sotto i nostri occhi, l'alto lampione a quattro luci.
In quel periodo, nei locali sottostanti Palazzo Chianese si insediò l'Autoscuola Marrese, che ancora oggi vi svolge la propria attività. Negli anni seguenti, l'Amministrazione Comunale provvide a una nuova sistemazione della Piazza e, pertanto, lungo i due lati fronteggianti Via Ginnasio, fu realizzato un muretto, praticamente senza soluzione di continuità (le trascurabili interruzioni erano dovute a piccoli spazi dove trovavano alloggio i lampioni a forma di globo), con un piano in pietra a fungere da seduta e un corrimano in ferro, con funzione principale di spalliera. Sul lato che confina con l'area antistante l'edificio delle Poste, furono realizzati due sedili con le medesime caratteristiche sopravvissuti anche all'ultimo rifacimento. Su quello di palazzo Pelliccione, un'aiuola correva fino all'ingresso del terraneo, per alcuni anni divenuto, nel frattempo, sede di un noto, storico, negozio di abbigliamento; e in seguito occupato da un patronato, oggi dal sindacato pensionati della CGIL.
All'interno del perimetro così delimitato, quattro settori di forma triangolare, circoscritti da un gradino, erano stati realizzati su un declivio, di modo che, in posizione sopraelevata, al centro, risultava sistemata una fontanella; da essa si dipartivano quattro anguste discese che terminavano ai quattro angoli della piazza. Nelle aiuole, una vegetazione forse troppo fitta (formata, tra l'altro, da belle magnolie), che unita al dislivello rendeva poco praticabile l'area. E difatti, non era più così frequente vedere gli anziani ospiti della vicina casa di riposo intrattenersi nella piazza. Cionondimeno, non era raro imbattersi in qualche persona, per lo più studenti o genitori con i bimbi, intenti a riposare o a giocare, presso la fontana, all'ombra degli arbusti; spesso allietati, nella loro permanenza, dalle prelibatezze della Pasticceria Chiacchio, che aveva trovato sede in un locale affacciato sulla piazza e che per un buon quarto di secolo ha addolcito le nostre giornate. Da alcuni anni nel locale si è installata la Tipografia Fiore.
Con il trasferimento del “Foscolo” nel nuovo edificio di Orto Ceraso, sul finire degli anni '80, la piazza perse gran parte del suo vitalismo. Privata dei “suoi” studenti, l'unica folla, periodicamente presente, divenne quella dei pensionati, i quali, in trepidante attesa presso l'ufficio postale, davano origine a file che si ingrossavano man mano, a partire dalla notte precedente la giornata prevista per il pagamento.

COME FINIRA'?
Forse anche per rivitalizzare la piazza (veniamo, così, ai giorni nostri) l'Amministrazione Comunale ha deciso di compiere una sterzata di 180°, quanto alla destinazione funzionale dell'area. Assecondando una tendenza presente in più centri della nostra provincia, che mira all'abbattimento del “digital divide”, attraverso la realizzazione di punti pubblici dotati di sistema Wi-fi (che consente il collegamento wireless ad Internet), forse con installazione di terminali ad uso dei cittadini. La progettazione preliminare dell'opera è di un giovane architetto nostro concittadino.
Caduto di recente anche l'ultimo velo, abbiamo potuto osservare da vicino l'avveniristica composizione realizzata, che tuttavia, francamente, appare alquanto decontestualizzata. Soprattutto per la presenza di un'imponente, incomprensibile, struttura metallica, verniciata di bianco; ma anche per il sistema di illuminazione che, avvalendosi di punti luce inseriti nella pavimentazione, crea un’ambientazione post-moderna, al cui confronto diventano antichi anche i lampioni con proiettori a luce bianca, presenti nelle immediate vicinanze della piazza, di per sé già incoerenti con quelli a luce gialla presenti nel resto del centro storico. Il “verde” mantiene, per ora, una sua timida presenza con piccole aiuole; ma va detto, ad onor del vero, che l'opera appare ancora “in fieri”. Si avverte comunque netta la sensazione di trovarsi davanti a un format “chiavi in mano”, maldestramente calato in un contesto improprio. Ad oggi, l'unica cosa certa è che l'avvenuta eliminazione, a norma di legge, di qualsiasi barriera architettonica, quindi il livellamento del piano di calpestio al piano stradale, ha comportato lo scoperchiamento del vaso di Pandora, la percezione della primaria esigenza che avvertono i “fruitori” dei nostri centri storici: la creazione di spazi! Tant'è che, finora, in piazza Giovanni XXIII si realizzano solo due attività: il vecchio gioco del pallone, da parte dei ragazzini, e il surrettizio parcheggio delle auto da parte dei tanti utenti delle Poste, del Comune, della Curia, dell'Ospedale e delle attività commerciali poste nelle vicinanze.
Ma forse, il Papa Buono, sarebbe contento così.

 

Antonello Boragine
(da Il Sidicino - Anno VI 2009 - n. 4 Aprile)