TEANO

 
Territorio e attività
 
Agricoltura e prodotti autoctoni
 
Agricoltura e prodotti autoctoni
 
L’olio di S. Massimo tra innovazione e tradizione
 

Le risorse ambientali, paesaggistiche, storiche e culturali, sono la carta d’identità di un territorio e ne rappresentano il patrimonio fondamentale da conservare, salvaguardare e valorizzare,  ai fini di una  crescita  sociale ed economica che privilegi anzitutto la sostenibilità e  la qualità.
In quest’ottica, condizione essenziale, imprescindibile, per innescare un processo  virtuoso che dia spessore e sostanza alle  strategie da porre in essere, e alle conseguenti  iniziative da intraprendere, è una visione d’insieme dei fitti e inestricabili intrecci  tra le varie componenti in gioco, che rappresentano ognuna una tessera di un mosaico complesso e peculiare che caratterizza la storia millenaria della nostra città, e delle dinamiche storico sociali che l’hanno interessata.
Tenendo ben ferme le coordinate date dalle preesistenze architettoniche, archeologiche e artistiche, frutto della stratificazione delle varie civiltà succedutesi nel corso del tempo, e quelle ambientali, naturalistiche e agricole, in un quadro di riferimento che colleghi passato e presente, tradizione ed innovazione, in un rapporto simbiotico tra uomo e territorio.
Favorendo la creazione di ambiti territoriali, con parchi archeologici e naturalistici, e considerando l’agricoltura come espressione di quel rapporto uomo-terra che racchiude, nelle proprie radici, un patrimonio incommensurabile di valori ed eccellenze.
Rimarcando l’enorme valore che le risorse naturali e le colture agricole, strettamente legate al territorio, hanno significato, e continuano a significare, per la storia delle genti che l’hanno abitato, tenendo sempre ben presente il corso storico degli eventi che hanno caratterizzato e orientato le loro scelte.
Pertanto, riandando indietro nel tempo, occorre evidenziare che la fertilità dei terreni, la conformazione morfologica, la presenza di corsi d’acqua e di boschi rigogliosi, il clima mite e temperato, sono stati i fattori principali che hanno dato luogo, nel tempo, ai  primi insediamenti umani sul nostro territorio.
Fin dai tempi antichi Teanum Sidicinum, la seconda città per importanza della “Campania felix” dopo Capua, e la più grande sulla Via Latina (Strabone), fu rinomata per le acque termali e rappresentò uno dei più floridi granai del mondo romano. Parte del suo territorio ricadeva all’interno dell’ “Ager Falernus”, agro compreso tra il fiume Volturno, il Monte Massico, e il Savone che a quei tempi rappresentava un’importante arteria fluviale di comunicazione tra la costa e l’interno, con campi disseminati di grano, uliveti e vigneti.
Vigneti che producevano quello che fu uno dei vini più celebrati e noti dell’antichità, il vino per antonomasia: il Falerno, che a Teano, per la particolarità dei terreni e del clima, diede origine, molto probabilmente, allo “Statano” una delle sue  tre qualità.
L’importanza di questa bevanda, e il suo uso, che divenne molto comune in ogni strato della società sidicina, è ampiamente documentata dai vari rinvenimenti archeologici: basti pensare ai vasi a figure rosse, e ai pregevoli frammenti di un’anfora attica,  con la rappresentazione del culto di Dioniso, dal Santuario  della “’Masseria Soppegna”, e alle tante anfore da trasporto, brocche, coppe e crateri, a ceramica nera, dalle varie necropoli urbane e dei pagi circostanti.
Infine, dagli ultimi rinvenimenti, costituiti dai corredi funerari della necropoli di “Settequerce” dove, oltre a quelli con ceramica da banchetto riferita al consumo del vino, se ne è ritrovato uno, interessantissimo e ricco, appartenente ad un importante personaggio sidicino del IV secolo a.C., formato da uno scettro, un servizio da vino composto da vasi di bronzo, colini e un singolare filtro dalla forma di fiore di papavero usato, forse, per aromatizzarlo con qualche spezia o droga.
Assieme ai vigneti, verdi e lussureggianti distese d’ulivi “olea prima omnium arborum est” (Columella, “De re rustica”), caratterizzarono quella che  fu la produzione agricola più pregnante e di prestigio: l’olio. Un prodotto fortemente ricercato per la molteplicità dei suoi usi, impiegato per l’igiene, per i massaggi, come base per unguenti e cosmetici,  come combustibile per le lucerne, come simbolo di sacralità, nei rituali religiosi, ma principalmente come eccellente alimento.
Produzione riconosciuta per superiorità  e qualità da Plinio che, nell’ ”Historia naturalis” XV, 16 “Quam ob causam Italicis transmarinae praeferuntur in cibis, cum oleo vincantur, et in ipsa Italia ceteris Picenae et Sidicinae”, magnificava l’olio sidicino.
Questo patrimonio storico di colture tradizionali, sviluppatesi e consolidatesi nel corso dei secoli, con  produzione vinicola attiva fino agli inizi del  novecento e con una miriade di frantoi oleari sparsi sull’intero territorio comunale, è stato, purtroppo, fortemente intaccato, e svilito, dopo la seconda metà del secolo scorso, dal sogno deleterio di un’industrializzazione trapiantata di sana pianta  e senza alcun  riferimento e ancoraggio al territorio e alle sue esigenze. Sogno svanito nel giro di pochi anni, ma che comunque ha lasciato pesanti eredità. Inoltre, il germogliare rigoglioso di aziende specializzate in produzioni svincolate da qualsiasi logica di mercato, con il prevalere di un’agricoltura intensiva di rapina e di sfruttamento abnorme dei terreni, che negli anni fomentarono la pratica  deplorevole e immorale dell’ammasso e distruzione di enormi quantità di frutta (pesca), per ottenere gli aiuti statali (AIMA), ha collassato e quasi distrutto e cancellato quel sistema sedimentato e naturale.
Fortunatamente, però, negli ultimi anni si nota un’inversione di rotta e si avverte una sensibilità più marcata degli operatori, e alla quantità  si privilegia la qualità,  grazie anche alla Riforma del 2003, con cui l’Europa non da più aiuti agli agricoltori per il loro ”status” ma per le produzioni di qualità.
In più, in epoca di mercato globale, di cambiamenti climatici e squilibri ambientali, diventa quasi  imperativo categorico ridiscutere il tutto, e alla visione di un’agricoltura intensiva di tipo industriale, dominata da concimi chimici,  pesticidi, erbicidi, che risultano grave fonte di inquinamento planetario, occorre contrapporre il ritorno ad un’agricoltura che ripristini il sistema naturale delle colture locali, eliminando le monocolture, valorizzando le biodiversità, con prodotti di  qualità che enfatizzino  il rapporto con il territorio di origine, e con tecniche di produzione biologiche.
E’ in questo contesto che gran parte dell’area settentrionale della regione, compreso il nostro territorio, sta modificando e riconvertendo la  propria agricoltura, salvaguardando le specificità locali e re-istituendo percorsi e metodologie naturali, con il raggiungimento di una qualità mediamente alta dei prodotti agricoli, con punte altissime per quanto riguarda le produzioni storiche del vino e dell’olio.
Basti pensare che in soli pochi lustri si è avuto un fiorire di aziende medio piccole che, privilegiando vitigni autoctoni (Aglianico, Piedirosso, Falanghina) e con l’ottenimento della D.O.C. per il “Falerno” e il “Galluccio”, hanno prodotto e imposto a livello nazionale, ed in alcuni casi internazionale, vini di qualità eccezionale, che riviste specializzate premiano sempre più frequentemente: come il “monumentale” “Terra di Lavoro”  di Fontana Galardi.
Teano, purtroppo, risulta ancora fuori da queste realtà, pur ricadendo pienamente nell’area del “Falerno”, però, in compenso, la coltivazione dell’ulivo e la produzione dell’olio si va sempre più rafforzando, grazie alla presenza di tante varietà autoctone che ne determinano la qualità e la tipicità, che gli agricoltori  selezionano e portano a livelli d’eccellenza, tra cui: la Corniola, la Sessana, l’Olivella, la Tonnella, la Tenacella, la Moraiola, l’Ogliarola, la Pignarola. Oltretutto, con la definizione delle procedure per il riconoscimento della denominazione di origine protetta (D.O.P.) “Terre Aurunche” e con il relativo disciplinare di produzione all’esame del MIPAAF, interessante 17 comuni compreso il nostro,  si è ottenuto un formidabile strumento di promozione del prodotto  e di garanzia  per i consumatori.>
Tra le aziende protagoniste in questo settore, con produzione di grande qualità certificata, frutto di sapiente intreccio tra metodologia tradizionale e innovazione,  è il caso di citare l’”Azienda Agricola Masseria S. Massimo”  di Orlando Vagelli, con  6 ettari di uliveto specializzato, con magnifici esemplari secolari e moderno impianto con alberelli a forma libera, posizionata su di un ameno colle alle spalle del Santuario di S. Antonio.
Dopo i riconoscimenti ottenuti l’anno scorso, culminati con la partecipazione all’ ”esposizione mondiale dell’extravergine” tenuta a Foligno, ”Masseria S. Massimo” per  il secondo anno consecutivo è presente sulla prestigiosa rivista “l’Extravergine”, guida ai migliori oli del mondo di qualità accertata, edita dalla “Cucina & Vini”.
Se raggiungere un traguardo importante risulta difficile ed oneroso, il mantenerlo e consolidarlo è quasi sempre un impresa ardua, ma la tenacia, la passione e le competenze di Orlando Vagelli, secondo le eloquenti note di presentazione del critico enogastronomico Marco Oreggia, hanno  avuto la meglio:  “ottima anche la selezione proposta quest’anno, con l’extravergine da agricoltura biologica, Masseria S. Massimo, che (…) al naso si offre complesso e fine (…) al gusto ampio e avvolgente (... ) Amaro potente e piccante contenuto e dosato”. Giudizio ribadito e rafforzato dal mensile “A Tavola” del luglio scorso, dove l’olio di S. Massimo è stato presentato, ed elogiato, in una ristrettissima selezione di oli nazionali.
La “Masseria S. Massimo” è stata, inoltre, invitata alla manifestazione “Processo all’olio di oliva: la verginità ha ancora un valore? Indagine semiseria su un succo eccellente”, organizzata dal Dipartimento di Chimica Farmaceutica e Tossicologica dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, del 29 settembre 2007, ove l’Associazione Analisti Sensoriali Associati della Campania ha previsto dei percorsi di analisi sensoriale di oli d’oliva.
A queste realtà, che rappresentano le evidenze più autorevoli e meritorie, altre se ne possono aggiungere, in un ambiente ricco di prodotti autoctoni di grande varietà e qualità, come la mela annurca, le nocciole, e le castagne tra cui la nostra “Paccuta”, di cui si è attivato il procedimento per il riconoscimento della denominazione d’origine protetta.
Chiaramente, per far sì che ciò si avveri,  bisogna superare l’inefficienza di un sistema che lascia gli agricoltori soli, senza alcun ausilio, in un mercato sempre più complesso e vorace. Occorre che tutte le forze sociali, economiche e politiche, in sinergia tra di loro, operino per l’attivazione di filiere produttive, corte ed efficienti, per la produzione, la raccolta, la trasformazione e la commercializzazione dei frutti della nostra terra.

Martino Amendola
(da Il Sidicino - Anno IV 2007 - n. 10 Ottobre)

 
Uliveto in località S. Massimo (Foto di Orlando Vagelli)