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Erchemperto, D. Faustino e il Capitano Becker

 

Sono passate le quindici da più di un quarto d'ora e la visita a S. Benedetto deve avere inizio, ma D. Faustino non è ancora giunto. Non ha perso la strada perché è venuto da Conca incolonnato con le auto di altri partecipanti, eppure è ancora assente. Passano pochi minuti e giunge con passo rapido e felpato, si scusa del ritardo. È stato a S. Antonio. A vedere il convento dal quale partì l'iniziativa del capitano medico tedesco Massimiliano Becker di porre in salvo i tesori di Montecassino. Il capitano tedesco, che alloggiava nel convento teanese quando Teano era occupata dalla divisione Goering, si recò a Montecassino, accompagnato dal Guardiano del convento P. Carcaterra e dal P. Califano, per proporre all'Abate Diamare il piano di salvataggio delle opere d'arte, piano che fu poi provvidenzialmente attuato.
L'odierno Archivista è andato a rendere omaggio al colto ufficiale tedesco che nel fragore delle armi prese a cuore le sorti del suo inestimabile Archivio.
Mentre la professoressa Autieri illustra ai partecipanti arte e storia del cenobio teanese, D. Faustino volge lo sguardo alle colonne, alle arcate, ai capitelli. Ha il volto trasfigurato. È finalmente entrato nel luogo che, come ha confessato in mattinata a Conca, per tantissimi anni ha intensamente desiderato visitare. Forse non presta molta attenzione all'erudita illustrazione della nostra consocia e anche io mi distraggo, tutto preso dall'osservare il Monaco e lo Studioso che stanno entrando in contatto con il passato.
È questo il luogo dove tante volte pregò il povero Erchemperto, continuamente afflitto da spoliazioni e vessazioni, e qui pregò in lacrime Angelario nel momento in cui apprese che l'abate Bertario e i monaci cassinesi erano stati trucidati dalle orde saracene e vide ricadere su di sé l'intera responsabilità di tutta la comunità cassinese.
D. Faustino forse sta rivivendo quelle scene e forse anche quelle, non meno drammatiche, dell'incendio che sul finire del IX secolo ridusse in cenere tanti cimeli e la Santa Regola vergata di pugno su papiro dal Santo Patriarca. Non riesco a distogliere lo sguardo dalla sua figura ieratica.
Lo vedo poi dirigersi lentamente verso l'abside, posare adagio la mano sull'ultima colonna che ancora in parte è prigioniera della muratura realizzata nell'Ottocento per creare il piccolo presbiterio intorno all'altare. La sua mano si muove molto lentamente sul marmo reso opaco da secoli di abbandono, lo sfiora come per dare una carezza a una reliquia e in quel gesto mi sembra di scorgere la ricerca di un contatto con i monaci di quel secolo di fiamme e di morte, come per offrire loro il conforto d'un confratello. È un gesto che si realizza lontano nei secoli ma è vicinissimo per la sua forte carica di comunione. A quella vista mi balza in mente il rito, cui tante volte ho assistito a Montecassino, che conclude il vespro, quando tutti i monaci fanno circolo intorno alla tomba del Padre Benedetto per cantare in suo onore l’inno “Signifer invictissimus”. Ricordandone parte a memoria, sento riecheggiare in me le prime strofe, ma la voce non è quella d'un coro, non viene da lontanto, è una sola voce, sommessa, pacata.
È la voce di un Monaco che inneggia al Patriarca e ai suoi antichi padri: Angelario, Leone, Galdo, Lupoaldo, Ardovino, Isembrando, che quando si assisero sulla Cattedra di S. Paride divennero anche nostri Padri.

Guido Zarone
(da Il Sidicino - Anno VI 2009 - n. 3 Marzo)