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26 ottobre: la tragicommedia

 

Le manifestazioni storico-gastronomiche per il 146° anniversario dell'incontro si sono appena concluse. ll Museo Garibaldino è stato nuovamente aperto e chiuso a mo' di una Porta Santa, così come è tornata nell'oscurità la famosa stalla assuna per qualche giorno all'insperato rango di locanda con arredo d`epoca.
Si e spenta anche l'eco delle stimolanti note lanciate alte da fanfare, bande e cori di bambini. È svanita pure l'intensa emozione suscitata dal solenne conferimento della cittadinanza onoraria di Teano alla signora Garibaldi. Dei sapori risorgimentali gustati nelle piazze resta ormai solo il ricordo struggente in raffinati palati.
Anche per quest'anno è calato il sipario sul tradizionale appuntamento patriottardo di fine ottobre, che ha visto scendere in campo un forte apparato di truppe e di cucinieri, ma scarsissima risonanza ha avuto extra moenia. Anzi, mentre a Largo Croci si svolgevano le celebrazioni teanesi, dalla Tv nazionale Magalli ricordava a milioni di telespettatori che l'incontro avvenne a Vairano e non aTeano.
ll 26 ottobre è diventato un appuntamento ricorrente, come la festa patronale, la fiera di S. Antonio e la sagra degli antichi sapori. Poco più, poco meno. Ma, mentre quelle feste ricordano il patrocinio del Protettore, l'inizio dell'estate e la spensieratezza della festa di popolo, la ricorrenza del 26 ottobre, che dovrebbe evocare il drammatico epilogo d`uno scellerato disegno espansionistico, è
diventata la vetrina caricaturale di improbabili sapori risorgimentali. Per dirla con Giacinto De Sivo: un buffo atto postumo di una Tragicommedia.
Nessuno, sano di mente, può oggi mettere in discussione l'unità nazionale, ma tutti dovremmo essere
consapevoli che quel tipo di unità non fu vera unità, fu semplicemente un'incondizionata annessione, cui seguì la peggiore delle colonizzazioni.
La guerra, mai dichiarata, alla Nazione Napoletana fu vinta con la corruzione pagata con gli stessi soldi dei vinti. Le battaglie dei Mille in Sicilia non furono che simboliche scaramucce, semplici messe in scena per consentire ai generali napoletani, riempiti di carta moneta dall'ammiraglio Persano, di far suonare al più presto la ritirata. Persano distribuiva a piene mani carta-moneta; più carta che moneta, emessa da un Regno, quello sardo, che era indebitato oltre misura ed era ormai alla bancarotta. Non aveva alcun valore. L'unificazione delle finanze, grazie alle pingui risorse delle Due Sicilie e al cambio del ducato con la lira, criminosamente fissato alla pari, valse a far pagare allo stesso popolo tradito il prezzo del tradimento, che non fu di trenta denari.
Quel che seguì è noto: il genocidio di masse contadine per combattere i cosiddetti briganti, lo smantellamento o il trasferimento al nord dell'industria meridionale, l'emigrazione da Esodo verso le Americhe. Non mancò nemmeno l'umiliazione di vedere Cesare Lombroso attorniato dai suoi seguaci misurare il cranio dei contadini del Sud, catturati come presunti briganti, per dimostrare, con le sue teorie positiviste, che i Meridionali nascevano briganti. Eppure sui monti, dove avevano trovato malsicuro rifugio quei contadini che presagivano quale sarebbe stata la comune sorte delle popolazioni del Sud, c'era chi placava la disperazione con il canto: “Omme se nasce, brigante se more...“. Brigante non si può nascere.
Nella sarabanda di canti, pizze e frittelle consumate all'augusta presenza di Donna Anita, ci sarà stato qualcuno che avrà pensato al dramma che il popolo meridionale sta ancora vivendo?
Osiamo sperarlo, contro ogni speranza.

Guido Zarone
(da Il Sidicino - Anno III 2006 - n. 11 Novembre)