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Un ufficiale teanese sottoscrisse la resa di Messina

 

Il 13 febbraio 1861, dopo tre mesi di assedio, piegata più dal tifo che dagli incessanti bombardamenti dell'esercito piemontese, la fortezza di Gaeta capitolava.
Ai vinti, tutti volontariamente accorsi, a decine di migliaia, a difendere quell'ultimo lembo di terra delle Due Sicilie, venivano resi gli onori delle armi; agli ufficiali veniva garantita la temporanea relegazione nelle isole del golfo di Napoli, arrestati “sulla parola"; per i soldati veniva invece disposta la deportazione in campi di prigionia fino alla caduta delle fortezze di Messina e di Civitella del Tronto che ancora resistevano. Ed invece, a dispetto dei patti stipulati con la resa, gli ufficiali che non vollero aderire al nuovo esercito furono poi in gran parte arrestati e sottoposti a mille angherie, mentre alcune migliaia di ex soldati inermi, solo per la loro incrollabile devozione a 'O Rre, furono lasciati morire di stenti e di freddo nelle prigioni piemontesi di S. Maurizio Canavese e di Fenestrelle che nulla avevano da invidiare all'odiato Spielberg,
Nel freddo mattino del 14 febbraio, i giovanissimi sovrani di Napoli si imbarcarono sul legno francese Mouette per raggiungere Terracina e quindi l'esilio romano. Erano ancora sul molo quando le prime truppe piemontesi già entravano a Gaeta dalla Porta della Gran Sortita. Avevano impiegato un tempo lunghissimo a percorrere le poche centinaia di metri che separavano l'imbarcadero dall'angusta casamatta che li aveva ospitati negli ultimi tempi dell'assedio. lncedevano lenti perché tutti quelli che facevano ala al loro passaggio volevano baciare le mani al giovane Re, che in quell'assedio aveva riscattato l'onore dell'esercito, e all'affascinante Regina, ancora poco più che fanciulla ma già entrata nella leggenda come l'Eroina di Gaeta. Anche Ferdinando Russo ne ricorderà le gesta:

"E 'a Riggina! Signò! ...Quant'era bella!
E che core teneva! E che maniere!
Mo na bona parola 'a sentinella,
mo na strignuta 'e mana a l'artigliere...
Steve sempre cu nui! Muntava nsella
Currenno e ncuraggianno, juorne e sere,
mo ccà, mo la... V' 'o giuro nnanz'e sante!
Nn 'eramo nnammurate tuttequante!
Cu chillo cappellino 'a caccìatora,
vui qua Riggina! Chella era na Fata!
E t'era bonaùrio e t'era sora,
quanno chíù scassiava 'a cannunata!...
E ra capace 'e se ferma pe n 'ora,
e dispensava buglie 'e ciucculata...
Ireferito? E t'asciuttava 'a faccia...
Cadiva muorto? Te teneva 'mbraccia...
"

Messina e Civitella del Tronto intanto continuavano a resistere. Garibaldi, dopo le facili vittorie siciliane, era passato sul continente lasciandosi alle spalle la Cittadella di Messina con la sua guamigione comandata dal generale Gennaro Fergola. Contro la piazzaforte siciliana fu inviato Cialdini, il futuro Duca di Gaeta che aveva espugnato quella fortezza con sedicimila bombe, riversate anche sui soccorritori dei feriti, senza avere mai nemmeno tentato un minimo assalto!
La resa della cittadella di Messina fu firmata il 12 marzo dal teanese colonnello Emmanuele De Nunzio. Fu una resa a discrezione: nessun onore ai vinti; nessuna garanzia di libertà ai militari, gli ufliciali arrestati e deferiti a una corte dalla quale furono poi assolti non essendovi nel loro comportamento alcuna macchia. Mentre era ancora in corso la consegna delle armi, ma non delle bandiere che i soldati avevano ridotti a pezzetti per non consegnarle, a sconfessare Cialdini (e a confermarne il cinismo) giunse l'ordine di applicare anche ai capitolati di Messina le stesse condizioni
previste dalla resa di Gaeta. Francesco Il era riuscito a ottenere tanto con la mediazione
diplomatica della Francia.
Emmanuele De Nunzio era nato a Teano il 14 ottobre 1807 da Michele, ufficiale subalterno dell'esercito. Nel pregevolissiino volume "Nome e volti di un esercito dimenticato" (1990) Roberto Selvaggi include brevi cenni biografici del De Nunzio: allievo del collegio di S. Giovanni a Carbonara prima e della Nunziatella poi, entrò nel Genio ricevendo la nomina ad alfiere nel 1829. Il 1 agosto 1860 fu promosso tenente colonnello e assolse egregiamente la direzione del Genio nella piazza di Messina assediata. L'11 settembre fu promosso colonnello. Il compianto Autore non accenna però alla partecipazione del Colonnello De Nunzio alle trattative per la resa. Ne riferisce invece Gigi Di Fiore nel bel saggio "l Vinti del Risorgimento" (Utet, 2004 e ora ristampato).
La famiglia De Nunzio, almeno nel ramo teanese, si estinse sul finire dell'Ottocento. Apparteneva al ceto civile ed aveva dato alcuni notai, tra cui si ricorda spesso nelle nostre memorie Silvestro, che esercitò in Teano nella prima metà del Seicento. Giovanni Camillo De Nunzio fu priore del Monte dei Morti a metà Ottocento ed ebbe sepoltura privilegiata nella chiesa di S. Antonio.
Agli ufficiali dell'esercito delle Due Sicilie, com'e noto, fu data la possibilità di entrare nell'esercito italiano conservando il grado raggiunto prima delle campagne del Volturno e di Gaeta, cioè di quella guerra mai dichiarata le cui vicende dovevano scomparire dagli stati matricolari dei militari.
Emmanuele De Nunzio quasi certamente fu tra i non pochi ufficiali che preferirono ritirarsi e difatti il volume del Selvaggi, pur essendo abbastanza specifico al riguardo, non fa cenno alcuno al passaggio del De Nunzio nell'esercito italiano. Sappiamo solo che morì a Napoli il 15 dicembre 1886, certamente
amareggiato ma sicuramente fiero di aver guadagnato sul campo le insegne degli ordini di S. Giorgio e di Francesco I conferitegli da Francesco II.

Guido Zarone
(da Il Sidicino - Anno III 2006 - n. 2 Febbraio)