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La scomparsa di Sinuessa e l'invenzione

del suo Episcopato (*)
 
(*) La presente pubblicazione è apparsa nella Rivista Storica del Sannio, 23, 3a serie, anno XII, 2005, pp. 45-54.
 

Gli scavi recentemente condotti nell’antica città di Sinuessa (1), colonia romana fondata sulla via Appia (2), insieme a Minturnae, nel 296 a.C. (3) nello stretto passo tra le ultime propaggini del monte Massico ed il Mar Tirreno, nonché un rinnovato interesse da parte degli studiosi, che in questi ultimi hanno dedicato ampi studi (4) a questa città «sepolta», hanno riaperto un proficuo dibattito sulle vicende storiche ad essa legate. Gli studi prefati non sono andati oltre la fase più propriamente romana per cui rimane pressoché sconosciuta l’evoluzione che ha subito la colonia in età altomedioevale.
Per quel che riguarda quest’ultimo periodo, ai dati archeologici sicuramente parziali e lacunosi vanno aggiunti una serie di documenti «confezionati» in epoca medioevale, dei quali s’intende qui trattare, che attesterebbero una sede episcopale sinuessana in epoca medioevale:
Passio sanctorum Casti et Secundini
 Sinodus Sinuessanus
 Carme sepolcrale di Radiperto
 De Viris illustribus Casinensibus di Pietro Diacono

PASSIO SANCTORUM CASTI ET SECUNDINI
Nella passio sanctorum Casti et Secondini (5) si narra la storia dei due martiri, appunto Casto (6) e Secondino (7), il primo vescovo di Sessa Aurunca (8) ed il secondo di Sinuessa, imprigionati e torturati dal preside Curvus, il quale pur avendo assistito ai numerosi miracoli di questi santi, infligge loro ogni sorta di sofferenza. Il preside, però, prima di poter vedere morti i santi Casto e Secondino perirà sotto le macerie del tempio di Apollo. Solo dopo questo evento voluto da Dio sarà possibile ai «cultori degli idoli» uccidere, nel 292 presso Sinuessa, i santi trafiggendoli con la spada.
La passio, però se analizzata attentamente risulta essere stata composta in un tempo relativamente recente (XII sec.) comunque lontanissima dai presunti avvenimenti del III secolo d.C. Il genere letterario è ben noto agli agiografi moderni: la prolissità è in simbiosi con un racconto dai toni drammatici in cui l’elemento prodigioso sovrabbonda senza necessità e verosimiglianza. Ci troviamo, cioè, di fronte a quelle vite «romanzate» in cui il biografo a corto di dati sul santo era «costretto» a scriverne la storia immaginandosi le persecuzioni, le scene del tribunale, la tortura, il supplizio ecc. (9)
È innegabile, però, che il culto nei confronti dei santi doveva essere molto vivo in quei secoli nella Campania settentrionale se il biografo sente la necessità di redigere una loro vita. Testimonianza ne sono le chiese a loro dedicate che si desumono ad esempio dalle Rationes decimarum (10) e dalle visite ad sacra limina (11) delle diocesi sia di Carinola che di Sessa Aurunca (12). Autorevoli studiosi hanno avanzato l’ipotesi, però, che i santi Casto e Secondino non siano per così dire «autoctoni» cioè non siano stati martiri locali ma culti di santi importati dall’Africa (13). Nel III secolo, infatti, vengono martirizzati in Africa Cassio, Casto e Secondino e conseguentemente i loro culti irradiati nella Campania (14).
Qualcuno potrebbe pensare che ciò è il riflesso di quanto tramandatoci nella vita di S. Castrese in cui si narra di un gruppo di santi, tra cui anche Secondino, abbandonati al largo nel mare nostrum dai persecutori africani in una nave rotta e sfasciata che approda incolume per volere divino nei lidi campani. Così non è. La vita di S. Castrese è un altro di quei «romanzi» agiografici medioevali in cui non c’è nulla di attendibile: un falso composto nella prima metà del sec. XII (15).
Se quindi la passio di S.Casto e S.Secondino è un falso è evidente che non abbiamo nessuna prova che quest’ultimo sia stato un vescovo sinuessano e né che nel III secolo d.C. esistesse a Sinuessa una sede episcopale.

SINODUS SINUESSANUS
Da quanto si desume dagli atti conciliari (16) nel secolo successivo, precisamente nel 303 d.C., si sarebbe, invece, svolta una sinodus sinuessana presso Sinuessa nella grotta di Cleopatra per giudicare papa Marcellino resosi colpevole di atti pagani avendo egli sacrificato, dietro lauta ricompensa in oro elargita da Diocleziano, agli dei.
Trecento vescovi in conclave per tre giorni, dopo aver ascoltato numerosi testimoni riescono a convincere Marcellino ad ammettere le sue colpe il quale aspergendosi il capo con le ceneri riconosce di aver offerto incenso, corrotto da Diocleziano, nel tempio pagano dedicato a Vesta ed a Iside. A questo punto l’imperatore fece mettere a morte numerosi dei vescovi intervenuti ed il 23 agosto del 303 uccise anche papa Marcellino.
Il racconto, come notato da numerosi studiosi, non regge ad un’attenta analisi critica: appare quanto mai inverosimile che durante le persecuzioni di Diocleziano trecento vescovi possano essersi riuniti a Sinuessa; va poi considerato che fu martirizzato nel 304 e non nel 303 (17) infatti, è ormai accertato che Marcellino subì il martirio appena quattro giorni dopo la pubblicazione del quarto editto di Diocleziano (22/4/304). La critica moderna ha, altresì, riconosciuto in questa sinodus uno dei tanti falsi redatti all’epoca di papa Simmaco (18) (498-514). L’elezione di questo papa fu duramente contestata dalla fazione filo bizantina di Roma che elesse ad antipapa l’arciprete Lorenzo. In questo clima esasperato, in cui vi furono anche atti di violenza, lo scisma fu combattuto a colpi di documenti falsi (19). Furono redatti, quindi, in quest’occasione, dai sostenitori di papa Simmaco, a sostegno delle loro posizioni, i cosiddetti «apocrifi simmachiani» tra cui la sinodus Sinuessana.
Quindi anche questo documento cade sotto i colpi di un’attenta critica esegetica e non lascia dubbi circa la sua inattendibilità: nel IV secolo d.C. non vi fu a Sinuessa nessun sinodo.
È interessante capire il perché alla fine del V o agli inizi del VI secolo nel costruire un falso si sia scelta la «sede vescovile di Sinuessa». Non è malizioso credere che in quell’epoca non fosse in vita più la città o quantomeno non fosse in vita alcuna sede vescovile atteso che diversamente sarebbe stato difficile con un vescovo sinuessano in carica ideare quel racconto. Invece sarebbe certo stato più facile saldare il racconto del falso sinodo ad una sede ormai inesistente o forse ad una città ormai abbandonata (20) in cui non sarebbe stato possibile fare un riscontro sui documenti curiali.

CARME SEPOLCRALE DI RADIPERTO
Il carme sepolcrale di Radiperto (21) conservato nella cattedrale di Carinola fino al XVIII secolo, oggi purtroppo non più esistente, era composto da dodici distici. Il componimento acrostico aveva i signa priora indicanti Radipert[us] epis[copus] ed era scritto in un ottimo latino, con aggettivi altisonanti, una metrica perfetta (si tratta di distici elegiaci) e con immagini retoriche poeticamente suggestive.
In base a questa epigrafe su questo vescovo sono state fatte le più svariate ipotesi facendolo girovagare per tutta la Campania settentrionale (22). Allo stato attuale delle ricerche unico punto certo è che la sua iscrizione era nella cattedrale di Carinola almeno fino a tutto il XVII secolo quando lo studioso Michele Monaco ne trascrisse i distici nel suo Sanctuarium Capuanum. Così mentre il Monaco lo riteneva captano (23), un secolo dopo il Pellegrino, seguito dal Menna (24), per un ragionamento logico lo faceva vescovo di Sinuessa in quanto nell’iscrizione era citato un altare dedicato a Rufino che egli riconduceva alla chiesa esistente presso il «Castello di Mondragone», che, sempre a parere del Pellegrino, «...in luogo di Sinuessa è succceduto...» (25).
Di questa iscrizione noi abbiamo una buona trattazione di Domenico Maliardo (26): accogliendo la posizione del Nostro possiamo convenire che le ipotesi di localizzazione della sede episcopale di Radipertus, avanzate fino ad oggi, non sono suffragate da valide prove.
Se si legge attentamente il carme sepolcrale non può non saltare agli occhi come il settimo distico sia quello determinante: Reddidit et pulchram templis ac moenibus arcem quae sita Vulturni amnis ad ora manet (Restaurò poi la rocca bella nei templi e nelle mura, (rocca) che si trova collocata presso la foce del Volturno). Il riferimento alla foce del Volturno è l’unico elemento a cui possiamo appigliarci per cui altre ipotesi sono al momento non suffragate da valide prove men che mai un possibile aggancio ad una presunta sede sinuessana.
Dall’epigrafe ricaviamo esclusivamente che il vescovo Radiperto ornò «questa chiesad’inaudite raffinatezze» con un «sacro altare di chiaro argento ... a onore tutto dell’esimio Rufino». Vi costruì, poi, un’alta torre campanaria e restaurò «la rocca ... nei templi e nelle mura». Ripose, infine, nella chiesa le spoglie di S.Castrese dedicandogli un altare. L’unico riferimento geografico presente nell’epigrafe, come abbiamo visto, è al fiume Volturno (Vulturni amnis).
Qualche studioso, insomma, seguendo erroneamente il Pellegrino che riteneva Radiperto proveniente dalla diocesi di Sinuessa era giunto alla conclusione che in questa data era possibile ipotizzare una sede episcopale sinuessana. Ma come abbiamo visto nulla si desume da questa iscrizione circa la possibilità di attribuire a Sinuessa il vescovo Radiperto.

DE VIRIS ILLUSTRIBUS CASINENSIBUS DI PIETRO DIACONO
Nel De viris illustribus Casinensibus Pietro Diacono espressamente afferma «Gregorio, vescovo di Sinuessa e monaco di Cassino…fu sepolto nel suo episcopio» (27). Ad esclusione di questa notizia nessun riferimento alla città di Sinuessa è presente nei documenti medioevali anzi le Rationes decimarum di Sessa Aurunca e di Carinola del 1308, che fotografano un assetto ovviamente ante quem, non riportano tale sede episcopale. Altresì dalla bolla di Adenulfo del 1032 (28), che attesta l’esistenza di due chiese dedicate a S. Lorenzo, evidentemente una delle quali da identificare con la S. Laurentii de Caulana delle Rationes decimarum di Sessa Aurunca (29), si desume che l’attuale confine moderno tra Sessa e Carinola presso l’«Incaldana» non è mai variato e che quindi tra Carinola e Sessa non si estendeva la circoscrizione diocesana si Sinuessa (30).
Ciò considerato le ipotesi in campo per l’affermazione di Pietro Diacono possono essere solo due:
1. Pietro Diacono artatamente falsifica il dato in suo possesso (31).
2. Senza malafede alcuna confonde Sinuessanus con Suessanus.
Oramai è acclarato che Pietro Diacono, con spregiudicatezza, confeziona, emenda e cesella documenti a vantaggio del cenobio di Montecassino (32) e un caso emblematico è quanto accade con S. Martino di Monte Massico: pur di dimostrare che parte del corpo del Santo fosse stato trasportato a Montecassino e ciò poiché riteneva che una delle due cappelle che aveva fatto costruire S. Benedetto sulle rovine del tempio di Apollo fosse dedicata proprio a questo Santo, collaziona la Vita traslatio et miracela S. Martini Abbatis (33). Nel caso di Gregorio avrebbe voluto con quell’affermazione magnificare, non sappiamo per quali motivi, il proprio confratello benedettino anche se la falsa notizia di una sede sinuessana sarebbe apparsa già ai suoi contemporanei non credibile di talché sembra plausibile interpretare quel Sinuessanus come errore redazionale dovendosi più semplicemente leggere Suessanus.
Considerato che dai documenti medioevali in nostro possesso non è mai attestato il toponimo Sinuessa ma anzi altri centri alternativi sembrano attivi dopo il mille com’è il caso, poco più a sud in posizione arroccata, agli inizi del XII secolo, del «…locum montis Draconis…» (34) è ulteriormente comprovato che l’affermazione di Pietro Diacono deve essere stata semplicemente un grossolano errore.

CONCLUSIONI
Dall’esame dei documenti testé proposti appare chiaro che allo stato attuale delle ricerche non abbiamo nessuna prova circa l’esistenza di una sede vescovile a Sinuessa. Si tratta o di falsificazioni medievali e per quel che concerne il carme sepolcrale di Radiperto di una lettura troppo libera della fonte da cui per primo il Pellegrino ha desunto un’inesistente sede episcopale sinuessana. L’analisi degli atti della sinodus sinuessanus, come abbiamo visto falsificati in epoca altomedievale, ci conducono indirettamente a ritenere che molto precocemente Sinuessa fu abbandonata.
Un puntuale confronto è possibile effettuare con la vicina e gemella colonia di Minturnae per la quale abbiamo l’illuminante lettera di papa Gregorio Magno a Bacauda vescovo di Formia dell’ottobre del 590 (35):

Spinti dalla necessità dei tempi e sollecitati dalla diminuzione delle persone, dobbiamo venire incontro con salutare disposizione alle Chiese in stato di abbandono. Sapendo che la Chiesa di Minturno è completamente abbandonata per mancanza di clero e di popolo, e considerato che la tua richiesta perché Minturno venga aggregata alla Chiesa di Formia, nella quale riposa il corpo del santo martire Erasmo e alla quale presiede la tua fraternità, è pia e giustissima, abbiamo creduto necessario, provvedendo all’abbandono di quel luogoe alla povertà della tua chiesa, che, per l’autorità di questo decreto, i redditi della Chiesa di Minturno e tutto ciò che poté o può competere ad essa per qualsiasi motivo, per diritto antico o recente o per privilegio, fossero trasferiti nel diritto e nel potere della tua Chiesa. Così, da questo momento, devi pensare a Minturno come a una Chiesa tua propria e disporre con la previdenza per quello che le compete, di modo che quanto fino a questo momento poté andare disperso, d’ora in poi giovi all’utilità dei poveri e del clero della tua Chiesa.
Et temporis nocessitas nos perurget et imminutio exigit personarum u restitutis ecclesiis salubri ac prouida debeamus dispositione succurrere et ideo, quoniam ecclesiam Minturnensem Funditus tam clerus quam plebis destitutam desolatione cognouimus, tuamque proea petitionem quatenus Formianae ecclesiae, in qua corpus beati Erasmi martyris requiescit, cuique fraternitas tua preside, adiungi debeat piam esse ac iustissimam preuidentes, necessarium duximus, consulemtes atam desolationi loci illius quam tuae ecclesiae paupertati, reditus supradictae ecclesie Minturnensis uel quicquid ei antiquo modernoque iure uel priuilegio potuit potestue qualibet ratione competere, ad tue ecclsiae ius potestatemque ac praecepti nostri auctoritate migramus, ut a praesenti tempore sicuti de prorpia quippe ecclesia debeas cogitare eique competentia tua prouisione disponere quatenus deinceps quod perire nuncunsque potuit pauperum ecclesiae tuae utilitatibus clerique proficiat.

È quanto mai evidente che Gregorio Magno ritiene come causa principale dell’abbandono della città di Minturnae un forte calo democratico tanto da renderne necessario nel 590 l’accorpamento col vescovato di Formia. Ciò è confermato anche dal dato archeologico atteso che nel letto del fiume i ritrovamenti monetali cospicui nel IV e V secolo, diventano rari e scompaiono nel VI secolo (36). Dalla città provengono, poi, numerose iscrizioni del IV secolo e anche un’iscrizione del V secolo (37) il che suggerisce almeno in quest’ultimo periodo un centro ancora vivo e funzionante.
È più che probabile, viste le evidenze a nostra disposizione, che ciò accadde anche per Sinuessa: il falso del Sinodo sinuessano, redatto tra la fine del V e gli inizi del VI secolo, ed il dato archeologico che in sito attesta ceramica non posteriore al V secolo e per di più in un’area molto ristretta (38), dà anche qui l’impressione di un repentino calo demografico e successivamente dell’abbandono della città. A conferma di ciò va detto che l’iscrizione più tarda che riguarda Sinuessa non è posteriore alla fine del III inizi del IV secolo e attesta un curator civitatis Sinuessanae, Lucius Mamilianus Crispus (39).
Nella seconda metà del IV, o più tardi agli inizi del V secolo d.C., sono segnalate le ultime attività edilizie testimoniate da bolli recanti il nome di Viria Marcella (40). Le tegole, che portano impressa anche una croce, appartenevano ad un edificio religioso evidentemente da attribuire all’evergetismo di questa «clarissima femina» la quale testimoniava in tal modo l’adesione alla nuova fede con la costruzione di un edificio pubblico destinato al culto cristiano.
In conclusione, pur con la certezza che Sinuessa nel IV sec. d.C. fu pervasa da un forte fervore cristiano, non abbiamo nessuna prova che nel contempo fosse divenuta anche sede di episcopus; similmente a Minturnae, poi, e forse ancora più precocemente, è vittima di un disastroso calo demografico che ne sancirà ben presto la fine.

*****

Note

(1) ARTHUR P. - GUALTIERI M., Rapporto preliminare sugli scavi a Sinuessa, in Civiltà Aurunca (a cura di Compasso F.), III, n.5, Minturno 1987, pp. 417-422; GASPERETTI G. - CRIMACO L., Indagini nell’area urbana e nel territorio dell’antica Sinuessa, in BolArch 22, 1996 Roma, pp. 23-29 d’ora in poi GASPERETTI 1996.
(2) Recentemente sulla via Appia per il tratto da Sinuessa a Capua vedi ZANNINI U. (a cura di), La via Appia attraverso i secoli, Falciano del Massico 2002.
(3) Liv., X, 21, 7-8; XXII, 14, 4; Vell. Pat., Hist.I, 14, 6.
(4) PAGANO M., Sinuessa, Minturno 1990, d’ora in poi PAGANO 1990; AA.VV., (a cura di) CRIMACO L. - GASPERETTI G., Testimonianze archeologiche dalla città e dal territorio di Sinuessa, Gaeta 1993, d’ora in poi CRIMACO-GASPERETTI 1993; ARTHUR P., Romans in Northern Campania, Roma 1991.
(5) Acta Sanctorum, Julii, I, Parigi 1719, pp. 19-28, d’ora in poi AA.SS.
(6) Sotto il nome di Casto sono ricordati in Campania numerosi vescovi della prima cristianità (BALDUCCI A., in Bibliotheca Sanctorum, s.v. Casto, coll. 935-940, d’ora in poi BS). Certo c’è da dire che la confusione regna sovrana e reduplicazioni e sovrapposizioni sono quanto mai probabili: ad un Casto vescovo del III secolo a Benevento (AA.SS., Novembris, III, Bruxelles 1910, pp. 341-342) si aggiunge un omonimo vescovo di Calvi martirizzato a Sinuessa nel 66 d.C. (Ughelli, Italia Sacra, X, Venezia 1790, col. 236; ZONA M., Il santuario caleno, Napoli 1809, pp. 28-91 e 123; id., Storia di Calvi, Napoli 1809, pp. 35 e 205; LANZONI F., Le diocesi d’Italia dalle origini al principio del secolo VII, Faenza 1927, pp. 178-79 e 187, d’ora in poi LANZONI 1927) che non è però il vescovo di Sessa Aurunca perché questi sarebbe stato martirizzato insieme a Secondino sì a Sinuessa ma nel 292 AA.SS., Julii, I, pp. 19-28. Oltre che insieme a Secondino, Casto lo troviamo in coppia con Cassio sempre in Campania e nel Lazio (AA.SS., Maii, V, Venezia 1741, p. 130; LANZONI 1927, p. 178.
(7) AMBRASI D., in BS, s.v. Secondino, coll. 811-812.
(8) In quel di Sessa sarebbero state trovate le tombe dei SS. Casto e Secondino. In verità tale asserzione non appare confortata da prove inconfutabili. D. Cosimo Stornaiolo (Conferenze di archeologia cristiana anno XXII, 1896-1897 in «Nuovo Bullettino di archeologia cristiana», III, Roma 1897, pp. 140-141) afferma, a seguito di ispezione in loco, di essere convinto che il cimitero cristiano ritrovato a Sessa Aurunca era anche il luogo di sepoltura dei SS. Casto e Secondino. Per una dettagliata descrizione dei luoghi come ancora visibili nel 1972 si veda Mazzeo F., Il complesso cimiteriale dei Santi Casto e Secondino in Sessa Aurunca, in «Fede e Cultura», 1, Sessa Aurunca 1987-1989, pp. 33-43. Secondo Testini P. (Archeologia Cristiana, Bari 19802, pp. 125-129) per la identificazione della tomba di un martire è necessario che almeno uno dei seguenti elementi provi inconfutabilmente ciò: 1) Presenza di una cappella o basilica, eretta presso o sul sepolcro ancora integro; 2) Iscrizione in situ; 3) Graffiti tracciati sull’intonaco delle pareti della cripta o della basilica sotterranea e sui muri prossimi alla tomba del martire; 4) Altare eretto in onore del Santo; 5) Eventuali pitture raffiguranti il Santo o presenza di elementi architettonici attestanti il culto (scale di accesso per visitatori, ecc.). A ben osservare nessuno di tali elementi è testimoniatocon chiarezza a Sessa Aurunca. La ubicazione in questo sito della chiesa dedicata a S. Casto, che tra l’altro è ricordata nella Bolla di Atenulfo e nelle Rationes Decimarum poi, è messa in dubbio anche dagli storici locali (L. Di Silvestro, Diocesi di Sessa Aurunca. Il cammino della Chiesa locale dalle origini al 1939, Sessa Aurunca 1996, p. 247: «S. Casto: dovrebbe essere il tempietto lungo la Sessa-Mignano»). Non può sfuggire a tal proposito come le chiese di S. Casto e S. Secondino siano riportate, nei due predetti documenti, separatamente mentre sarebbe stato più logico trovare una chiesa martiriale con la doppia denominazione. Non vi sono, poi, né graffiti, né altari e né le pitture medioevali e rinascimentali sono in grado di offrirci alcun dato; infine il ritrovamento dei resti di un sarcofago non dimostra alcunché in quanto esso è precristiano ed evidentemente riutilizzato. L’unica prova, che questo cimitero cristiano fosse sorto presso le tombe martiriali dei SS. Casto e Secondino, era una iscrizione riportata dal solo De Masi T. (Memorie Istoriche degli Aurunci antichissimi popoli dell’Italia e delle loro principali città Aurunca e Sessa, Napoli 1761, p. 244: CORPORA SS. MARTYRVM CASTI CIVIS / ET EPI SVESSANI, ET SECVNDINI EPI / SINVESSANI HIC REQVIESCVNT / IN DOMINO). Pur volendo ritenere fededegna la notizia del De Masi va precisato che la formula utilizzata nell’iscrizione non è ascrivibile al IV-V secolo d.C. ma è sicuramente successiva. La notizia che vuole S. Casto cittadino di Suessa, poi, è palesemente attinta dalla passio il che è un terminus ante quem non.
Va poi considerato che le due iscrizioni riportate dal MENNA L., Saggio Istorico Ossia Piccola Raccolta dell’Istoria Antica e Moderna della Città di Carinola in Terra di Lavoro, Aversa 1848, (rist. an. a cura di Marina Ceraldi A., Napoli 1970), d’ora in poi MENNA 1848, II p. 53, che si conservavano scolpite sugli scalini dell’atrio della chiesa cattedrale di Carinola, oggi non più esistenti ci attestano una tradizione diversa e probabilmente più antica: OSSA. MARTYRIS. CASSII / EPISCOPI. SINUESSANI HIC IN PACE / QUIESCUNT. e CORPUS. MARTYRIS. SECUNDINI. / EPISCOPI. SINUESSANI. HEIC. / REQUIESCIT. IN. DOMINO. In questo caso non troviamo in coppia Casto e Secondino ma separatamente Cassio e Secondino ambedue vescovi di Sinuessa presenti, però in due distinte epigrafi. Anche questa evidenza sembra confermare quell’intuizione che avevano avuto i Bollandisti (AA.SS., Julii, I, p. 20) e di cui successivamente Lanzoni tratterà più ampiamente (vedi n. 13): Cassio, Casto e Secondino sono martiri africani; successivamente il loro culto si diffonde in Campania e infine gli agiografi dell’XI-XII secolo li fanno diventare martiri campani. Il ricordo della loro originaria comune provenienza è rimasta testimoniata a nostro avviso anche nelle diverse tradizioni che vedono questa triade presente a coppie variabili:
-Cassio/Casto (Passio sanctorum Cassii et Casti);
-Casto/Secondino (Passio sanctorum Casti et Secondini);
-Cassio e Secondino (Menna 1848, II, p. 53).
È interessante, altresì, prendere in considerazione una breve nota di Ferrua A. (Antichità Cristiane. Cales, in La Civiltà Cattolica, III, Roma 1953, pp. 391-399 [estratto pp. 3-11]) nella quale lo studioso segnala la scoperta dell’epitaffio di Celerio Giustiniano: nella iscrizione del V sec. d.C., ritrovata presso Calvi Vecchia, si scongiurano i fedeli affinché non turbino il sonno del defunto Celerio seppellendo un altro nella sua tomba e si definisce il luogo della deposizione santo ab antico (iste locus a prius sanctus est). Quest’ultima affermazione più la considerazione che il sito conserva il nome di S. Casto Vecchio, e che nei suoi pressi vi sono i resti di un’antica basilica, ha fatto ipotizzare al Ferrua che il sepolcreto cristiano si sia sviluppato intorno ad una tomba martiriale e a tal proposito non può fare a meno di far notare, pur con tutte le riserve possibili, la convergenza con la tradizione locale (Cerbone G., Vita e Passione delli Gloriosi Martiri Sancto Casto vescovo di Calvi, e Sancto Cassio vescovo di Sinuessa, Napoli 1685) che vuole S. Casto vescovo e martire della chiesa di Cales. Ma al contrario da una pergamena del 966 (De translatione brachii Sancti Casti Episcopi et Martyris, ab urbe Cajeta ad urbem Calvum, Capuana Provinciae, ex actis Ecclesiae Calvensis in AA.SS. Jilii, I, p. 28) sappiamo che in quel di Cales non esisteva una tomba martiriale di S. Casto così come espressamente testimoniatoci dall’agire del vescovo Andrea (ille itaque multo magis perquirebat, qualiter posset ibi preziosi corporis Martyris Casti invenire thesaurus).
(9) DELEHAYE H., Problemi di metodo agiografico: le coordinate agiografiche e le narrazioni, in «Boesch Gajano S. (a cura di), Agiografia altomedioevale», Bologna 1976, pp. 49-71.
(10) INGUANEZ M.-MATTEI CERASOLI L.-SELLA P., Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Campania, Città del Vaticano 1942, d’ora in poi INGUANEZ ET ALII 1942.
(11) Relationes ad limina, «Archivio Segreto Vaticano - Congregazione del Concilio», anni 1589 e ss. per Carinola, e anni 1582 e ss. per Sessa Aurunca.
(12) La festa dei due santi si celebra anche a Calvi, Capua, Sora Trivento e Benevento (BALDUCCI A., in BS, s.v. Casto e Secondino, col. 939)
(13) LANZONI F., Santi Africani nella bassa Italia e nelle isole adiacenti, in Scuola Cattolica, Monza 1918, pp. 53-54 e AA.SS., Julii, I, Parigi 1719, p. 20.
(14) LANZONI 1927, pp. 178 e 253.
(15) MALLARDO D., San Castrese vescovo e martire nella storia e nell’arte, Napoli 1957, pp. 19-36, d’ora in poi MALIARDO 1957.
(16) MANSI J.D., Sacrorum Conciliorum Nova et Amplissima Collectio, I, Graz 1960, coll. 1249-1260.
(17) HEFELE C. J., Histoire del Conciles d’après les documentes originaux, a cura di Leclerq H., Parigi 1907.
(18) PEPE G., Il Medio Evo Barbarico d’Italia, Torino 1959, pp. 54-55.
(19) ALESSANDRINI A., Teodorico a papa Simmaco durante lo scisma laurenziano, in «Archivio della R. Deputazione romana di Storia Patria», X, 1944, pp.153-207.
(20) Cfr PAGANO 1990, p. 17.
(21) MONACO M., Sanctuarium Capuanum, Napoli 1680, pp. 87-88, d’ora in poi MONACO 1680.
(22) Una sintesi sulle ipotesi fatte dagli studiosi è in MALLARDO 1957, pp. 56-58.
(23) MONACO 1680, p. 88.
(24) MENNA 1848, vol. I pp. 17-20, e vol. II p. 72.
(25) PELLEGRINO C., Apparato alle antichità di Capua, II, p. 187.
(26) MALLARDO 1957, pp. 53-62.
(27) Cap. XXXIII: Gregorius Sinuessanus episcopus, e Cassinensis Monachus, magnus ingenio, praeclarus eloquentia. De captione Cassinensis coenobii versus descripsit mirisicos, in quibus introduxit B. Benedictum ad Monachos Cassinenses lequentem. Composuit e multa alia quae in nostras manus minime venerunt. Fuit vero supradictis Imperatoribus: sepultus est in episcopatu suo.
(28) MONACO 1680, pp. 581-584.
(29) INGUANEZ ET ALII 1942.
(30) I limiti amministrativi della colonia romana di Sinuessa, che in linea di massima sarebbero stati ricalcati da una presunta sede episcopale sinuessana, non andavano oltre la fascia costiera con a nord il territorio di Minturnae e a sud, in un primo momento, il fiume Volturno (Pol. III, 91, 4). Per le circoscrizioni amministrative in età romana, in Campania settentrionale a nord del Volturno vedi U. ZANNINI, La scoperta di Urbana. Indagini storico archeologiche nel territorio di Francolise, Falciano del Massico 2003, pp. 15-23 e U. ZANNINI, Indagini storico-archeologiche in Campania settentrionale. Il territorio di Falciano del Massico, Caserta 2001, pp. 20-23.
(31) Sulle falsificazioni di Pietro Diacono vedi CASPAR E., Petrus Diaconus und die Monte Cassineser Falschungen, Berlino 1909 e più recentemente ZANNINI U., S. Martino Eremita. Vita e culto di un santo attraverso le falsificazioni medioevali in ZANNINI U.-GUADAGNO G., S. Martino e S. Bernardo, Minturno 1997, pp. 21-38, d’ora in poi ZANNINI 1997.
(32) CILENTO N., Italia Meridionale Longobarda, Napoli 1966, p. 203.
(33) ZANNINI 1997, pp. 31-38.
(34) Regii Neapolitani Archivi Monumenta, VI, Appendix, pp. 177-180, XVII.
(35) Gregorii Magni, Ep., I, 8.
(36) BELLINI G.R., Minturnae. L’area archeologica, Minturno 1994.
(37) COARELLI F. (a cura di), Minturnae, Roma 1989.
(38) GASPERETTI 1996, pp. 23-29.
(39) AE 1919, 71.
(40) MELILLO FAENZA L.-PAGANO M., La senatrice Viria Marcella in un singolare bollo laterizio da Sinuessa, in RAAN 58, 1983, pp. 371 e ss.

Ugo Zannini
(da Il Sidicino - Anno XVIII 2021 - n. 1 Gennaio)