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Indice Emanuele Verdolotti
 
 

Tra amarcord e... piangersi addosso

 
L'articolo di Artùrsino “Caro il Sidicino”, pubblicato sul numero di aprile, ha suscitato un certo dibattito tra i giovani di Teano. Sarà vero che siamo buoni solo a piangerci addosso?
Vediamo.
"Carpent tua poma nepotes". La massima virgiliana, manifestazione di grande ammirazione delle virtù dei Padri, sempre pronti a lasciare qualcosa di rilevante e di notevole ai figli, sembrerebbe, a prima vista, non pienamente rispondente alla realtà teanese e alla generale situazione di decadenza in cui, per quasi unanime riconoscimento, versa la nostra cittadina. Occorre però intendersi almeno su un punto: il rimpianto che si nutre per il mitico tempo che fu, alla stregua dell'atteggiamento comune a molti Iaudatores temporis acti, non e qualcosa su cui si debba indugiare più di tanto, quasi che si provi un segreto piacere nel paragonare il prospero passato alle supposte miserie del presente. Ma è poi vero tutto ciò? Davvero c'è stato un tempo passato in cui la realtà teanese era qualcosa di profondamente diverso da quella attuale, sì da giustificare lo sguardo retrospettivo su di essa come il ricordo di una età dell'oro, di una mitica saturnia tellus?
Mitizzare il passato potrebbe determinare un errore di prospettiva che farebbe sovrapporre e paragonare due realtà che, anche solo dal punto di vista temporale, sembrano insuscettibili di essere ricondotte ad unità. D'altra parte, è piuttosto evidente che i cambiamenti intervenuti nel secondo dopoguerra sono stati talmente incalzanti da determinare un vero e proprio sconvolgimento, nel senso letterale del termine, di talune abitudini e certezze che si ritenevano, per opinione pacifica, certezze assolute, intoccabili, sempre valide.
Naturalmente, questa rivoluzione (ben la si potrebbe definire “copernicana") necessitava di energie pronte, vivaci, appassionate perché potesse essere “indirizzata” nel migliore dei modi, vale a dire sfruttando quelle che erano le opportunità offerte dai tempi con ritmo cosi incalzante.
La storia -si dice- è (o meglio, dovrebbe essere) maestra di vita, nel senso che, meditando sugli errori passati, ci si adoperi per non commetterne di nuovi. Questo, però, è vero nella misura in cui ci sia la volontà concreta dei soggetti interessati di confrontarsi realmente con i problemi contingenti cercando di trovare le soluzioni più giuste e più opportune. Ecco, allora, che la rievocazione del passato non deve atteggiarsi a puro e semplice amarcord, come evidenziato nell'articolo di Artùrsino, ma diventare stimolo per orientare la propria azione nel corso del tempo.
Ora, tutte queste osservazioni vanno necessariamente rapportate alla realtà specifica di ogni comunità cittadina, ossia al modus vivendi tipico del nostro Paese. ln particolare, per quanto riguarda la situazione di Teano, ci si accorge. di primo acchito, di un certo immobilismo sociale, a volte sconfinante nella vera e propria apatia. Sembra prevalere la visione del partirculare sugli interessi di carattere collettivo, tipica espressione di un modo di pensare e di agire già sottolineato da Francesco Guicciardini. E, senza dubbio, un problema comune a vaste aree del Mezzogiorno d'ltalia, secondo alcuni ascrivibile alle conseguenze degli oltre due secoli di dominazione spagnola.
Ma tomando al nostro piccolo, quel che più ci interessa è vedere se questo stato di cose sia destinato a perpetuarsi o, al contrario, si possa sperare in una pur minima inversione di rotta. Si manifesta, a questo punto, in tutta la sua importanza, la necessità di avere un punto di riferimento ben preciso, individuabile, di volta in volta e a seconda della realtà concreta, ora nell'amministrazione cittadina ora nel panorama associativo presente a Teano. L'avere un valido punto di riferimento determina conseguenze importanti per quanto riguarda la valutazione degli interessi, assumendo quale parametro determinante non l'utilità individuale fine a se stessa, ma il beneficio complessivo che il singolo può sperare di ottenere in seno alla comunità sociale cui appartiene.
Ora, se si vuol passare dalla teoria alla pratica, non si può fare a meno di notare che il piangersi continuamente addosso, in una sorta di lamento quasi ininterrotto, non sortisce altro effetto se non quello di lasciar acutizzare i disagi, in assenza di ogni progetto di intervento che miri ad affrontarli. È questo, in sostanza, il problema principale che affligge le nostre terre. Spesso manca una concreta presa d'atto della realtà, che induca ad affrontare seriamente le varie problematiche nella loro continua mutevolezza. Altre volte, anche quando si prende atto della realtà e ci si rende conto della necessità di agire, si cerca ugualmente di “tirare a campare”, evitando di proporre soluzioni o di offrire un valido contributo alla ricerca delle stesse. Non si segue nemmeno la logica gattopardesca del tutto cambi perché tutto resti immutato: ci si accontenta semplicemente del fluire continuo, monotono, placido delle cose, nella radicata convinzione di una presunta ineluttabilità (non si sa bene fino a qual punto voluta) degli eventi o, meglio, del loro meccanicistico ripetersi.
La volontà di cambiare le cose va realmente perseguita; non è sufficiente limitarsi a farne una professione di fede, ma è invece indispensabile l'impegno del singolo cittadino. Ognuno, infatti, nel suo piccolo, può decidere, come e quando, adoperarsi per contribuire al progresso, ma deve farlo insieme agli atri: la socialità dell'uomo, quale manifestazione del suo essere animale politico, si esplica in una molteplicità di atteggiamenti che necessitano di una reductio ad unum per poter realizzare un identico fine. Non si tratta, quindi, di prendere posizioni di netto sapore ideologico, ma di agire concretamente, in tutte le attività umane, allo scopo di perseguire al meglio l'interesse collettivo.
ln definitiva, al di là del possibile rimpianto per un passato che non c'è più e non potrà più tornare, va accolto il presente, nella sua realtà, con la consapevolezza che i problemi che pone possono essere risolti o quanto meno affrontati.
Ma se manca un solido bagaglio di conoscenze e non c'è un minimo di onestà intellettuale non si può sperare di riuscirvi.

Emanuele Verdolotti
(da Il Sidicino - Anno I 2004 - n. 5 Maggio)