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Iris e la gatta Thula - I bambini invisibili

 

Ho rivisto in questi giorni il film “Codice Mercury” di Harold Becker.
Nel 1998, quando il film apparve nelle sale cinematografiche, incontrò poco favore della critica ma grande riconoscimento del pubblico.
Il film narra la storia di un bambino autistico, Simon, di nove anni con grande abilità nei numeri e le lettere che, giocando con i numeri di una rivista di enigmistica, riesce a decodificare, senza saperlo, il codice della NSA, Mercury, che garantiva la sicurezza di tutti gli agenti americani che operavano all’estero.
Quello che più mi ha incuriosito nel vedere le immagini del film è stato quel bambino dagli occhi fissi, Simon, che guardava nel vuoto, il sentire le sue poche parole ripetitive, sempre le stesse, che usava per comunicare con il suo amico Art, l’agente Fbi a cui era stato affidato ed il comunicatore legato al suo braccio.
Suo padre e sua madre erano stati uccisi perché sospettati di aver scoperto il codice Mercury, mentre era stato Simon giocando ed interpretando i numeri apparsi sulla rivista enigmistica.
Gli agenti del Nsa pur sapendo che Simon era un bambino autistico non vollero risparmiarlo e fecero di tutto per eliminarlo. Solo la completa dedizione dell’amico Art riuscì a salvarlo.
Le ultime immagini del film ci raccontano Simon in un luogo protetto, con la presenza della sua terapista, felice nel rivedere il suo amico Art.
Al netto della finzione cinematografica, alla maestria del regista Harold Becker e degli interpreti, Bruce Wills (agente Fbi) e Mirko Hugues (Simon Lynch), questo film è un messaggio puntuale ad un mondo che si autodefinisce normale.
Vi sono bambini, nessuno li può cancellare dalla nostra vita, che non per colpa loro o di altri manifestano disturbi dello spettro autistico inspiegabili e facilmente resteranno tali o peggioreranno se non vengono rilevati e diagnosticati in tempo e soprattutto se non accompagnati, fin dal primo loro sorgere, da persone preparate per individuare e ridurre le abitudini comportamentali problematiche e disfunzionali attraverso la costruzione rituale di comportamenti attivi.
I motivi genetici che causano questo disturbo biologico rappresentano ancora un grande enigma perché non se ne conosce concretamente la causa.
Sino a pochi anni fa poco si parlava di bambini dallo spettro autistico perché le famiglie, perdute nella loro sofferenza di crescere i loro figli con sintomi ed atteggiamenti autistici, proteggevano questo loro dolore, quasi fosse una punizione della natura nei loro confronti, nel silenzio delle loro case confidando nell’aiuto di psichiatri e psicoterapeuti che poco potevano e possono, anche con l’uso dei loro farmaci, ottenere risultati apprezzabili di regressione dei disturbi evidenziati.
Gli antidepressivi ed alti medicinali inibitori sono più dannosi che utili nei confronti di chi porta con sé questo segno distintivo, l’autismo, che nasce e morirà con chi ha la sfortuna, senza volerlo o averlo cercato, di viverlo.
Simon, pur non parlando se non per dire ciò che le figure del suo comunicatore gli suggeriscono, il padre e la madre, indispensabili per la sua vita di relazione e il riconoscere in Art (agente Fbi) un amico che lo salva dai cattivi che lo vogliono morto, rappresenta il risultato, anche se minimo, di un lavoro fatto intorno a lui e per lui da persone preparate che hanno speso tutto se stessi e la loro conoscenza per capirlo e lentamente guidarlo in un mondo che per lui era incomprensibile.
Simon, spesse volte ricorda ad Art, mostrandogli la figure sul comunicatore, la sua mamma ed il suo papà con insistenza. Questo gesto continuo è per lo spettatore convinzione che Simon ha visto in loro persone che hanno lottato ogni giorno per la sua integrazione nella vita famigliare e per la sua inclusione nella vita di relazione.
Questo esempio, pur abbellito dalla veste cinematografica e dalla comunicazione emotiva delle immagini, deve convincere tutti, nei nostri giorni più frequente, che quando incontriamo un bambino, nei nostri paesi ve ne sono non pochi, che guarda nel vuoto, porta il suo comunicatore legato al suo braccio, non risponde se tu vuoi sapere come si chiama, si stringe alla mamma ed al papà come volesse dirci che è quello il suo mondo, è un bambino autistico che chiede il nostro aiuto e che bisogna mettere da parte la nostra commiserazione e pensare le fatiche, il lavoro e la dedizione che profondono coloro, i terapisti, che sono vicini a quel bambino ed alla sua famiglia per educarli ad affrontare un mondo fuori di loro compassionevole ma profondamente ostile.
Quel bambino non ha nessuna colpa del suo male come non hanno nessuna colpa i genitori che l’hanno messo al mondo come atto di amore.
Cosa si può fare per loro pur sapendo che non si guarisce da tale disturbo?
È necessario che la nostra società, avanzata e progredita in tutto, si sta studiando di mandare degli uomini su Marte, pensi in modo più serio a questi bambini ai quali manca qualcosa che non possono più recuperare o avere nella sua completezza.
Non sono pochi i bambini che soffrono dello spettro autistico in Italia, ne sono quasi cinquecentomila e solo in Campania se ne registrano quasi tredicimila, e non si può più tanto giocare sulla loro pelle.
Una società evoluta e progressista che affronta i problemi e li risolve non può lavarsi le mani come Pilato demandando tale problema drammatico ed angosciante solo alle famiglie e relegando il suo intervento solo in creazioni di filtri e di ostacoli che non fanno altro che determinare disperazione ed abbandono.
I bambini autistici devono usufruire in pieno di tutte le terapie più avanzate che servono a loro ed alle loro famiglie per attuare il principio della cura giusta e del recupero alla socialità.
Lesinare a questi bambini bisognosi più degli altri della presenza di persone preparate professionalmente, i terapisti, con la creazione di filtri e carrozzoni burocratici che condizionano un dramma di vita sta ad indicare mancanza di umanità e incomprensione del problema.
Si sa che questi bambini fin dal manifestare il loro disturbo hanno bisogno di una famiglia cosciente del problema e pronta a dare tutto se stessa per il proprio figlio per recuperarlo a vivere una vita decente.
Le famiglie non possono essere lasciate sole: tutti coloro che hanno nelle proprie mani gli strumenti sociali ed economici devono intervenire perché queste famiglie, e non sono poche, hanno bisogno di un aiuto costante da parte di operatori professionalmente preparati, i terapisti, e non di altro che possa acuire le sofferenze che portano con sé
Per un portatore del disturbo autistico determinante è la figura del terapista preparato e con esperienza che deve ricercare, approfondire ed applicare le sue conoscenze professionali ad ogni singolo bambino autistico che gli viene affidato perché nessun bambino è uguale ad un altro.
Dietro ogni diagnosi c’è una persona unica ma nello stesso tempo eccezionale, una persona che ha bisogni specifici e che ha alle spalle una famiglia che lotta ogni giorno non solo per la sua integrazione ma anche per la sua inclusione.
Più il terapista, perché si crea un legame unico tra lui ed il bambino, è presente con la sua azione continua maggiori sono i risultati di recupero che il bambino realizza nella comprensione del mondo che gli è intorno.
Ridurre le ore e la presenza del terapista o di altro che serve per dare un lume di speranza ad un bambino con l’autismo ed alle famiglie solo per creare altre strutture che poco vantaggio possono portare al bambino ed alla famiglia, è la dimostrazione che si vuole normare un problema che ha urgente bisogno di una profonda riflessione non fatta intorno ad un tavolino ma da persone che conoscono e vivono ogni giorno tale drammatico problema.
Con la Delibera n.131 del 31/03/202 la Regione Campania, pur avendo individuato le necessità di dare una certezza normativa agli interventi da realizzare per chi soffre dello spettro autistico, dimentica i passi avanti importanti fatti nella Provincia di Caserta ed i risultati validati da successi con l’applicazione del metodo ABA, riducendo in modo drastico il monte ore dei terapisti ABA, professionisti preparati e motivati.
Chi ha concepito e steso tale Delibera, forse, poco conosce tutte le sfaccettature del mondo dell’autismo e i reali e positivi vantaggi portati dal metodo ABA
Se si attua tale Delibera significa distruggere tutti i risultati positivi che hanno raggiunto i bambini e le relative famiglie della Provincia di Caserta dove é riconosciuto valido ed adottato il metodo ABA.
Questi bambini hanno bisogno in modo continuativo della presenza di qualcuno che loro non considerano ostile ma disponibile ad usare le proprie capacità professionali per entrare nel loro mondo e viverlo con loro per lentamente modificarlo.
Una storia semplice da raccontare ma difficile da spiegarsi dal punto di vista scientifico è la storia di Iris e della gatta Thula.
Iris nel 2012 aveva sei anni, non parlava, viveva in un suo mondo impenetrabile. Non accettava nessuno, insofferente ad ogni stimolo di socializzazione. Era una bambina con disturbo dello spettro autistico.
I suoi genitori, in modo particolare la mamma, volle che Iris fosse seguita da una terapista che riuscì a penetrare nel guscio in cui si era chiusa e pensò di rafforzare la sua terapia con la presenza di una gattina che potesse essere sua compagna.
Si scelse una gattina, la chiamarono Thula che nel linguaggio zulu significa pace e tranquillità. Questo nome si ripeteva in una nenia che la mamma cantava ad Iris per farla addormentare.
In poco tempo Thula è riuscita ad essere l’amica per sempre di Iris ed a completare l’azione di apertura del guscio in cui si era chiusa, stimolandola a sviluppare un suo talento per comunicare il suo mondo, quello dei colori e del disegno, un mondo nascosto per lei sino ad allora.
Il suo mutismo non è stato più lo stesso ed ha iniziato ad indicare gli oggetti con parole, poche in verità nei primi momenti. Lentamente si veste da sola, si sveglia nel sentire il suono della sua sveglia, trascorre la sua giornata con Thula che la segue dovunque anche quando è nella vasca da bagno.
Iris e Thula non si sono più lasciati.
La bambina, ora ha qualche anno in più, con la costante presenza della sua terapista riporta, ancora oggi, il suo mondo con i suoi colori sui cartoncini che sono richiesti dai suoi ammiratori e da studiosi che si meravigliano dei risultati raggiunti da Iris.
È una storia semplice ma che ripercorre la storia di tanti bambini autistici. Se fosse dato a loro ed alle loro famiglie le possibilità di un’assistenza continua e specifica potrebbero fare quei piccoli passi nel recuperare un mondo che loro considerano ostile.

Giuseppe Toscano
(da Il Sidicino - Anno XIX 2022 - n. 2 Febbraio)