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Caffè d'altri tempi

 

Nel tempo presente questa deliziosa bevanda è diventata d'uso così comune da far parte integrante della nostra alimentazione ordinaria. Non penso ci sia famiglia che non abbia in casa una provvista dell'amata polverina e vari tipi di macchinette azionate a fuoco o a corrente elettrica, le più sofisticate, per produrre qualcosa che assomigli il più possibile all'espresso gustato al bar.
Quasi tutti sogliono far colazione al mattino con una tazzina di caffè, magari accompagnata da qualcosa di più sostanzioso, ma non basta, perché l'aroma che si diffonde nei pressi dei bar ci invita in ogni ora della giornata a entrare per gustare questo prezioso dono della natura. Se incontriamo un amico, non troviamo altro modo di usargli una cortesia che invitarlo a prendere un caffè e ci sentiamo gratificati se è lui a rivolgerci l'invito.
In altri tempi di caffè se ne consumava poco, non perché era meno gradito, ma solo perché era considerato un genere di lusso che non era permesso alle tasche di tutti. Però tutti erano forniti del macinino che serviva all'occorrenza. Preparare un caffè era un rito riservato solo per accogliere una persona importante e solo allora si mandava a comprare dallo speziale un'oncia di caffè. E dico un'oncia perché, essendo un genere di lusso, si vendeva ancora con la vecchia unità di peso che era la libbra.
Non essendovi ancora i moderni mezzi di conservazione e commercializzazione, si vendeva in chicchi. Ecco perché ogni casa doveva tenere il macinino. Però, nonostante tutto, era ben altra cosa la polverina di quelle drupe tostate appena da qualche giorno. Infatti, a settimane alterne, eravamo deliziati da quel paradisiaco aroma della tostatura che si diffondeva nell'aria nella zona di Porta Rua. All'interno del negozio c'era la signora Martina e all'esterno c'era Rosinella che, in giorni stabiliti, sistemava sul marciapiede antistante il negozio l'apposito fornello di lamiera. Poggiavano su apposite forchette un cilindro metallico ripieno di caffè crudo e con il manico lo facevano girare continuamente affinché il caffè si tostasse uniformemente. Di tanto in tanto, per controllare la tostatura aprivano lo sportellino praticato sul cilindro e allora le massaie aprivano le finestre anche se in pieno inverno e gli artigiani uscivano sulla strada giacché da quello sportellino l'aroma si diffondeva nell'aria dando un vivo senso di beatitudine.
Nelle famiglie, in origine, il caffè veniva preparato "alla monachina" o "alla turca". Si metteva sul fuoco un bricco tronco-conico con l'acqua e quando questa bolliva si versava con un cucchiaino una certa quantità di polvere di caffè; la si faceva bollire per qualche istante e poi si filtrava il liquido nella caffettiera che veniva portata in tavola. Solo più tardi fu inventata la famosa "caffettiera napoletana" dalla quale derivano quelle più sofisticate dei nostri tempi.
Quelli che ora chiamiamo bar erano un tempo chiamati più semplicemente caffè, ma di caffè ne vendevano poco, eppure dovevano tenere tutto il giorno il fornellino a carbone acceso poiché poteva sempre capitare ad ogni ora del giorno che qualcuno chiedesse un caffè.
Di questi locali ve ne erano pochi e non emanavano gli stuzzicanti aromi dei moderni bar. Due erano siti in Piazza Umberto I, ai lati del portone d'ingresso al Palazzo Cicerchia: il "Caffè del Buon Giorno" e il "Caffè della Buona Sera", sempre in contesa tra loro per accaparrarsi qualche cliente. Un altro, quello di Fascitiello, stava in Piazza Vittoria nei pressi dell'ingresso del castello. Fuori la Porta Rua c'era poi quello di Rosinella.
La maggiore affluenza si notava di primo mattino, fatta di artigiani che, prima di mettersi al lavoro, volevano prendere qualcosa di caldo o di chi doveva viaggiare ed era costretto a sostare a lungo in attesa della carrozzella per la stazione ferroviaria. C'era anche qualche operaio che sostava in strada in attesa di essere chiamato al lavoro da qualcuno.
Ognuno aveva i sui gusti: alcuni lo volevano puro e semplice, altri con lo "schizzo", cioè con una spruzzatina di anice; altri ancora, specie d'inverno, pur volendo gustare il sapore del caffè, desideravano qualcosa che li riscaldasse e perciò lo chiedevano "con la mosca" ossia unito a un bicchierino di liquore e a un chicco intero di caffè. Dopo le piazze diventavano deserti ed anche i caffè, fino al tardo pomeriggio quando vi si recavano gli abituali clienti a giocare a carte, ma per bere birra, gassosa o al massimo un vermut.

Paride Squillace
(da Il Sidicino - Anno IV 2007 - n. 7 Luglio)

Piazza Umberto negli anni Venti del secolo scorso. Le arcate laterali del Palazzo geremia - Coronel, poi proprietà Cicerchia, sono occupate dal "Caffè del Buon Giorno" (si scorge l'insegna sulla porta) e dal "Caffè della Buona Sera" (sulla destra). (Cartolina della Collezione Di Benedetto)