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L'acqua ferrata: "I bagni e il rito della fresella"

 

Certamente tutti i nostri concittadini conosceranno, almeno per sentito dire, dell'esistenza, nel nostro territorio, della sorgente dell'acqua ferrata. Ma in modo molto superficiale, quasi disinteressato, perché noi siamo abituati a lamentarci sempre per non avere questo o quello e nel contempo mandare alla rovina quello che abbiamo.
Così come accadeva per i grandi beni archeologici trascurati ed abbandonati al vandalismo ed al saccheggio dei tombaroli.
Ma almeno per questo vi fu, a suo tempo, una amministrazione comunale che mosse le acque, un Gruppo Archeologico che sensibilizzò l'opinione pubblica, e finalmente la ferma volontà di una persona, peraltro neanche indigena, purtroppo sottovalutata ed osteggiata, che creò i presupposti per la valorizzazione di tanta ricchezza.
Così non è stato per l'acqua ferrata. Vero è che l'atteggiamento del proprietario del fondo in cui è situato il viale di accesso alla fonte ha sempre impedito di trovare un accordo, ma mai ho visto ed udito che le competenti autorità si siano seriamente impegnate a trovare una via di soluzione al problema. Chi scrive si è anche personalmente impegnato più volte per riuscirvi, fino al punto di progettare una società per azioni nella quale il proprietario del fondo avesse quote valutate in proporzione al valore del terreno, ma ne ottenne solo tentennamenti.
Anche il discorso con le autorità comunali di varie amministrazioni si è sempre dimostrato difficile, sia nel passato che in tempi più recenti. Finora tutto tace.
Dopo la critica veniamo ai fatti: cosa era per Teano la sorgente dell'acqua ferrata?
Era il nostro fiore all'occhiello: se ne parlava a Teano e fuori, nei paesi limitrofi. Tutti elogiavano i benefici prodotti da quell'acqua, i medici la consigliavano ai bambini anemici ed alle donne in attesa. Ricordo che anche in Seminario, dove sono stato alcuni anni, molti seminaristi erano forniti giornalmente di una bottiglia di quest'acqua che un tale, incaricato dai genitori, andava ad attingere alla fonte.
E, giacchè essa è effervescente, ci si divertiva, di nascosto, ad agitare un po' le bottiglie e ad allentare i tappi che ad un certo punto, nel silenzio assoluto richiesto in refettorio, cominciavano a saltare con una serie di botti.
Tutti erano interessati a beneficiare dell'acqua ferrata: nelle belle giornate gruppi di amici e famiglie, nonché giovani coppiette si avviavano a fare la salutare passeggiata, forniti della “fresella” da inzuppare e del fiasco per bere e per portarne a casa. Ma solo un fiasco, perché dopo un giorno il fondo del recipiente si copriva di una ruggine ferrosa depositata dall'acqua.
Però il maggior pregio era costituito dal piccolo stabilimento sorto sul posto. Era piccolo, ma importante, perché allora non esistevano i tanti stabilimenti termali ormai sorti dappertutto. Vi si accedeva da una sala tappezzata di testimonianze rese da persone eminenti perfino del periodo romano. Ora questa è dirupata e invasa dalle spine così come la diecina di cabine con vasca dove si poteva godere del tepore dell'acqua riscaldata da una caldaia a legna.
Ed il bagno lo facevano non solo i nostri concittadini. Dai paesi vicini venivano col calesse o con la carrozza per effettuare il periodo prescritto per la cura. Qualcuno veniva da lontano e sostava presso parenti o in piccoli appartamenti, con indubbio beneficio anche dell'economia locale.
Ma le clienti più numerose erano le donne considerate sterili, e giacché non si conoscevano metodi per accertare se la causa della sterilità era maschile o femminile, esse si sottoponevano alla cura sperando nel buon esito. E l'affluenza era incrementata anche dal fatto che più d'una di esse affermava di aver realizzato il proprio sogno per effetto della cura.
Però, come al solito, le malelingue non mancavano e cominciò a corre voce che il merito era del baldanzoso bagnino che vi operava.
Io, naturalmente, non posso né confermare né smentire, ma penso sia ora di mettere alla prova la validità delle affermazioni delle signore.

Paride Squillace
(da Il Sidicino - Anno II 2005 - n. 1 Gennaio)