L'ASSOCIAZIONE
 
il Sidicino
 
Indice per autore
 
Indice Paride Squillace
 
 

Personaggi: Pariciello Aurecchia

 

Quando si passava al centro della via dei Calzolai, proprio di fronte alla “porta Rua”, con le sue cortissime braccia poggiate sulla stampella, come sul davanzale di una finestra, e su esse posava il mento, sembrava un intellettuale immerso in una profonda meditazione.
Ma a guardarlo da lontano, acquattato sulle gambette corte e malferme, sembrava uno di quei cani d'argilla che si pongono sui pilastri dei cancelli delle ville.
Aveva dimora in uno dei modesti alloggi facenti parte del complesso della Torretta, che erano allora molto maltenuti. Fino ad un certo tempo aveva vissuto con la vecchia madre che provvedeva alle faccende di casa ed a rabberciargli gli abiti per renderli adatti alle sue misure assolutamente anormali.
Sbarcava il lunario facendo da sacrestano nella chiesa di Sant'Antonio abate, che teneva pulita ed ordinata: preparava l'altare e serviva la messa rispondendo in un improbabile latino. Si dava molto da fare per i festeggiamenti del Santo, il 17 di gennaio. Poi, una volta la settimana, prendeva la cassetta delle elemosine e faceva il giro per le vie principali, senza stimolare od importunare alcuno; anzi era spesso sorridente e a volte faceva anche qualche battuta a suo modo scherzosa.
Poi la mamma morì e si trovò solo a provvedere alle sue necessità, senza avere nessuno con cui scambiare una parola. Non so come facesse per soddisfare i bisogni personali o come tenesse la casa perché non permetteva ad alcuno di entrarvi. Ma era visibile come provvedeva al suo vestiario perché , anche se avesse avuto modo di comprarne, non avrebbe mai trovato qualcosa di adatto alla sua corporatura. E allora rattoppava quelli vecchi e sdruciti con pezze dei più svariati disegni e colori, rammendati sempre con un robusto filo bianco.
Certamente, nella sua solitudine, molti pensieri affollavano la sua mente e sentiva il bisogno di comunicarli a qualcuno, ma a chi?
Allora usciva ed andava a piazzarsi al centro di quella o di un'altra strada ed aspettava in meditazione. E poteva restarvi per lungo tempo tanto non v'erano problemi di traffico che allora era costituito solo dalle carrozzelle che andavano a portare i passeggeri alla stazione ferroviaria o ne tornavano. Oppure dai pochi ciclisti che erano comunque la preoccupazione delle mamme che al bambino che usciva a giocare sulla strada non mancavano di raccomandare: “..stai attento alle biciclette!”. (Erano proprio altri tempi!).
Intanto Pariciello era là, immobile e pensoso. Ma stava davvero meditando?
No: egli sentiva solo il bisogno di parlare con qualcuno.
Ma l'artigiano, il commerciante del posto o qualche rapido passante avevano altro da fare ed ecco che Pariciello, stanco di aspettare e di essere ignorato, sbottava: “..mo' nisciuno parla!...mo' so' muorti tutti quanti!”. E via tutta una sequela di invettive, di ingiurie e di epiteti a destra e a manca, contro autorità civili, militari ed ecclesiastiche, ed allusioni a personaggi di cui non faceva mai nome.
Era il segnale. Il ciabattino prendeva il suo trincetto o cominciava a battere freneticamente sul banchetto, una voce da lontano gridava “Pariciello aureeeecchiaaa…”, un'altra faceva eco “Pariciello a fella 'e lardo…”, forse facendo riferimento alle preferenze alimentari del nostro.
Intanto si risvegliavano i ragazzi che lanciavano fischi e grida mentre Pariciello continuava la sua filippica, ma con sempre minor foga. Il suo viso cominciava ad illuminarsi fino a sorridere: era soddisfatto, aveva avuto degli interlocutori.
Adesso poteva imbracciare la sua stampella ed avviarsi saltellando verso i gradini della Torretta.

Paride Squillace
(da Il Sidicino - Anno I 2004 - n. 10 Ottobre)