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I mirti divini

 
 

Un gradevole liquore di mirto si produce nel casertano e la sua delizia fa ricordare il verso dannunziano “piove sui mirti divini” del La pioggia nel pineto. Meglio: nella pineta, Vate!
Perché divini i mirti?
Secondo Tito Livio, l'Urbe era nata nel punto in cui era spuntato un arbusto di mirto chiamato anche mortella. La pianta e il suo frutto, le bacche, erano considerati una rappresentazione dell'amore per eccellenza, sia sacro che profano. Tanto che era sacro a Venere la quale, uscita nuda dalle onde del mare, si era rifugiata tra le sue fronde per sfuggire alle brame dei satiri erotomani!
Il nome mirto deriva dalla radice myrion che significa “essenza profumata”.
Plinio definisce questo arbusto myirtus coniugalis: con i rami si componevano ghirlande per gli addobbi delle feste nuziali fino al Cinquecento. Poi sostituiti dai fiori d'arancio.
Il mirto nasce spontaneo in alcune zone collinari tra Giano Vetusto e S. Angelo in Formis. Dalla premitura autunnale delle bacche di colore bluastro si ricava un liquore odoroso.
A Vitulazio troviamo una azienda che lo produce ai piedi del Monte Tutuni, nella omonima via; dove si può ammirare un fallo in pietra (il dio in persona…dei pastori) simbolo della fertilità.
Tutuni era una divinità matrimoniale fallica della vetusta religione romana simile a Priapo. Il tempio era sul colle Velia e durò fino al primo secolo a.C.
Stando alle testimonianze dei Padri della Chiesa, si pensa che le spose romane, durante i riti matrimoniali, cavalcassero “l'orribile fallo” di Motuno Tutuni per prepararsi all'amplesso.
E così imparavano a non essere imbarazzate dal sesso.
Nell'azienda agricola visitata troviamo un fallo in pietra che è il dio pastorale Tutumi.
Degno di figurare nel Museo fallologico di Reykjavik, capitale dell'Islanda, dove sono esposti 283 falli in formaldeide di 93 mammiferi, compreso quello incartapecorito di una ex dipendente (guida turistica) morto a 95 anni.

Lucio Salvi
(da Il Sidicino - Anno XV 2018 - n. 12 Dicembre)