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Matta per vivere

 

Questo è un racconto autobiografico di mia figlia Claudia colpita da sventura. È scritto bene; è una vita vissuta intensamente; senza piagnistei. Un futuro di scrittrice? Forse?

Lucio
 

Prima della guerra
Ho 51 anni, vivo da sola e faccio una bella vita tra viaggi di lavoro e attività sportive. È settembre 2015 e sono da poco tornata dalle solite mie vacanze in bici estive. Due le mie passioni nella vita: lo sport e l'Europa. Sono un'europeista convinta dalla nascita e promuovo l'ideologia europea in ogni occasione. Non a caso sono diventata la coordinatrice di un Centro europeo di informazione ai cittadini sull'Europa.
Due gli sport che amo di più: lo snowboard e la bicicletta. Ho cominciato a sciare all'età di tre anni e poi sono successivamente passata allo snowboard. Amo ruzzolare giù per le montagne stile “valanga”.  I miei amici hanno più volte assistito alle mie formidabili cadute durante le quali non cerco neanche di fermarmi perché ruzzolare è parte del divertimento.
La passione per la bici è più recente. Risale a circa 20 anni fa quando mi aggregai ad una vacanza in bici in Olanda e lì capii che quella era la mia dimensione ideale di vacanza. Si passano le ore all'aria aperta in compagnia di persone straniere che non conosci e nascono amicizie, nuove solidarietà mentre si ammirano paesaggi mozzafiato.
Dalla prima facile vacanza decido di provare qualcosa di più difficile, che mi porta anni fa ad andare in vacanza in bici sull'Himalaya, per giunta senza allenamento… È stata una vera sfida, ma nonostante tutto decido di introdurre, nella mia pianificazione ferie, almeno una vacanza avventura ogni due anni per andare a visitare quei luoghi che stimolano la mia fantasia, conseguenza dell'altra mia passione: la lettura.
Ed è così che sono finita in Vietnam in bici. Nelle mie letture sulla guerra in Vietnam sono sempre stata colpita dalla storia della difensiva nei tunnel dei vietnamiti contro l'aggressore francese prima, e statunitense successivamente. La cosa che mi ha colpito di più è stato immaginare come i piccoli vietnamiti abbiano potuto difendersi ed alla fine liberarsi dal gigante americano. La voglia di visitare Saigon ora ribattezzata Ho Chi Minh è diventata quindi sempre più forte.
Ho Chi Minh è la città più grande del Vietnam. Vide l'insediamento dei francesi prima (che furono in seguito scacciati) e divenne uno dei punti focali della guerra. Fu dopo quest'ultima che Saigon prese il nome del leader del movimento socialista (Ho Chi Minh, appunto) che portò la sua fazione alla vittoria. La cosa che mi incuriosiva di più di questo viaggio era visitare la complessa architettura sotterranea dei tunnel di Cu Chi a nordovest di Ho Chi Minh, nel profondo sottosuolo dove vi è nascosta una vera e propria città sotto la città: si tratta del lungo tunnel di Cu Chi, una rete di cunicoli e vie sotterranee che hanno fatto la storia. Costruiti all'epoca della dominazione francese, questi 220 chilometri di gallerie vennero creati per collegare diversi villaggi ed arrivavano fino al confine con la Cambogia. Esse erano in grado di ospitare circa 10.000 persone. Il ruolo strategico dei “Cu Chi tunnels” venne sapientemente sfruttato durante le fasi di guerra, prima contro i francesi e anni più tardi contro gli americani nella guerra del Vietnam.
Fu in particolare in questo periodo che i famosi Viet Cong, i guerriglieri vietnamiti della fazione antiamericana, utilizzarono i tunnel per nascondere le truppe, per rifornirsi di armi o cogliere di sorpresa i soldati americani organizzando rappresaglie e spedizioni punitive. I soldati vietnamiti si nascondevano infatti in questi sotterranei di cui nessuno, in particolare la base americana, ubicata proprio in quella zona, ne era a conoscenza. Non solo, di notte i vietnamiti uscivano dai tunnel, raccoglievano le armi inesplose degli americani e le riutilizzavano per la controffensiva. 
Ad accogliere i turisti oggi c'è tutta un'atmosfera da guerra: guide vestite da militari, video di propaganda e veri poligoni da tiro, oltre ovviamente ad avere la possibilità di vivere la claustrofobica ma emozionante avventura di camminare nel sottosuolo vietnamita. Le gallerie sono alte 1,2 metri e larghe 80 cm. Non vi è illuminazione, quindi bisogna essere coraggiosi e pieni di spirito per intraprendere questo “viaggio” nei tunnel di Cu Chi. Inutile dire che io mi sono avventurata.
Questa visita è rimasta nei miei ricordi per molti anni.
Ma torniamo alla nostra storia, a maggio 2015 comincio a soffrire di forti dolori alla schiena. Ho sempre sofferto di dolori alla schiena e per giunta quando non faccio vacanze sport, trascorro le mie serate in palestra tra varie attività sportive, karate (sono cintura nera) aerobica coreografata, zumba fitness, ginnastica, quindi qualche ”acciacco” è più che giustificato. In più sono in procinto di partire per una nuova avventura in bici, questa volta in Armenia, durante la quale i dolori misteriosamente spariscono per riapparire appena metto piede nuovamente in ufficio. Ne deduco che il mio mal di schiena è collegato alla vita sedentaria e quindi decido che il lavoro mi “fa male alla salute”. Ritornano i dolori per sparire nuovamente durante la seconda vacanza in bici ad agosto da Berlino a Copenaghen. Ancora una volta i dolori ritornano al rientro, ma ormai l'inverno è vicino e non prevedo più vacanze in bici per qualche mese, e quindi decido di indagare su cosa sta succedendo alla mia schiena.
Comincio con una radiografia e una risonanza magnetica. Quest'ultima pare sia una cosa terribile, alcuni da me intervistati mi dicono che si entra in un tunnel e non si riesce a respirare, ascolto insomma racconti del terrore. Un mio amico invece, che ne ha fatte più di una, mi consiglia semplicemente di chiudere gli occhi così che io non mi renda conto di ciò che accade attorno a me. Mi sembra un consiglio sensato e quindi decido che, quando arriverà il giorno fatidico, di chiudere gli occhi.
L'appuntamento per la risonanza viene fissato agli inizi di settembre ed entro nella stanza con il lettino che conduce al tunnel. Si avvicina il radiologo che mi dà una cuffia e cerca di tranquillizzarmi, anche se non capisco perché, sono già tranquilla. Mi dice che sentirò dei rumori e perciò devo indossare la cuffia che serve per attutire un po' i rumori. La cosa mi incuriosisce, ma comunque gli sorrido, indosso la cuffia e mi stendo sul lettino.
Una volta nel tunnel cominciano questa serie di rumori che somigliano a sparatorie e bombardamenti, non sapendo come ingannare il tempo provo ad immaginare ad essere nei tunnel “Cu Chi” con i vietnamiti che si difendono dagli attacchi USA. La mia immaginazione è aiutata dagli innumerevoli film che ho visto sulla guerra in Vietnam. Passano circa 20 minuti quando mi tirano fuori dal tunnel e il radiologo mi chiede come va e se ho avuto problemi. Gli sorrido nuovamente e gli dico “nessun problema” mi sembra di essere stata in Vietnam. Il medico mi guarda perplesso, ma non aggiungo altro. Temo che possa richiedere un approfondimento psichiatrico ed io ho solo mal di schiena.
Ritiro dopo qualche giorno il referto e si comincia a capire che non si tratta di un semplice mal di schiena e seguono nuovi accertamenti, nuove risonanze ed infine la temuta TAC. Mi fanno compagnia in questa serie di indagini i rumori simili ai bombardamenti ed alle sparatorie. Sembra un film a puntate.
Arriva il referto della TAC e pare che ci sia un tumore al seno con metastasi alle ossa. E qui la seconda formidabile avventura.

Gli angeli custodi
Nel momento in cui viene identificata la malattia mi vengono dati gli strumenti per la cura. Mentre io continuavo a perdere tempo, perché per me era inconcepibile il concetto di essere malata, mio fratello un giorno mi urla al telefono per farmi rendere conto che ho un problema grosso e invia il mio referto ad un suo amico dell'Unicampus Biomedico, il quale senza conoscermi si mette a mia disposizione e mi guida in un percorso allucinante di indagini, accertamenti e visite mediche. Decido che questo medico è mio “angelo custode”. Fa per me delle cose che forse neanche un familiare farebbe. Dopo un po' lo soprannomino “il mio Santino” perché oltre ad essere un angelo, è anche un santo in quanto mi sopporta….
Dopo varie visite condotte dal senologo, persona di carattere forte e che per farmi capire la gravità della cosa mi mette paura, ma principalmente mi dice che dal giorno successivo non posso più viaggiare e andare in palestra. Ho già in tasca un biglietto aereo per andare ad una riunione di lavoro a Bruxelles ed un altro per fine febbraio per andare a fare snowboard nei Pirenei francesi.
Mi sento persa... Sono stata colpita negli affetti! Le ossa sono a rischio di frattura e quindi non posso più fare sport, la mia vita cambia in una notte.
Qualche giorno dopo vengo nuovamente convocata dal senologo per comunicarmi che il suo compito è finito e che ora devo andare nelle mani degli oncologi. Mentre mi riceve a studio mi chiede “come va?” Gli rispondo “come deve andare, ha cambiato la mia vita in una notte” mi dice di non mollare, perché proprio questa mia voglia di tornare a fare le cose che mi piacciono, sarà il segreto della mia guarigione. Penso tra me  e me facile a dirsi…
Si ma devo affrontare la cosa che ho sempre temuto di più nella vita la “chemioterapia”. Tante volte ho pensato a cosa avrei fatto se mi avessero trovato un tumore e sottopormi a trattamenti chemioterapici e la risposta è stata sempre la stessa. Non lo farò mai. Piuttosto scelgo di andare fino alla fine con la terapia del dolore e finire in pace. Purtroppo non ho potuto decidere, il mio “angelo custode” che continua a tranquillizzarmi, non mi dà possibilità di scelta. Devo guarire e quindi con molta rassegnazione decido di accettare il mio destino e cominciare la guerra…
Intanto ho dei problemi logistici, vivo da sola, i miei genitori sono lontani, non conoscono la città e invece a me serve qualcuno che sappia muoversi in città e anche fuori città per andare in ospedale e che principalmente sappia aspettare pazientemente su una sedia le innumerevoli ore durante le quali devo sottopormi a terapia. Di qui mi viene messo sulla mia strada il secondo “angelo custode”, un'amica di una mia carissima amica, conosciuta qualche tempo fa, che in seguito alla perdita del lavoro, ha deciso di dedicarsi ad attività di volontariato. Appena sa che io sono in difficoltà si mette subito a disposizione e prende servizio da me durante i trattamenti chemioterapici.
Capisco che come me è spaventata. Non sappiamo a cosa andiamo incontro, e chiede di poter venire con me ad incontrare gli oncologi per poter fare delle domande su come comportarsi qualora dovessero verificarsi alcune situazioni come la perdita di fame o altre condizioni imprevedibili. I medici la confortano compreso il mio altro angelo custode 1 e si scambiamo anche i numeri per poter intervenire in caso di emergenza. La sera dopo la prima terapia viene continuamente nella mia stanza per verificare se respiro ancora e quando realizza che in realtà sono viva si meraviglia fino a spingermi a chiedere al medico se sia normale che io sia ancora viva… Non solo, la temuta perdita della fame non si è mai verificata. Su questo ci contavo. Non ho mai sofferto di anoressia.
Altri angeli custodi vengono messi sulla mia strada. Nel corso delle mie visite mediche incontro una giovane ragazza laureanda molto carina e garbata che mi chiede gentilmente se voglio entrare a far parte della sua tesi di laurea per il farmaco che dovrò utilizzare per riparare la schiena. Come faccio a dire di no ad una richiesta espressa con tanto garbo? Non lo capisco, ma è un nuovo angelo custode che viene messo sulla mia strada. Quando entro in ospedale per le terapie della schiena le invio un sms e lei mi raggiunge subito e dopo mi segue durante tutto il mio percorso in ospedale. Anche lei mi è di grande conforto.

L'inizio della guerra e le truppe alleate
Intanto la terapia sta per iniziare ed io capisco che sta per cominciare una sorta di guerra all'interno del mio corpo. Mi ricordo sempre i racconti di mio padre, anche lui medico, che descriveva la chemio come una sorta di soldato che spara su tutti gli organi, i buoni e i cattivi.
Infatti proprio di quello si tratta. Da quello che capisco dai racconti dei medici è che la chemio uccide le cellule buone e cattive e quindi io devo allearmi con le cellule buone per lottare contro le cattive se voglio vincere questa guerra. Mi sento un soldato vietnamita. Sono piccola contro una guerra grande, ma non sono sola. Oltre ad avere una famiglia stupenda che mi sostiene, ho varie truppe alleate all'estero. Truppe alleate in Inghilterra (due amici medici inglesi) che mi inviano le loro tattiche di guerra, e truppe alleate in Belgio e Danimarca (un'amica chimico in Belgio ed un'altra biologa in Danimarca) che pure contribuiscono con vari bollettini di spionaggio, mi aiutano nella lotta contro il nemico. Per non parlare delle truppe nazionali, gli amici delle scorribande domenicali in bici e altri carissimi amici meno sportivi, fanno in modo da non farmi mai stare sola in casa la sera. Carri armati e munizioni provenienti da Teano (mio paese di origine), trasportano viveri di ogni genere, pesce fresco, frutta, verdura e olio biologico, e un giorno è arrivata anche una crostata di cioccolato con l'impasto di cioccolato, per dare energia alle cellule buone in guerra.
Ad un certo punto comincio a pensare di essere in vacanza. Se dovessi guarire e se tutto questo dovesse finire mi dispiacerà. Fingerò un nuovo malessere…. Per non far finire questo stato di ebbrezza…

Giorno uno e primi tentativi di pole dance
Il 26 novembre è il giorno di inizio della guerra. Non ho la minima idea in che cosa consista la terapia. Mi portano in una stanza con comode poltrone reclinabili e cominciano a bucarmi da tutte le parti. Mi tirano il sangue, poi mi portano nel bagno ed un'infermiera mi infila una siringa nel sedere ed infine mi fanno adagiare su una poltrona dove letteralmente mi attaccano ad un palo al quale vengono appesi 4 sacchetti di medicinali che lentamente devono entrare nel mio corpo.
Mi chiedo cosa ho fatto di male per finire così. Mi viene un'improvvisa sonnolenza che mi proibisce anche di leggere il libro che mi sono portata per ingannare il tempo. Resto attaccata al palo per ben otto ore e devo stare sempre con lui anche quando mi reco in bagno per svolgere le normali funzioni fisiologiche.
Dopo 5 ore di questa tortura comincio a pensare ai miei amici della bici e a cosa direbbero a vedermi ridotta così, su una poltrona sonnecchiante senza potermi muovere. Sono collegata a loro via what's up e allora per tranquillizzarli gli invio un messaggio dicendogli che in realtà sono lì solo perché sto frequentando un corso di pole dance (e non di lap dance come erroneamente viene definita in Italia) tenete presente quella danza che si fa attorno al palo? E pensare che quest'anno avevo deciso di iscrivermi ad un corso di ballo per imparare a volteggiare. Sogno infranto. Intanto ho saputo che all'Ospedale San Giovanni di Roma tengono dei corsi di tango terapeutico per i malati oncologici. Appena i miei medici mi permetteranno di muovermi mi andrò ad informare. Come posso perdere questa occasione?

Le armi utilizzate in guerra
Quindi le armi che ho per combattere insieme alle cellule buone sono essenzialmente cinque: buonumore, alimentazione ricca di vitamine e proteine, gli amici e parenti che mi sostengono anche psicologicamente, i miei tre angeli custodi e continuare a coltivare i miei sogni. Quindi decido che il premio per la guarigione sarà un viaggio in bici in Cile e Patagonia che potrà essere vinto solo se guarisco completamente, la schiena compreso, e solo se, condizione indispensabile, non verserò mai una lacrima durante la guerra…
Forse il recupero della schiena potrebbe richiedere un po' di tempo e quindi decido di fissare un premio di metà percorso: se per questa estate sarò a buon punto potrei andare in Groenlandia a vedere gli orsi bianchi in via di estinzione, l'aurora boreale e i ghiacciai in scioglimento. Questo è l'altro sogno della mia vita. Tra i sogni ci sarebbe anche quello di rotolare sul ghiaccio abbracciata ad un orso bianco, ma, non so perché, mi è stato vivamente sconsigliato…
Come diceva Walt Disney “I sogni si avverano se hai il coraggio di crederci”… E io ci credo.
L'armatura
Uno dei problemi da affrontare per l'entrata in guerra è la caduta dei capelli. Una mia cara amica, da poco colpita anche lei dallo stesso male e che ha già ultimato il primo ciclo di chemio mi consiglia di rifornirmi di parrucca dallo stesso fornitore utilizzato da lei. Una mia cara amica mi accompagna perché decide che non può lasciarmi da sola in una scelta coì delicata. Decidiamo, mentre ci rechiamo in macchina nel negozio, di utilizzare questa occasione per un cambiamento di look totale e quindi decidiamo che la parrucca sarà bionda, capelli lunghi e vaporosa. Ci attende il proprietario del negozio che appena entrate ci dice con fare minaccioso, “mica pensavate ai capelli lunghi!” e noi “no mai pensato in vita nostra” ah bene, perché pesano e non si sopportano. La mia amica ed io ci guardiamo negli occhi e capiamo che tutto ciò che avevamo immaginato in macchina era pura fantasia. Riceviamo un vero e proprio corso di formazione da quest'uomo pieno di esperienza e finiamo per tornare a casa con una parrucca sobria, dello stesso colore dei capelli originali, da utilizzare solo nei mesi necessari alla cura. Che delusione, devo abbandonare per sempre l'idea del look alla Marylin Monroe. Prima di lasciare il negozio il proprietario mi ricorda di stare lontana dai fornelli perché trattandosi di capelli finti, possono prendere facilmente fuoco. Decido così di acquistare anche un estintore per sicurezza.

L’alleanza con la Cina e l’aiuto dei paesi dell’est
Arrivato il momento di affrontare del suicidio del capello si tratta di decidere a chi affidare la rasatura della testa. Chiaramente ho evitato parrucchieri di grido come Jean – Louis David e decido che i più adatti ad assolvere questo delicato compito sono i parrucchieri cinesi vicino casa, dai quali vado spesso per comodità di orari (sono praticamente aperti tutti i giorni, festivi compreso, dalle 9 di mattina alle 21 di sera). Sono una coppia di giovani sposi. Lui lavora, ed è tra l'altro molto bravo, mentre lei fa la manicure, ma principalmente fa la manager del marito perché conosce 4 parole in più rispetto a lui e quindi traduce il desiderata delle clienti.
Vado di lunedì in quanto giornata più tranquilla e meno affollata. Entro e dico che devo rasarmi i capelli. Non conoscono la parola rasare. Spiego che devono tagliare molto corto e poi gli mostro la parrucca per fargli capire che poi devo indossare la parrucca. Il parrucchiere prende in mano la parrucca e la guarda come se stesse guardando un marziano. Cerco di nuovo di spiegare la situazione, ma ancora una volta lui non capisce. A questo punto interviene l'unica cliente presente nel salone, con molta probabilità una signora dell'Europa dell'est, che avendo capito la situazione ripete, in un italiano non perfetto le stesse cose che ho detto io. Il miracolo avviene. I cinesi capiscono…. Mi chiedo perché hanno capito lei e non me, ma non importa, l'importante è raggiungere il risultato.
Comincia la rasatura ma poi il parrucchiere si pente. Vede i riccioli cadere e gli dispiace e quindi si interrompe. A questo punto gli faccio coraggio e gli dico che deve andare fino in fondo. A rasatura avvenuta guardiamo tutti e tre (il cinese, la moglie ed io) lo specchio per ammirare il risultato e nessuno ha il coraggio di parlare. Improvvisamente sento un'ondata di gelo che mi colpisce la testa e sorridente gli dico “su mettiamo la parrucca che qui fa freddo”. Indosso la parrucca e concludiamo con un applauso. La solidarietà della Cina è risultata fatale. Li saluto e gli dico ci vediamo tra circa sei mesi. Poi mi fermo e penso. Il corpo umano è piano di peli. Perché far cominciare la caduta da quelli della testa?

La vendetta contro il nemico
Tra i vari accertamenti diagnostici ai quali sono stata sottoposta per verificare il tipo di malattia, uno mi ha divertita in particolare, quello effettuato con il nucleare. L'accertamento, simile a molti altri effettuati in questo periodo, in realtà è terminato con l'avviso, da parte del radiologo, di non recarmi in luoghi affollati perché per qualche ora risultavo radioattiva. Essendo entrata in guerra, sono andata immediatamente in ufficio ad abbracciare colleghi non tanto simpatici…. Si è trattata di una piccola vendetta…
Una cosa mi colpisce Candidatura al patrimonio culturale dell'UNESCO
Una cosa mi colpisce sin dall'inizio, la preoccupazione dei medici per salvaguardare il mio seno. Ho una quinta di taglia che per tutta la vita mi ha creato problemi specialmente quando faccio sport, in quanto un po' troppo ingombrante.  Speravo che il tumore potesse essere una buona occasione per liberarsene, e invece no, i medici  stanno facendo di tutto per salvarlo. Io li sollecito a non preoccuparsi in quanto tengo più alla schiena che al seno. Loro però insistono e decidono di perseguire la strada delle terapie subito per ridurre la dimensione del tumore e togliere così solo un quadrante e salvare il seno. Questa loro attenzione al seno mi fa chiedere se per caso stanno hanno deciso di candidarlo a patrimonio culturale dell'UNESCO.

Epilogo
Sono solo all'inizio di questa guerra e non so come andrà a finire. Certo è che si tratta di una vera e propria guerra, ma con un po' di buon umore e di fiducia nei medici che si prendono cura di me, sono certa di riuscire a vincere.
Queste esperienze possono cambiare la vita delle persone e chissà ora scopro che voglio diventare una scrittrice e sconvolgere totalmente la mia vita lavorativa. Non tutti i mali vengono per nuocere si direbbe.
“Io non voglio cancellare il mio passato perché bene o male mi ha reso quello che sono oggi. Anzi ringrazio chi mi ha fatto scoprire l'amore e il dolore, chi mi ha amato e usato, chi mi ha detto ti voglio bene credendoci e chi invece l'ha fatto solo per i suoi sporchi comodi. Io ringrazio me stesso per aver trovato sempre la forza di rialzarmi e di andare avanti, sempre….” (Oscar Wilde)
Ringraziamenti
Con questo breve racconto, simile sicuramente a quella di molti altri colpiti dallo stesso male, voglio ringraziare tutte le persone che mi stanno sostenendo in questo momento.
Innanzitutto i miei genitori che mi stanno accanto senza essere invadenti, mio fratello con la famiglia che sono sempre disponibili quando ne ho bisogno.
Principalmente ringrazio tutto lo staff medico dell'Unicampus che trattano i pazienti come esseri umani e non come numeri e questa è la chiave della guarigione.
Poi un grazie a tutti gli amici, in particolare quelli della bici, che in questo momento hanno dimostrato la loro solidarietà non solo sulla tavola dei ristoranti delle nostre gite domenicali, ma nella quotidianità di una malattia che in un certo senso mi sta privando delle cose che più amo.
Un grazie anche ai colleghi che non fanno parte del gruppo della “vendetta” e che invece stanno dimostrando una solidarietà sorprendente.
Un grazie grande poi ai miei angeli custodi, anche se uno di loro, mentre si prende cura di me ha constatato che io sono completamente matta. Deduco che sta avendo un compito difficile…
Un grazie enorme alla mia amica Laura che ha cominciato la guerra qualche mese prima di me e che mi ha fatto un vero e proprio corso di formazione su come comportarmi al verificarsi di determinati eventi.

Claudia Salvi
(da Il Sidicino - Anno XII 2015 - n. 12 Dicembre)