L'ASSOCIAZIONE
 
il Sidicino
 
Indice per autore
 
Indice Francesco Sabatino
 
 

La Riffa

 

Chi non ha conosciuto i nostri paesi negli “anni che furono”, fino agli anni ’70 almeno, forse non sa che, all’interno delle feste di piazza, accanto ai riti religiosi, ai soliti concertini, con cantanti più o meno alla moda, ed alle bande musicali, vi erano anche degli aspetti secondari non meno pittoreschi e degni di essere ricordati.
A volte, come nel caso della tradizione che si va a descrivere, lo scorrere del tempo ha eliminato del tutto o quasi questo genere di cose: esse continuano, tuttavia, a sopravvivere nella memoria di quelli che le hanno vissute.
Durante le feste patronali, ma anche nelle altre, si teneva la “riffa”, che non era una lotteria, come si è portati a pensare, ma si trattava, in sostanza, di un’asta contadina, che serviva a tramutare in danaro le offerte ricevute “in natura” dai “mastri di festa” (oggi comitato).
Costoro, quando facevano il giro delle masserie, un tempo numerose, raramente ricevevano offerte “in contanti”, ma la brava gente che vi abitava e lavorava era solita offrire per la festa pollame vivo, uova, formaggi e salumi, ecc.
Il momento della riffa, molto seguito, era in genere immediatamente successivo il rientro della processione del santo: si allestiva un rudimentale podio (a volte una semplice sedia o una cassetta di legno), il banditore vi saliva e con la sua voce possente cercava di imbonire la folla per piazzare la merce che era stata offerta.
Niente a che vedere con Sotheby’s e Christie’s, famose case d’asta anglosassoni, per carità! Nessun martelletto di legno battuto al momento dell’aggiudicazione, anzi… i modi del banditore erano spicci, e la lingua utilizzata solo il dialetto locale stretto.
Non di rado si poteva assistere a qualche divertente “siparietto” generato da un avventore che non condivideva del tutto l’operato e la correttezza del banditore, oppure anche a qualche scherzoso scambio di battute: la riffa destava interesse anche da parte di chi non era interessato ad acquistare nulla, proprio per queste particolari situazioni che frequentemente si generavano.
I banditori erano locali, brava gente del posto, dotata di voce forte e chiara e di una certa furbizia, che si prestava per tale impegno nei giorni delle feste per devozione al santo che si festeggiava o, a volte, dietro compenso, una “mazzetta” di poche migliaia di lire che, se la riffa andava particolarmente bene, poteva anche essere incrementata.
Un’arte particolare, quella del banditore di paese, che consisteva soprattutto nell’accendere l’interesse dei presenti nei confronti delle povere cose “arriffate”. Se costui si accorgeva che qualcuno che si stava avvicinando poteva eventualmente essere interessato ai beni “arriffati”, prendeva tempo, prima di aggiudicare frettolosamente un “lotto”, fatto per esempio da un paio di gallinelle e/o un pollastro; ed allora le rituali sequenze che precedevano l’aggiudicazione “una, roi e ttrè” (Trad.: uno, due e tre) diventavano “una, roi… una, roi… una, roi” ripetute un numero indefinito di volte, prima di arrivare al fatidico “…e ttrè”.
Oggi le riffe sono quasi del tutto scomparse, forse rimangano nei piccoli paeselli, un po’ perché le offerte “in natura” non si ricevevano più, un po’ per il diminuito interesse generale, o ancora perché non si trovavano più persone disposte a fare da banditore, comunque esse sono ineluttabilmente passate nel dimenticatoio.
Roba povera quella che si “arriffava”, merce di poco conto, forse anche per questo motivo per deridere qualcuno di spessore umano molto ridotto o dall’aspetto curioso, nel nostro dialetto è entrato in uso l’invito scherzoso che gli si rivolgeva: “vatt’ a arriffà” (Trad.: vatti a far vendere all’asta [perché vali veramente poco]).
Nel nostro linguaggio comune, inoltre, stavolta in italiano, la riffa richiama alla mente una locuzione, un modo di dire di uso corrente: “di riffa o di raffa”.
Quante volte vi sarà capitato di dire o di sentir dire: “di riffa o di raffa, hai ottenuto ciò che volevi”, che significa: lo scopo è stato raggiunto in un modo o nell'altro, comunque sia.
E’ straordinario, infatti, come queste cose, ritenute dai più come secondarie e poco degne di nota o di ricordo, abbiano potuto incidere a tal punto sul nostro modo di essere e di comunicare, fino ad indurre delle vere e proprie forme di linguaggio!

Francesco Sabatino
(da Il Sidicino - Anno XIX 2022 - n. 1 Gennaio)