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Vita del Club Sidicino / Le fake news: come inquinano
il dibattito pubblico e come possono essere combattute
(di Daniele Pasquinucci)
 

 

Per comprendere il fenomeno delle fake news occorre in primo luogo fare una distinzione: quella, basilare, tra misinformazione e disinformazione. La prima consiste nella diffusione di notizie infondate, inaccurate, fuorvianti senza la deliberata volontà o la consapevolezza dolosa di manipolare l’opinione pubblica: è un’azione sovente frutto di un atteggiamento superficiale. Vi indugiano spesso quegli operatori dell’informazione che, soprattutto durante la copertura di notizie in tempo reale, non verificano accuratamente le loro fonti, contribuendo in tal modo al cosiddetto disordine informativo. Quest’ultimo è lo spazio dove si intersecano la misinformazione e l’altra categoria generale alla quale ho fatto precedentemente cenno, vale a dire la disinformazione, le fake news. In questo caso, siamo di fronte a informazioni deliberatamente “inventate” al fine di arrecare pregiudizio a una persona, a un gruppo (etnico, religioso, linguistico, ecc.), a una organizzazione o a uno Stato. Si tratta, come è noto, di un tema di grande attualità. Ma sarebbe erroneo ritenerlo frutto esclusivo dei nostri tempi. Al contrario, la storia – anche assai remota – ci mostra come le false informazioni siano sempre esistite. Una delle differenze rispetto al passato è la loro più elevata capacità di diffusione, e quindi di nocività. Attribuire la responsabilità di questa novità al mezzo che le propaga – ovvero il web, i social media – è atteggiamento comune, e tuttavia solo parzialmente corretto, perché tende a mettere in secondo piano la volontà di chi genera e pubblica la “bufala” in rete.
Come ho detto, vari sono i soggetti, individuali e collettivi, che possono essere vittime della disinformazione. Facciamo alcuni esempi. Qualche tempo fa, nella piattaforma X, precedentemente nota come Twitter, è stata pubblicata un’immagine, falsa e presto cancellata, che ritraeva un generale israeliano, Yehuda Fox, vestito in uniforme nazista e con i baffetti “alla Hitler”. Il testo a corredo dell’immagine descriveva Fox come un tiranno responsabile di soffocare con la forza le opposizioni all’attuale governo israeliano. Questa fake news – che si è presunto essere parte di una campagna di disinformazione promossa da entità esterne - intendeva colpire contemporaneamente un individuo e un attore collettivo, ovvero gli israeliani e più in generale gli ebrei. Lo faceva in modo particolarmente insidioso e subdolo: assimilando gli israeliani (e gli ebrei) ai loro persecutori nazisti, responsabili della Shoah.
Come detto, anche le organizzazioni possono essere obiettivo della disinformazione. Viene subito alla mente, in questo caso, l’Unione europea (UE), presa di mira ormai da tempo dai propalatori di fake news, tesi ad alimentare il sempre più radicato euroscetticismo. C’è una panoplia, soprattutto in rete, di messaggi palesemente falsi sull’UE, che hanno come scopo quello di screditarne l’immagine ben oltre le responsabilità che possono essere attribuite alle istituzioni comuni europee.
Infine, anche uno Stato può essere danneggiato dall’azione di chi elabora e sparge le fake news. Tutti sappiamo che una delle pseudo-giustificazioni (tanto ad uso interno che internazionale) addotte dalla Russia per l’invasione dell’Ucraina consiste nella presunta presenza di un governo filonazista a Kiev. I nostalgici del Terzo reich, secondo il Cremlino, infesterebbero anche l’esercito del paese attaccato e sarebbero numerosi in vasti strati della sua popolazione. Ciò contribuirebbe a fare dell’ex repubblica sovietica una minaccia per la sicurezza nazionale della Russia. La scelta di definire l’aggressione come una “operazione militare speciale” (una sorta di azione di polizia, e non una guerra) ha la sua spiegazione anche in questa falsa narrazione.
Le fake news, in verità, sono facili da creare. L’intelligenza artificiale offre un potentissimo strumento aggiuntivo per realizzarle. Ne è un esempio quanto accaduto negli Stati Uniti in seguito ai guai giudiziari in cui è incorso l’ex presidente Donald Trump. Prima del suo arresto, grazie all’intelligenza artificiale sono state prodotte alcune foto che lo ritraevano in fuga dagli agenti, nell’atto di ribellarsi con forza ad essi e mentre era in manette e in prigione. Quelle immagini sono state fatte circolare in rete – come se testimoniassero un fatto realmente accaduto – creando potenzialmente i presupposti per una reazione violenta da parte dei sostenitori più spregiudicati di Trump (sono un buon numero: basti pensare al gravissimo assalto a Capitol Hill di cui si sono resi protagonisti nel gennaio del 2021).
Creare fake non è complicato, per convincere le persone che sono “vere”, occorre invece trovare terreno fertile. Quest’ultimo, in fondo, si trova laddove l’istruzione è carente. Proprio per questo, l’Italia è tra i paesi dove la disinformazione attecchisce più facilmente. Un rapporto pubblicato nel marzo 2022 da IPSOS e dall’Italian Digital Media Observatory mostra la permeabilità degli italiani alle cosiddette “bufale”. Alcuni dati: il 39% è convinto che la comunità scientifica sia divisa sul cambiamento climatico; più di un italiano su cinque ritiene che i vaccini siano pericolosi per i bambini; soltanto il 37% degli italiani è “totalmente in disaccordo” con chi attribuisce ai vaccini il fenomeno delle morti improvvise. Sono numeri che fanno riflettere e che si spiegano, in larga parte, con le carenze nell’istruzione degli italiani, sulla pochezza degli strumenti di analisi critica di cui dispongono. I Findings of the Media Literacy Index 2019, realizzati dallo European Policies Program Open Society Institute – Sofia, collocano l’Italia al ventesimo posto (su ventisette) su una serie di dati relativi alle competenze matematiche e scientifiche, alla libertà di stampa, ecc. In particolare, l’Italia precede soltanto la Romania nella percentuale di cittadini laureati sulla popolazione totale. Nel rapporto Skills Matter. Additional Results from the Survey of Adult Skills, pubblicato nel 2016 dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, si indicano vari livelli di competenze linguistiche (capacità di capire e affrontare in modo appropriato testi scritti). Il livello 1 è il più basso, il livello 5 è il più elevato. Il documento (p. 41) afferma che i “paesi/le economie con le maggiori percentuali di adulti che hanno ottenuto un punteggio pari o inferiore al livello 1 sono il Cile (53,4%), la Turchia (45,7%), l'Italia (27,7%), la Spagna (27,5%) e Israele (27,1%)”.
Il fatto è che l’istruzione è la migliore arma contro le fake news. Pensare di combatterle smentendole una ad una è un esercizio paragonabile alle fatiche di Sisifo. In altri termini: è una battaglia persa in partenza. L’antidoto più efficace è fornire ai cittadini gli strumenti critici e cognitivi per distinguere il vero dal falso, lasciando margini di incertezza su ciò che può essere verosimile: d’altronde, come abbiamo detto, le false informazioni hanno sempre avuto spazio nella storia dell’umanità – e non può essere altrimenti. Quanto sia fondamentale l’istruzione è confermato dall’esempio virtuoso della Finlandia. In questo paese, tutti gli alunni delle scuole – comprese quelle primarie – hanno a disposizione lezioni di tecniche e metodologie di insegnamento dell'alfabetizzazione mediatica. Il concetto di media literacy nelle scuole include competenze su come valutare i media e produrre i propri contenuti.
Secondo Julia Alajarvi, responsabile dell'associazione Kavi, che ha creato la settimana di eventi Media Literacy Week negli istituti scolastici del paese scandinavo, “Disinformazione e temi come le fake news sono stati all'ordine del giorno per anni. Ora abbiamo creato una capacità di pensiero critico nella maggior parte dei cittadini. L'alfabetizzazione mediatica è molto più che combattere contro la disinformazione: dobbiamo rafforzare nei cittadini la loro convinzione per la democrazia e la giustizia, per una società pacifica”. Grazie all’attenzione che viene posta nell’istruzione alla formazione di un pensiero critico capace di annullare gli effetti nefasti delle fake – un esito che è frutto dell’azione di un legislatore previdente – la Finlandia è ormai considerata un modello da seguire nella lotta alla disinformazione. Ed è la dimostrazione che alla base di una società sana, dotata di anticorpi capaci di contrastare le varie patologie che la possono insidiare, vi sono sempre sagge e lungimiranti scelte politiche.

(da Il Sidicino - Anno XX 2023 - n. 11 Novembre)