L'ASSOCIAZIONE
 
il Sidicino
 
 

(Dis)Sapori Garibaldini

 
Anche la seconda edizione della manifestazione itinerante "Da Annibale a Garibaldi”, sfarzosamente patrocinata dalla Camera di Commercio di Caserta, ha avuto come leit motiv delle giornate teanesi i "sapori garibaldini”. Qualcuno, con un poco di fantasia e un tantino di irriverenza, si è chiesto cosa mangiò veramente Garibaldi a Teano.
 

Le cronache dicono che Garibaldi e Vittorio Emanuele giunsero insieme a Teano verso le 9 del 26 ottobre e si separarono al Largo delle Settecannelle. Vittorio Emanuele voltò a destra, percorse la Circumvallazione e giunse alla villa dei Del Pezzo; Garibaldi voltò a sinistra verso il Muraglione e si fermò presso la casa oggi di proprietà Di Benedetto.
Era quella la prima casa del paese, esposta al vento gelido del Matese, a ridosso del Muraglione da poco innalzato, per opera della sempre vituperata amministrazione borbonica, allo scopo di rendere carrabile anche l'ingresso settentrionale del paese, servito prima solo dall'angusta Porta Roma, a simiglianza di quanto era stato fatto per l'ingresso meridionale del paese con la creazione delle scenografiche Rampe del Vescovado.
Garibaldi sostò in una stalla insieme alla docile cavalla che da tempo aveva sostituito il focoso destriero d'un tempo. Qualcuno gli consigliò di recarsi nella vicina osteria di Stella che il suo Stato Maggiore aveva preso d'assalto, famosa già a quel tempo per la trippa di bovino e il soffritto di suino. L'Eroe declinò l'invito. Era fuori di sé per il trattamento che gli aveva usato quel birbante di re, licenziandolo in tronco e mandando allo sbando le sue eroiche Camicie Rosse, che in realtà avevano dei comandi intermedi formati più da stranieri in vena d'avventura che da italiani in ardore d'irredentismo. Il suo Re lo aveva tradito, eppure erano compatrioti in senso pieno, perché anche Garibaldi era sardo, nato sotto il regno di Carlo Felice.
lnsistettero ancora per farlo entare nell'osteria di Stella, ma il Duce rifiutò nuovamente e con fermezza. Forse pensava: io nella cantinella di Stella e lui in casa Del Pezzo, tra il duca e la piacente duchessa nata Caracciolo, servito di un menù rigorosamente francese da camerieri in livrea. No, l'idea della trippa di Stella non gli andava giù. Meglio mandar giù qualcosa di freddo, perciò le cronache aggiungono che consumò del formaggio di pecora e gli fu offerto un paniere di fichi, di quelli rossi, perché nessuno avrebbe osato offrirgliene di bianchi, pericolosamente allusivi al candido vessillo delle Due Sicilie.
Intanto i garibaldini, accampatisi intorno all'antica fontana di Settecannelle, stavano cuocendo delle frittelle e avevano sfornato anche delle pizze fruendo, o forse abusando, del vicino forno. ll fornaio malvolentieri aveva acconsentito, ma una volta che i garibaldini furono dentro tenne ben d'occhio gli ingredienti con cui farcivano quella strana pizza e sbirciò, molto incuriosito, come venivano confezionate quelle profumate frittelle. Mandò tutto a memoria e il giomo dopo trascrisse le ricette che tenne gelosamente segrete fino alla morte. Le lasciò in eredità ai figli con la speranza che un giorno avrebbero potuto convenientemente sfruttarle e ingrandire il piccolo negozio. Disgraziatamente i figli, avviliti dalla crisi economica che era seguita all'annessione, non vollero più saperne di continuare il mestiere paterno. Preferirono emigrare e dimenticarono le preziose ricette nella vecchia casa sovrastante il forno dove non fecero mai ritomo.
Ora, dopo quasi un secolo e mezzo e in seguito a complesse e fortunate ricerche, finalmente sono state riscoperte e cosi è stato possibile deliziare il palato dei partecipanti alle celebrazioni con la pizza “Garibaldi” e le frittelle “garibaldine", autentiche ghiottonerie dell'epoca, abbondantemente distribuite ai Teanesi al prezzo politico di cinque euro. Sono state servite insieme ad un magnifico provolone Auricchio, che di meridionale ha solo il vecchio marchio, perché gli industriali del Nord, quando inghiottiscono un pezzo di industria meridionale, come quando incorporano un Banco, hanno la sensibilità di conservare l'antica denominazione per farci... contenti.
Non sappiamo se Garibaldi, che in verità non destò nei Teanesi alcun particolare entusiasmo e ripartì insalutato ospite, bevve del vino. Peccato che le cronache non dicano nulla al riguardo e le ricerche in merito non siano ancora approdate al risultato sperato, perché si potrebbe inserire un buon rosso “Garibaldi” tra i vini locali che i bravi “Palazzuoli” ogni anno versano a Versàno.

Don Josè

(da Il Sidicino - Anno III 2006 - n. 11 Novembre)