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L'arma vincente

presentato il libro “Teano nella seconda guerra mondiale - Parte prima - La deportazione”
 
 

“Le sirene possiedono un'arma ancora più temibile del canto, cioè il loro silenzio.”
Ma per fortuna c'è chi può sbriciolare il silenzio che genera oblio, utilizzando il potere rivelatore delle parole. Martino Amendola lo ha fatto, con la pubblicazione del libro “Teano nella seconda guerra mondiale”, scrigno prezioso di notizie riguardanti le tristi vicende che videro coinvolti molti nostri concittadini, a partire dal 23 settembre 1943.
Il libro si legge tutto d'un fiato. In ogni pagina la fedele descrizione di eventi troppo a lungo taciuti si accompagna a testimonianze di vita intrise di dolore e di speranza.
Sono pagine di storia della nostra Teano, non registrate in atti e documenti ufficiali, che richiedono una riflessione immediata sui fatti accaduti. Lo scopo evidente è quello di rinnovare l'impegno individuale e collettivo a favore di una società più equa e responsabile, ma anche quello di dare il giusto riconoscimento al coraggio di uomini e donne, che rischiavano di essere ignorati e dimenticati per sempre.
“Carissimi, ho riacquistato la libertà! Ritorno così ad essere uomo e non più un numero. La salute migliora... L'attesa per riabbracciarsi non sarà lunga.”
Così si legge in una lettera del 1945, anno della liberazione. Libertà, salute, abbracci... Non sono forse questi i beni più preziosi della vita?
Senza enfasi e con la semplicità che lo contraddistingue, l'autore mette in evidenza il dramma dei deportati, ma anche quello delle loro famiglie. Convocati con un messaggio ingannevole nella piazza principale di Teano, gli uomini “abili e validi al lavoro” furono strappati brutalmente ai loro cari, senza sapere cosa li attendesse.
Trasportati su carri bestiame ermeticamente chiusi dall'esterno, con due sole aperture per la luce e l'aria, i prigionieri furono deportati in Germania e nei territori occupati, costretti a intraprendere una quotidiana lotta per la sopravvivenza.
“La fame era la compagna fedele della prigionia, la grande compagna implacata e implacabile...”. Il disagio per le temperature assai basse si univa al gelo della solitudine, che si scioglieva solo alla consegna di qualche lettera spedita dai familiari. Chi poteva, pregava e andava avanti con la forza della fede. Tanta tristezza dovette imbiancare il Natale di quegli anni, la festa della famiglia per antonomasia...
E dovettero passare non pochi mesi affinché, dopo la liberazione nel 1945, molti deportati italiani (non tutti) cominciassero il cammino a ritroso verso i luoghi d'origine. Percorsero strade e sentieri, a piedi o con mezzi di fortuna, spossati e provati dagli interminabili giorni della prigionia, animati solo dal desiderio, alimentato giorno e notte, passo dopo passo, di fare finalmente ritorno a casa, in un dilagare di lacrime e baci...
Con profonda commozione leggo e rileggo pagine di questo libro che genera catarsi. Sono accanto al fuoco, la cena è pronta. Ho una casa e degli affetti che riempiono il cuore. Provo meraviglia, e questo per me significa non dare nulla per scontato, ma accogliere tutto come dono.
Sono certa che ogni volta che attraverserò “Piazza 23 settembre 1943” ricorderò che, oltre al temibile canto delle sirene e al loro pericoloso silenzio, esiste un'arma più potente: il canto della memoria.

Carmen Melese
(da Il Sidicino - Anno XVIII 2021 - n. 11 Novembre)

 
(foto di Mimmo Feola)
 
(foto di Mimmo Feola)