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Per le strade di quasi Natale

 
 

Un Natale essenziale saprà svelarci l'essenza del Natale?
Non sarà come gli anni precedenti: lo pensano e lo dicono tutti, pessimisti e fiduciosi. Certo, sarà così. Niente abbracci con amici e parenti dopo la messa di mezzanotte, niente tavolate con pranzi infiniti e giochi di società protratti fino a tarda sera, niente video con nonni e nipotini intenti a spacchettare i regali portati puntualmente da Gesù Bambino o da Babbo Natale, ancora non si sa...
Eppure ci sarà qualcosa che potrà aiutarci a diradare la coltre di tristezza che da mesi ormai ha tinto di viola le nostre giornate?
Nessuna festa, come il Natale, riesce a far emergere dolci ricordi, per lo più legati all'infanzia, e allo stesso tempo pensieri pervasi da profonda inquietudine. Natale è la festa dell'euforia che ben si palesa negli occhi dei bambini... e nello shopping compulsivo degli adulti! Ma è anche il giorno in cui il dolore, sedimentato nel corso dell'anno, di quest'anno in particolare, fa più fatica a sciogliersi in lacrime, apparendo talvolta insostenibile. Ognuno di noi si fa più presente agli altri, viene spontaneo mandare un messaggio d'auguri ad amici lontani e informarsi sulle condizioni di salute. E, nello stesso tempo, si fa più gravosa l'assenza. Di un lavoro perso, di una casa, di una persona che non c'è più...
Mai come in questo periodo si è percepita l'importanza della corporeità, dalla stretta di mano a conoscenti ed amici, al bacetto dato ai bambini. Un'alunna di otto anni mi chiedeva in lacrime, durante la videolezione, se in cielo avrebbe potuto riabbracciare la nonna, morta alcuni mesi fa. Non voleva solo rivederla, voleva riabbracciarla! Mi ha commosso la determinazione con cui poneva la domanda.
Ancora una volta ho avuto modo di constatare quanto i bambini facciano emergere con inenarrabile limpidezza ciò che negli adulti appare solo in maniera sfocata. Non è necessario essere esperti di psicologia per capire che l'abbraccio è esigenza universale. La “carne” rivendica il diritto ad essere riconosciuta come mezzo di comunicazione essenziale, e per chi crede, è lo strumento scelto da Dio stesso per manifestarsi agli uomini.
Quando Dio decise di farsi vivo e presente in mezzo a noi, poteva scegliere di diventare nuvola o fiore, stella o montagna, arcobaleno o cascata. E, pur avendo a disposizione una gamma infinita di possibilità, scelse di farsi “carne” e “pane”.
Prima del tempo,
prima ancora che la terra cominciasse a vivere,
il Verbo era presso Dio.
Venne nel mondo e per non abbandonarci in questo viaggio
ci lasciò tutto se stesso come pane.
È la strofa di un canto liturgico, il cui ritornello ripete, come nenia dolce e rassicurante: Verbum caro factum est, Verbum panis factum est...
Dio si è fatto carne, Dio si è fatto pane: per non lasciarci soli. Questa realtà può far affiorare sulle nostre labbra parole di gratitudine.
In questi giorni di quasi Natale non ci tufferemo in un gomitolo di strade, ma col cuore potremo raggiungere idealmente Betlemme, culla della Vita, in cui anche l'ombra della morte risplende. Non è certo un caso se Gesù sia nato in questa cittadina, il cui nome in arabo significa “casa della carne”, e in ebraico e greco “casa del pane”.

Carmen Melese
(da Il Sidicino - Anno XVII 2020 - n. 10 Dicembre)