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Il veliero sul tetto

 

Straordinarie le riflessioni che Paolo Rumiz, scrittore e viaggiatore triestino, ha raccolto in un diario di bordo durante il periodo della quarantena. Il titolo fa riferimento allo spazio sul tetto del proprio condominio, trasformato in magico veliero, su cui l'autore ha viaggiato con fervida immaginazione nei lunghi giorni della forzata clausura dovuta al covid. Una casa con vista sul mare e un'agenda di impegni ormai azzerati gli hanno dato il privilegio di sentirsi non prigioniero, ma libero di fronte alla prorompente bellezza della natura, con la possibilità di leggere il dramma del coronavirus da diverse angolazioni.
Questa pandemia, purtroppo ancora in atto, secondo l'autore, non è solo catastrofe, ma anche prezioso avvertimento. Un'opportunità per riflettere sulle cose che veramente contano nella vita, l'occasione di liberarsi dei fardelli inutili, dei pregiudizi, delle divisioni, per riscoprirsi solidali e uniti nell'unica grande battaglia che val la pena di combattere sempre: quella a favore dell'uomo, in una Terra rigenerata e amata. Una possibilità inaspettata per ritrovare lo stupore di scoprirsi contenti di un abbraccio, di un contatto non virtuale, di essere presenti con il corpo in un tempo non più sospeso su un presente-assente. Un tempo da vivere intensamente, attimo dopo attimo, con un sentimento di riconoscenza, seppure dolorosa.
Durante l'emergenza, non lo dimenticheremo mai, si poteva uscire solo per comprare generi di prima necessità: cibo, detersivi e medicine. Sono state sospese tutte le altre attività, chiuse le chiese, le palestre, i cimiteri, i negozi di libri e di fiori... Da quel momento, forse, abbiamo cominciato a comprendere l'importanza delle cose belle a cui eravamo abituati e per le quali non esprimevamo più gratitudine: la possibilità di passeggiare, di incontrare un amico e stringergli la mano, gustare un caffè al bar, partecipare alla messa domenicale, rendere speciale una serata gustando un'ottima pizza.
Le letture e le immagini virtuali, pur di grandissimo aiuto in questo periodo, non sono riuscite a sostituire la commovente bellezza di un fiore che sboccia e si dona gratuitamente nel silenzio; né le migliaia di parole apparse sul web, spesso mescolate a fiumi di detriti, hanno potuto sostituire l'odore delle pagine di un libro appena stampato.
Paolo Rumiz, capitano del veliero, simbolo del proprio inconscio, ha catturato nelle pagine del suo libro gli altri profumi che, per fortuna, hanno pervaso l'anima e le case: quello del pane appena sfornato, seguendo un rito fatto di attesa e cura amorevole, e quello dei dolci con cui si tentava di rendere meno amara la lontananza da amici, parenti, nipoti...
Chiusi in casa a fronteggiare la quotidiana “indigestione digitale”, abbiamo avuto tutti, ognuno in modo diverso, la possibilità di rientrare in noi stessi, e di ritrovare frammenti della propria umanità nascosta. Fatta di luci e ombre, sorrisi e lacrime, distacchi e riavvicinamenti...
Riemergono volti perduti. Sì, noi siamo tutti coloro che abbiamo amato – scrive l'autore. Poi aggiunge: Ringrazio per la meraviglia degli sguardi intensi con cui oggi ci salutiamo a distanza, per il desiderio di toccare chi amo, e per il cielo che mi fa dimenticare la tirannia dello schermo.”
E benedice il sorgere dell'alba, il volo dei gabbiani nei bagliori del tramonto, il ritmo della pioggia osservata dal veliero immaginario che gli consente di non rinunciare ai propri sogni. Il miracolo della natura è apparso sotto i nostri sguardi, attoniti tra l'orrore dei morti che non hanno vissuto il morire, e il trionfo della vita delle donne costrette a partorire da sole...
Nella fase che stiamo vivendo adesso, la più pericolosa sotto certi aspetti, assistiamo a continui sbalzi tra ottimismo e catastrofismo, tra fobia e indifferenza, in una contiguità totale di bellezza e orrore. L'autore offre un'analisi dettagliata della pandemia e delle sue conseguenze anche dal punto di vista socio-politico ed economico. Ma fa vibrare le corde del cuore quando rivolge pensieri di tenerezza ai nonni che se ne sono andati in solitudine, senza il conforto dei loro cari; e ai bambini che, come e più degli adulti, hanno bisogno di essere rassicurati dall'eterna fiaba della vita.
Tra crisi d'ansia e sollievo per il pericolo momentaneamente scampato, è liberatorio – annota lo scrittore – ammettere di non essere forti. L'unica certezza è che non c'è luce senza il passaggio attraverso le tenebre.

Carmen Melese
(da Il Sidicino - Anno XVII 2020 - n. 5 Luglio)