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Etty Hillesum la ragazza che non sapeva inginocchiarsi

 
 

Il 27 gennaio ricorre la giornata della memoria. Impossibile non pensare allo sterminio degli ebrei nei campi di concentramento senza provare un vuoto allo stomaco e un'angoscia profonda. Ho visitato due volte Auschwitz e credo che non cancellerò mai le immagini e le sensazioni provate. Non dimenticherò il silenzio assordante che avvolge quei luoghi, il filo spinato intorno alle baracche, le foto dei deportati, gli oggetti personali ammucchiati. È sotto gli occhi lo scenario della pazzia umana, il resoconto dettagliato dei crimini perpetrati a persone appartenenti a una razza considerata non pura, e destinata per questo ad essere soppressa. Uomini, donne e bambini, privati della dignità, umiliati e annientati, prima di essere sterminati definitivamente.
Dio, dov'eri quando i camini fumavano, diffondendo nell'aria l'odore acre di esistenze bruciate? Nei campi di concentramento, davanti a crudeltà innominabili, era veramente facile dimenticare che Dio esistesse...
Eppure, tra tanto orrore, suscita stupore la storia di personaggi che si sono elevati al di sopra della barbarie umana, che hanno trovato un motivo di speranza, dove aleggiava solo disperazione; che hanno coltivato idee di perdono e amore, laddove imperava odio e sconforto. Come si fa a rimanere indifferenti di fronte alla testimonianza di Anna Frank, padre Massimiliano Kolbe, Etty Hillesum?
Incredibile quanto l'essere umano sia capace di odio e amore, distruzione e rinascita, vendetta e perdono. Resto sbalordita di fronte alla lettura di testi scritti su materiale di fortuna, pagine in cui c'è posto contemporaneamente per la fede in Dio e per una morte deplorevole...
Etty Hillesum, nel suo viaggio verso Auschwitz, gettò dal vagone merci sul quale viaggiava insieme ad altri prigionieri, una cartolina postale, raccolta e spedita da uno sconosciuto e recapitata all'amica Christine van Noote, a cui era rivolto l'ultimo saluto... È stata conservata insieme a una settantina di lettere e al Diario, considerato “il documento spirituale più significativo della nostra epoca”.
Ma chi era Etty Hillesum? Primogenita di una famiglia di tre figli, giovane ebrea olandese, nacque nel 1914 a Middelburg (Paesi Bassi) e morì tragicamente ad Auschwuitz nell'autunno del 1943, all'età di 29 anni. Nessuno dei suoi familiari sopravvisse alla deportazione.
Leggendo i suoi scritti, ci si imbatte in uno spirito libero, una donna intelligente, irrequieta e dotata di grande capacità introspettiva. Consapevole delle atrocità decretate da Hitler e tuttavia non disposta a cedere all'angoscia e alla rassegnazione. Esther (Etty) Hillesum lotta con tutte le forze per mantenere intatta la sua dignità di persona e decide di non fuggire, di non nascondersi, di non evitare la sofferenza e la morte, ma di condividere pienamente le sorti del suo popolo. Ciò che importa, per lei, non è rimanere in vita a tutti i costi, ma il modo di continuare a vivere. E più che morire, per lei conta “come si muore”.
Per Etty, giovane intellettuale alla ricerca di un equilibrio interiore e di un'armonia nella propria vita, risultò determinante l'incontro con il terapeuta Julius Spier, allievo di Jung e fondatore della psicochirologia (scienza che studia la psiche umana, analizzando le mani). Julius Spier contribuì profondamente alla sua crescita umana e spirituale e fu da lei definito come “l'ostetrico della sua anima”. Suggerendole di scrivere un diario, la introdusse a un percorso di fede, attraverso la meditazione quotidiana della Bibbia. Etty scoprì che l'amore verso Dio non poteva essere disgiunto dall'amore verso gli altri, amici e nemici. Comprese che l'odio e la vendetta sono come un veleno versato nell'anima e non vanno alimentati, poiché “ciò che ha bisogno di essere sradicato è il male nell'uomo e non l'uomo”. Il suo terapeuta condivideva pienamente questa convinzione e ciò rafforzò in Etty l'idea che l'amore fosse l'unica soluzione per contrastare il male.
Nel luglio del 1942, Etty iniziò a lavorare in una sezione del Consiglio Ebraico nel campo di smistamento di Westerbork. Lì volle prestare assistenza alle persone in transito, destinate ad Auschwitz. Curò gli ammalati, consolò i disperati, rimase accanto agli affamati e ai moribondi, mostrò verso tutti un amore compassionevole. E in quello che viene da lei definito teatro dell'assurdo, e che si rivelerà anticamera dell'inferno, trovò anche il tempo di dedicarsi alla scrittura, di coltivare amicizie, di contemplare il proprio mondo interiore. Le difficoltà quotidiane non soffocarono in lei neanche il senso di meraviglia di fronte alle bellezze della natura. Etty, infatti, pur non ignorando il destino che incombeva sugli ebrei d'Europa, non rinunciò ad emozionarsi davanti a un gelsomino, una nuvola, un arcobaleno... Per lei anche una rosa che appassiva non doveva suscitare tristezza, ma far pensare alla fioritura successiva.
Nei suoi scritti si legge: “Trovo che la vita è bella e mi sento libera. In me si dispiegano cieli altrettanto vasti del firmamento al di sopra di me”.
Etty è consapevole del tesoro inestimabile della sua umanità, che cresce di pari passo con la sua fede. Non si dedica a una pratica religiosa particolare, attinge all'ebraismo e al cristianesimo. Apre la Bibbia a caso, e spesso la sua preghiera si accompagna a lacrime di dolore o di stupore. La paura non prende mai il sopravvento in lei, perché mettendo tutto nelle mani di Dio, sa di poter affrontare qualunque situazione.
Nel momento in cui viene deportata con la famiglia ad Auschwitz, Etty è diventata una mistica, ebbra di Dio. Sa che non è possibile trovare una risposta a tutte le sue domande, e tuttavia custodisce nel cuore la certezza che “Dio è più vicino a noi di quanto non lo siamo noi stessi”.
Inginocchiarsi sarà il segno del suo abbandono.

Carmen Melese
(da Il Sidicino - Anno XVI 2019 - n. 1 Gennaio)