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Pasqua è un incontro

 

Sembrava un giorno come gli altri, e si è rivelato il più bello della mia vita.
Ero andata al pozzo, come sempre. L'acqua è un bene prezioso, il dono supremo, senza il quale non si può vivere. Ed io avevo bisogno di acqua che mi rigenerasse, perché il mio cuore ferito e stanco non voleva rassegnarsi, voleva rifiorire. Eppure i giorni si susseguivano uguali, senza alcun cambiamento.
Mi guardavo intorno, scrutando l'orizzonte. Cercavo fuori di me un segno che m'inducesse a non rinnegare la speranza. E intanto fuggivo lontano da me, perché l'aridità aveva preso stabile dimora nel mio cuore.
La mia infanzia era stata apparentemente felice. Come tutte le bambine della mia età non avevo frequentato la sinagoga, riservata solo ai bambini, e la cosa un po' mi era dispiaciuta, ma la legge non ammetteva eccezioni. Più di tutto, mi era stato insegnato a svolgere le faccende di casa, compresa quella di andare a prendere l'acqua al pozzo. Inizialmente accompagnavo mia madre e le altre donne del vicinato; poi, ormai adolescente, mi ci recavo da sola. Con i giovani non potevo dialogare, con gli stranieri meno che mai, ma con le amiche potevo conversare liberamente di tutto: delle passeggiate nei campi, dei progetti di vita, dei desideri che come fiori cominciavano a sbocciare sul davanzale dell'anima. Ma la giovinezza passa in fretta, come tutti i momenti belli, e i sogni erano destinati a dileguarsi in una vita sempre più vuota di senso.
Conoscevo il sentiero a memoria, lo avevo percorso fin da bambina, da quando le mie braccia si erano mostrate abbastanza forti da sostenere un carico d'acqua. Io e le mie amiche facevamo a gara a chi riusciva a portare in equilibrio i recipienti senza versarne il contenuto, un'abilità che si apprendeva volentieri e subito: tornare indietro per un altro carico era davvero faticoso.
Quel giorno mi ero recata al pozzo quando il sole era alto nel cielo; ero assetata più del solito. Pochi piaceri si possono paragonare a quello di sorseggiare l'acqua quando la sete ha inaridito le labbra e la gola; poche sofferenze sono paragonabili a quella di un'arsura prolungata. Io avevo sete e la mia fonte era lì, a pochi passi. Tra poco avrei bevuto, poi, come sempre, avrei colmato il secchio e riempito l'anfora, tornando a casa dissetata e desiderosa d'ombra. Ma dopo aver soddisfatto ogni desiderio, sapevo che il mio cuore si sarebbe sentito di nuovo inappagato.
“Donna, dammi da bere…”
Una voce interruppe i miei pensieri.
Già da lontano avevo notato un uomo in prossimità del pozzo; fissava la cavità oscura rimanendo immobile. Mi ero avvicinata con disinvoltura, non era la prima volta che viandanti si fermavano ad attingere acqua, ma quest'uomo mi sembrava diverso.
“Come mai ti rivolgi a me? Sono una donna, e per di più samaritana” obiettai, afferrando la catena del pozzo. Il secchio si era già tuffato nelle profondità dell'anima e stava risalendo col suo bel carico di acqua fresca.
“Ti chiedo da bere, perché tu sei una donna…”
“Ma tu sei un giudeo…”
“Le donne sanno dar da bere, fin dall'antichità, fin dall'inizio dei tempi…Ti chiedo dell'acqua, anche se so che quest'acqua mi disseterà poco. C'è un'acqua che disseta per sempre!”
“Dimmi qual è e dove si trova, così eviterò di venire ogni giorno ad attingere al pozzo.”
“Chiama tuo marito e ritorna qui” disse, cogliendomi di sorpresa.
Non avevo marito, convivevo con un uomo e la nostra unione non era legittima. La mia vita affettiva era piuttosto disordinata, la mia sete d'affetto tanto sincera quanto incolmabile.
“Io non ho marito…” balbettai, sperimentando un disagio che avrei voluto celare.
“Lo so, hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito.”
Aveva ragione, ma come faceva a saperlo?
Non osai chiederglielo. Osai però ricambiare il suo sguardo che sentivo fisso su di me. Il suo volto emanava una bellezza pura, diversa da quella di altri uomini che, pur non comunicando a parole, erano soliti rivolgermi sguardi eloquenti…
Non avevo dubbi: era certamente un maestro colui che mi parlava, rivolgendo la parola a una samaritana, incurante delle reazioni dei passanti e delle convenzioni sociali. Un rabbi autentico, un uomo libero che non temeva il giudizio degli altri, che chiedeva da bere a una donna”.
“Dammi da bere…”
“Ti darò l'acqua che mi chiedi – pensai - perché sei diverso dagli altri, tu non mi guardi solo perché sono donna. Te ne offrirò, anche se non so chi sei, anche se hai infranto la legge parlando a una samaritana, anzi… ti darò da bere proprio per questo, perché con le tue parole hai scavato nel mio cuore e ne hai fatto sgorgare una sorgente.”
Mentre sorseggiava l'acqua che gli avevo offerto, mi guardò intensamente e disse:
“L'acqua che io ti darò ti disseterà per sempre, e tu non avrai più né sete, né fame d'amore.”
Non risposi subito, poiché non avevo afferrato pienamente il senso delle sue parole; mi lasciai tuttavia cullare dal suono dolce della voce.
“Dicono che sta per arrivare il Messia: Lui ci spiegherà ogni cosa” conclusi.
“Sono io che ti parlo!” disse. E mi sorprese con un sorriso.
Rivivo la scena di quel momento: il secchio precipita nel pozzo facendo srotolare in fretta la catena tintinnante. L'anfora si è capovolta ai miei piedi, ma non m'importa! Corro leggera come il vento a raccontare a tutti questo splendido incontro.

Carmen Melese
(da Il Sidicino - Anno XV 2018 - n. 3 Marzo)