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Il “nuovo” P.R.G. della città di Teano

 
Pubblico dibattito - Teano, 1 luglio 1995, sala consiliare - Ore 20:00
 
 
La redazione de il Sidicino, da sempre attenta osservatrice delle complesse, a volte scellerate, vicende urbanistiche della città di Teano, pubblica il breve saggio dell'architetto Mimmo Lerro scritto e letto dall'autore in occasione del Pubblico dibattito “Il nuovo P.R.G. della città di Teano”, organizzato dall'amministrazione comunale Picierno il 1 luglio 1995 nella sala consiliare.
I motivi della scelta di questa pubblicazione, a distanza di ventitre anni, sono da ricercare nella straordinaria attualità degli argomenti trattati, nella qualità delle proposte metodologiche e nella profonda convinzione che i contributi degli architetti locali, sulle questioni urbanistiche e sulla definizione di un futuro sostenibile per la nostra città, negli ultimi trent'anni sono sempre stati numerosi e pregevoli, ma troppo spesso ignorati, inascoltati e cestinati dalla classe dominante di turno!
 
 

Il tipo di trasformazione di una città e del suo territorio non può essere solo calato dall'alto, non può essere solo trasmesso per illuminazione di specialista; esso deve collegarsi a delle trasformazioni reali, di tipo sociale, e alle conseguenze politiche che tali trasformazioni comportano.
I punti principali del “nuovo” P.R.G. della città di Teano riguardano essenzialmente la posizione da assumere su TRE questioni fondamentali:
1. La conservazione del centro antico;
2. gli standard urbanistici e edilizi;
3. il rapporto centro - periferia - frazioni.
L'obiettivo deve essere quello di riconquistare un equilibrio della struttura urbana, dei fenomeni urbani in generale e del rapporto città-campagna o insediamenti urbani e territorio.
Bisogna conoscere il meccanismo di crescita della città, non solo dal punto di vista economico ma dal punto di vista delle destinazioni d'uso e dei modi nei quali tale meccanismo di crescita si usa.
È opportuno fissare degli obiettivi; tra questi il più importante è senza dubbio il mantenimento del centro antico, il mantenimento della residenza non tanto per una questione di principio ma per verificare in che misura l'espulsione della residenza snatura le strutture e l'uso del centro antico.
Un centro antico che non diventi solo il luogo del consumo, un luogo alienato che non ha più niente a che fare con l'esperienza concreta e la storia millenaria dei suoi abitanti.
Considerare, in primo luogo, la unitarietà del problema urbano delle città come patrimonio della nuova società.
Questo primo obiettivo si realizza attraverso la riappropriazione della città da parte delle classi popolari e dei ceti produttivi a partire dalle sue “aree centrali”; il piano urbanistico va definito come scelta delle priorità dell'intervento sulle contraddizioni urbane esistenti.
Quindi una scelta di quei luoghi primari (aree parti o luoghi singolari) in cui l'intervento diventa risolutivo di alcune contraddizioni primarie e, nello stesso tempo, configura un assetto fisico, funzionale e di uso sociale “diverso”.
Questa scelta delle priorità dell'intervento è un momento specifico del rapporto tra decisione politica e definizione disciplinare, tra conoscenza analitica e ipotesi di trasformazione, tra piano e progetto.
Tale momento esprime, infatti, un giudizio complessivo e sintetico sul sistema insediativo, considerato non solo come realtà fisico-funzionale e di uso sociale della città.
La scelta dei luoghi primari dell'intervento non può non porsi come risposta separata ai diversi problemi; tale scelta deve costituire un sistema a relazioni definite: un insieme organizzato di luoghi singolari e di aree parti dove l'intervento pubblico realizza una trasformazione significativa della struttura urbana esistente e ne prefigura una nuova.
Un sistema che sia nello stesso tempo piano-struttura, cioè configurazione di una nuova struttura urbana, e piano di opere, vale a dire programma amministrativo e finanziario dell'intervento; in sintesi un progetto politico.
Un famoso saggista italiano, Saverio Vertone, ha scritto: “la città è spaesata in un universo sociale nel quale non sembra tuttavia esserci altro. La storia ha finito per produrre una società che la esaspera, ma non una cultura che la giustifichi; e così la città, rinnegata, dilaga. È sfuggita di mano a chi la abita, ma anche di mente a chi la progetta e la vive…Si è spenta, negli uomini, la facoltà di immaginarla e di interpretarla, in parte persino la facoltà di definirla.”
Quindi la questione è:
La città e l'alternativa concreta che noi possiamo proporre per la città.
Un'alternativa perché la città va male, non funziona e noi che viviamo nella città questo male lo viviamo giorno per giorno.
Ma quale alternativa?
Dobbiamo partire certamente da problemi come l'uso totale del patrimonio edilizio esistente come alternativa a nuove espansioni che sono di natura politica e non amministrativa.
Una città senza obiettivi politici sfocia nella città dei consumi a dispetto della buona amministrazione; e l'architettura del consumo, la città dei consumi, economicistica e utilitaristica, non può che avere come primo obiettivo la distruzione della città.
L'alternativa sta nel formulare un progetto, un progetto che sia in grado di operare una scelta.
Una città, una Teano, dove la realtà e l'ipotesi si incrociano e si confondono nella costruzione della nuova città.
Una città alternativa, una città analoga (come amava definirla il mio Maestro Aldo Rossi primo architetto italiano a vincere il Pritzker Price nel 1990) che si conforma sulla realtà, che usa la sua stessa storia non per un museo ma per un progetto.
Un progetto di città alternativa contro il metodo della pura e sterile descrizione, come contro chi affida alla sola conservazione dell'esistente l'avvenire della città!
Una città oltre la conservazione dei monumenti.
Ci auguriamo che questo convegno sia un primo segnale per uscire dal chiuso triste e stantio delle commissioni municipali, per proporre i problemi della nostra città a un dibattito più vasto, coinvolgendo le idee generali sui problemi che si devono affrontare e risolvere.
La città di Teano e il suo territorio hanno bisogno di una ventata di novità; lo stato attuale delle cose, irretito da una burocrazia amministrativa sempre più pretenziosa, lenta, anacronistica e immobilista, impone la necessità dell'invenzione.
Il nostro territorio urbano ha bisogno di superare i limiti schematici, banali, sterili e utilitaristici di una concezione urbanistica fondata sugli standard e sullo zoning, già causa acclarata di tanti danni fisici e ambientali della città e del territorio.
La pessima qualità di gran parte dell'edilizia dell'ultimo dopoguerra ha indotto nell'opinione pubblica una comprensibile e radicale diffidenza nei confronti della nuova architettura.
Da questo fatto è scaturito il predominio della cultura della conservazione e della tutela del passato.
Ma la degenerazione edilizia che è sotto i nostri occhi non deve indurre al pessimismo fino al punto di ritenere che non esiste più oggi una cultura del progetto capace di confrontarsi con i valori della storia.
Siamo convinti che solo la modificazione dell'esistente, la cosiddetta “renovatio urbis”, può garantire l'autentica valorizzazione del nostro passato in un futuro purgato di nostalgie patetiche.
La nostra città di Teano e il suo splendido territorio hanno bisogno di una concezione urbanistica semplice, realistica, concreta, direi in sintesi elementare; un pensiero chiaro, una viva capacità di immaginazione, una visione aperta e senza pregiudizi dei problemi della città e della vita, una idea urbanistica trasmissibile e coinvolgente.
Noi vogliamo usare la storia della nostra città per progettare e costruire una città viva e non per accettare, impotenti e annichiliti, la semplicistica perimetrazione di una città archeologica ormai morta e sepolta.
Noi vogliamo una città nei termini delle lotte presenti e non una città parassita che sonnecchia nell'estasi e nella ricerca affannosa di una parte delle sue gloriose memorie storiche.
Noi vogliamo una città con un governo luce e non una città con un governo ombra.
Il metodo di ricerca e di lavoro che proponiamo è innervato in soluzioni architettoniche che forniscano una posizione di equilibrio fra le opere monumentali e le testimonianze edilizie della storia del costume; un disegno urbano che deve finalmente sottolineare il prestigio della tradizione cittadina in senso progressivo.
Una forma di ricerca che deve essere inventiva, anche e proprio se fatta sul passato, una ricerca fondata sullo studio delle forme tipologiche della città per la definizione delle fasi della nuova progettazione.
Riscoprire la forma urbana ma anche la forma umana della nostra città; riscoprirne il suo autentico sinecismo scevro, una volta per sempre, di sterili sentimentalismi, di banali conservazioni museografiche e di ostinate cristallizzazioni di uno stato di fatto degradato e compromesso.
Conservazione, invenzione e ricerca sono le fasi di un processo dialettico per la rivitalizzazione del centro storico.
Ma come si può rafforzare il ruolo dell'architettura e dell'urbanistica?
L'urbanistica di tutte le culture del passato ha saputo fare delle città un'unità architettonica.
Viceversa l'urbanistica del XX secolo compone la città con singoli edifici di parata. Il singolo edificio, come problema architettonico, diventa più importante dell'insieme urbanistico.
Le città devono sorgere di nuovo come un insieme, come un'unità architettonica. Il nostro pensiero, le nostre ipotesi sono per l'unità dello spazio.
Hans Schmidt, architetto svizzero, scriveva:
“Nessuna stanza, nessun cortile, nessuna piazza, nessuna strada, nessun quartiere, nessuna città può essere una porzione di spazio isolata, ma rientra nello spazio generale. Anche il paesaggio fa parte dell'organizzazione dello spazio”
Il compito dell'architetto consiste nell'organizzare lo spazio in maniera comprensibile all'uomo.
L'armonia spaziale necessaria è possibile solo se i singoli elementi dell'architettura sono strutturati come elementi tipici, ossia se hanno nei loro rapporti reciproci una certa universalità.
Le città del passato mostrano ancora questa idea di universalità degli elementi architettonici e l'armonia spaziale che ne scaturisce.
In aperto contrasto con questo concetto di universalità sta l'esclusività che ogni edificio, ogni stanza, ogni mobile ha nel XX secolo e il cui risultato è stato il caos.
Oggi si è perduta quella collaborazione fra società e architetti che ha determinato la grandezza e l'unità delle opere architettoniche delle grandi epoche del passato.
Purtroppo bisogna riconoscere che oggi la casa è diventata un affare e l'architettura la merce.
La proprietà privata del suolo ha creato una barriera fra la costruzione della singola casa e l'urbanistica.
È indispensabile che l'iniziativa privata non sia solo di tipo individualistico e che l'iniziativa pubblica non sia solo di tipo burocratico e clientelare; a questa cultura della separazione bisogna sostituire una cultura del coinvolgimento sociale, culturale e civile: “Per una nuova cultura della progettualità collettiva fondata sulle regole della democrazia.”

Mimmo Lerro
(da Il Sidicino - Anno XV 2018 - n. 10 Ottobre)