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La lunga e tormentata storia di un monumento

e del suo autore
 
Filippo Cifariello
 

Lo chiamiamo semplicemente Il “Monumento”. Gli vogliamo bene e ad ogni ricorrenza storica importante andiamo a deporre una corona di alloro ai suoi piedi; è diventato, per tutti noi teanesi, un elemento architettonico che ci consente di indicare con una sola parola, e senza tema d’errore, il luogo dove fissare un appuntamento con un forestiero: “ci vediamo vicino al Monumento”. In questo rapporto abitudinario, familiare, che si alimenta di affetto e di rispetto per il suo valore simbolico, è venuta nel tempo ad appannarsi la consapevolezza dello straordinario valore artistico racchiuso nel podio di pietra e nella statua bronzea che lo sovrasta. Un valore che ci rimanda al geniale artista che lo ha realizzato, un valore che lo rende degno di essere inserito a pieno titolo nel patrimonio culturale che Teano possiede, insieme alle Chiese, ai Monasteri, ai Musei, ai Palazzi, ai siti archeologici, ai Borghi.
La sua storia, tormentata e infinita, ha inizio nel 1919, anno in cui tutte le comunità italiane, dai piccoli villaggi alle metropoli, andavano elaborando il lutto per i propri concittadini caduti nella della Prima Guerra Mondiale. Sono anni in cui prende corpo un furore edificatorio di monumenti commemorativi, con relativa corsa ad accaparrarsi gli scultori più noti del momento. Alla fine della corsa, soltanto in Campania si conteranno circa cinquecento monumenti ai Caduti, quarantaquattro Parchi della Rimembranza e innumerevoli lapidi.
Nel settembre del 1919 si costituisce anche a Teano un “Comitato per la costruzione di un monumento ai caduti teanesi nella Grande Guerra”. Nel comitato confluiscono i cittadini più rappresentativi; a presiederlo è un nobile, il conte Ignazio De Vito Piscicelli, una figura integerrima, garante della serietà e della affidabilità del Comitato.
Il Comitato si mette alla ricerca di uno scultore di fama che possa lasciare alla Città un monumento memorabile, di alta qualità artistica e di forte originalità. Nella scelta il conte Piscicelli ed i suoi collaboratori mostrano uno straordinario fiuto ed una conoscenza degli artisti che caratterizzano la fase culturale del momento. La scelta ricade sullo scultore Filippo Cifariello, un artista dotato di una assoluta genialità e di una tecnica mirabile, un maestro che aveva occupato per oltre trenta anni, a cavallo tra fine ottocento e primo novecento, gli spazi più sacri dell’arte europea. Nella valutazione del Comitato è presente anche una intelligente dose di opportunismo, in quanto il comitato riesce a stipulare con Cifariello un contratto che prevede una spesa relativamente contenuta, profittando del momento difficile, sia economico che morale, attraversato dall’artista. Negli anni venti Cifariello soffre un periodo di appannamento in conseguenza degli eventi drammatici che avevano sconvolto la sua vita privata; inoltre è diventato totale ed insanabile il conflitto con l’ambiente culturale dominante che lo aveva relegato in una posizione di isolamento.
Per la progettazione e edificazione del monumento viene stabilita una cifra che al conte Piscitelli sembra facilmente raggiungibile: venticinquemila lire. Il Comitato confida che in poco tempo si arriverà a mettere insieme la somma necessaria, puntando soprattutto sulla contribuzione volontaria dei cittadini di Teano.
I fatti dimostreranno che il conte aveva, come spesso avviene, valutato con troppo ottimismo lo spirito patriottico dei suoi concittadini: nelle casse del Comitato entrerà una cifra che a malapena tocca le 1500 lire. Poco importa, col tesoretto a disposizione il Comitato compie tutti i passaggi progettuali e burocratici per la realizzazione dell’opera. Nel maggio del 1920, viene posta, con grande partecipazione di popolo e di autorità la prima pietra del monumento. Nella piazza gremita è presente, naturalmente, anche Filippo Cifariello.
Le millecinquecento lire si esauriranno in poco tempo, saranno appena sufficienti a gettare le basi del monumento. Erano, gli anni venti, anni difficili per tutti, e molto spesso le iniziative, partite di slancio, si arenavano sulle secche delle casse vuote. Tuttavia, il Comitato non si arrende: bussa con insistenza alle porte del Podestà, cerca di risvegliare nei cittadini di Teano l’amor patrio ed il senso di cittadinanza organizzando periodiche raccolte straordinarie di fondi. A piccoli passi i lavori vanno avanti fino al 1923. Alla fine dell’anno è di nuovo stallo totale e il Comitato si vede costretto a dichiarare con un amaro atto ufficiale l’impossibilità di completare l’opera per assoluta mancanza di fondi. I lavori sono fermi al secondo livello del basamento, Cifariello preme perché venga onorato l’impegno contrattuale assunto con lui. Mancano 8000 lire per finire il monumento. Cosa fare? Si chiede, naturalmente, aiuto al Comune. Il Commissario Prefettizio con una delibera del 24 agosto 1924 riconosce di sentire “l’obbligo morale a concorrere alla spesa nei limiti di disponibilità che offre il bilancio” e “determina fissarsi la somma di lire 1800 per concorso sulla spesa per la costruzione del monumento a ricordo dei teanesi caduti in guerra”. La somma di 1800 lire viene stornata da uno stanziamento di 4300 lire che il Comune aveva destinato alla costruzione di un Parco della Rimembranza, Parco che peraltro Teano non vedrà mai realizzato.
Si va avanti per un altro anno e nel 1924 i lavori sono di nuovo fermi: il Comitato bussa di nuovo alle casse del Comune che questa volta decide di intervenire in maniera più massiccia. Nel bilancio del 1924 si sono verificate entrate superiori a quelle preventivate, ma soprattutto è stata determinante la coraggiosa decisione di tagliare gli alberi di alto fusto esistenti sulla collina di Sant’Antonio per fare cassa. L’operazione ha fatto entrare nella disponibilità del Comune la bella somma di 4920 lire: si può dare un nuovo e importante impulso ai lavori per il monumento, tra la meraviglia dei cittadini di Teano, che cominciano ad intravedere la bellezza e la maestosità dell’opera, ormai avviata verso la conclusione.
Arriviamo al 1927 e il monumento purtroppo è ancora incompiuto, nonostante sia stata già fissata al 26 ottobre di quell’anno la cerimonia della consegna e la Commissione stia già lavorando all’organizzazione della cerimonia. Bisogna correre subito ai ripari ed il Podestà decide di stornare le somme occorrenti “dagli stanziamenti che offrono disponibilità”. Si vanno a prelevare fondi da vari capitoli: dalla “spesa per utensili ed attrezzi occorrenti per la nettezza urbana” e dalle “riparazioni e spese straordinarie ai beni immobili”.
Finalmente la Vittoria alata può tendere il braccio con la palma verso il cielo di Teano.
Non resta a questo punto che organizzare la cerimonia di inaugurazione del capolavoro di Cifariello. In un primo momento, con la deliberazione n. 63 del 15 settembre 1927, il Podestà decide di “fissare l’inaugurazione al dì 26 ottobre, in modo da farla coincidere con l’anniversario dell’Incontro di Teano”. Passano tre giorni ed il Podestà è costretto a modificare la data. Sono arrivate disposizioni dall’alto: Sua Eccellenza il Capo del Governo Benito Mussolini ha ordinato che “la consegna al Comune del Monumento ai caduti di Teano resti fissata ai 28 ottobre p.v., anniversario della Marcia su Roma”. Al Podestà non resta che credere, ubbidire e deliberare che “in tali sensi resta modificata la deliberazione 15 settembre andante”.
Al Conte Piscitelli ed al Comitato dobbiamo essere grati, noi teanesi, non solo per aver conseguito un risultato quasi impossibile superando, in otto difficili anni, ostacoli e difficoltà che avrebbero fatto arrendere una persona meno determinata, ma anche per aver avuto il coraggio di scegliere un artista scomodo, chiacchierato, ma certamente uno dei più geniali protagonisti dell’arte italiana del novecento.
Filippo Cifariello è originario di Molfetta. La sua famiglia è composta, oltre che dal padre Ferdinando e dalla mamma Giuliana, da diciannove figli. Lui è il secondo. Dopo un lungo girovagare in varie città della Puglia, inseguendo le improbabili aspirazioni artistiche di un padre che si piccava di essere grande cantante ed attore, la numerosa famiglia approda a Napoli per stabilirsi nel cuore di Forcella, in casa di una vecchia zia. Filippo inizia da bambino a modellare l’argilla, rubandola di nascosto a suo padre che aveva anche aspirazioni di pittore e scultore; dalle sue piccole mani spuntano statuine che stupiscono gli intenditori ed attraggono l’attenzione dei bottegai di Spaccanapoli e San Gregorio Armeno. Sono costoro ad accaparrarsi i suoi lavori per pochi centesimi. Filippo lavora in una bottega di Spaccanapoli e, terminato il lavoro quotidiano, impegna il tempo libero a modellare pupi, madonne, pastori di creta e cera, marinai, scugnizzi e Venere. Di sera riempie un cesto con le sue piccole sculture ed espone la merce su un banchetto di vendita in Piazza Castello (l’attuale Piazza Plebiscito). A tarda notte, quando torna a casa, la cesta è sempre vuota.
La svolta decisiva della sua vita avviene in un lampo, quando un uomo dall’accento francese si ferma una sera al suo banchetto e gli offre mille lire per una statuetta. Quelle mille lire gli fanno acquistare coscienza del suo valore. Comprende di essere stato a lungo sfruttato per pochi centesimi, corre alla bottega di Spaccanapoli e manda in frantumi tutti i suoi pastori. Con le mille lire in tasca, entra spavaldo in un negozio di abbigliamento per comprarsi un vestito nero: sarà proprio l’abito nero la divisa che indosserà in tutta la sua esistenza, abitudine che gli valse l’appellativo di Gattonero.
Dopo un fugace passaggio nelle aule dell’Accademia di Napoli, vissuto come una cappa che imbrigliava il suo estro creativo, la fama di questo talentuoso ragazzo arriva nel “salotto pettegolo” di Napoli, il Gambrinus, cenacolo di poeti, drammaturghi, parolieri, luogo dove si costruivano o si demolivano le carriere di artisti e politici napoletani. Le sue gesta suscitano l’attenzione di Salvatore Di Giacomo, di Ferdinando Russo e soprattutto di Giovanni Bovio che adotta il ragazzo e lo introduce nella cerchia del maestro Solari, alla cui scuola Filippo affina il suo talento e matura una sua maniera espressiva che gli aprirà presto le porte delle grandi mostre italiane. Un primo prestigioso riconoscimento lo ottiene in una esposizione nazionale tenutasi a Bologna, cui farà seguito l’anno seguente l’ammissione nella Grande Esposizione che si tiene a Roma. La svolta che cambia la sua vita arriva nel 1883: Cifariello partecipa alla XX Mostra d’Arte Napoletana con due opere: “Piedigrotta” e “Un bacio dato non è mai perduto”. Il re Umberto 1°, presente alla inaugurazione della mostra, si ferma ammirato davanti alla “Piedigrotta”, chiede di conoscere lo scultore, dopo una breve contrattazione acquista la statua e la dona al Museo di Capodimonte. Come accade in tutti i campi, si attiva immediatamente un lavorio di demolizione di questo ventenne venuto dal nulla, estraneo ad ogni cerchio magico, scontroso, perfino arrogante nella sua consapevolezza. Si arriva ad affermare che i suoi busti, perfetti in ogni particolare, sono il risultato di stampi che egli ricava direttamente dai modelli. Sebbene avversato da questo mondo artistico “ufficiale” in cui aveva una posizione di dominio il pittore Domenico Morelli, la fama di Filippo varca i confini di Napoli e riempie le pagine delle riviste d’arte, dei periodici e dei giornali scandalistici. Si aprono le porte delle più importanti istituzioni europee, si accende in tutta Italia una corsa a commissionargli grandi statue, ma soprattutto busti che ritraggono i personaggi più famosi dell’epoca, come Caruso, Saffi, Mazzini. Lo stile di Cifariello è unico, inconfondibile, risultato di una sintesi dei tre grandi riferimenti artistici che avevano dominato l’arte italiana: la precisione realistica del Rinascimento, la ricchezza compositiva dello stile floreale del Liberty, la tensione psicologica del verismo italiano. Viene invitato all’Expo di Parigi del 1889; espone a Londra, in Svizzera, gli offrono la direzione di una fabbrica di porcellane a Passau in Baviera, dove darà prova della sua capacità di applicare la sua arte ai raffinati oggetti d’uso quotidiano. Per ben sei volte, tra il 1889 ed il 1925, viene invitato alla Biennale di Venezia. La produzione di Cifariello, in marmo, in gesso, in bronzo viene contesa in tutta Europa, sia da privati che da musei. E infatti le sue opere oggi sono esposte nei più importanti musei, da Budapest a Londra, da Berlino a Roma, ed una sala del Museo di San Martino è dedicata interamente a lui.
A fronte di una visione “classica, compassata che ispira la sua arte, Cifariello ebbe una vita tribolata e segnata da grandi tragedie. Il 12 marzo del 1894, Filippo sposa Maria De Browne, una cantante conosciuta nel Salone Margherita di Napoli, dove si esibiva col nome d’arte di Blanche De Mercy. Ben presto la sua “Pipolet”, come usava chiamarla, manifesterà tutto il suo esuberante carattere, del tutto opposto a quello di Filippo. Maria amava vivere intensamente la sua vita, cercava il lusso, sperperava il denaro che Cifariello metteva da parte con il suo lavoro, non aveva inibizioni, freni, si allontanava per lunghi periodi per presunte tournèe, rideva in faccia a Filippo quando questi le chiedeva di essere una buona moglie e “massaia”. Filippo era un uomo semplice, un prodotto della cultura ottocentesca meridionale, oltre ad avere un carattere scontroso, permaloso e geloso all’inverosimile. La tragedia esplode la mattina del 9 agosto 1905: Filippo ha le prove del tradimento di Maria, le chiede di fare il nome dell’amante, lei confessa: “ho un amante, si chiama Vaselli”. Cifariello estrae la pistola da un cassetto, spara cinque colpi, tre colpiscono Maria, uno è mortale. Il processo, che durerà tre anni, prenderà avvio nel tribunale di Castel Capuano, ma ben presto dovrà essere trasferito in altra sede per problemi di ordine pubblico. Ad ogni seduta il pubblico accoglieva con ovazioni le parole che Filippo pronunciava a sua difesa; al contrario, boati di dissenso accompagnavano le arringhe dell’accusa. Si scelse di portare il processo a Campobasso, località più tranquilla e lontana da Napoli. Dinanzi ad una opinione pubblica e giornalistica tutta schierata a favore di Filippo, il processo si concluderà con l’assoluzione di Filippo per “totale infermità mentale”.
La sventura continuerà a stravolgere la vita dello scultore, quando la sua seconda moglie, Evelina Fabi, una ragazza semplice e dolce di appena ventuno anni, dopo solo tre giorni di matrimonio, muore bruciata dalla fiamma di un fornello a gas. Dopo questa nuova tragedia Filippo riuscirà lentamente a ritrovare una stanca normalità che gli consentirà di riprendere, dopo una fase di assenza dalla scena artistica, il suo lavoro: vedrà crescere ancora di più il consenso della critica e, conseguentemente, si moltiplicheranno gli inviti a esporre nelle più importanti mostre europee. In Germania e in Austria viene pubblicato un volume corredato da ben 250 fotografie delle sue opere. Riprenderà a progettare monumenti, tra cui quello ad Aurelio Saffi e a Gabriele Rossetti, e il maestoso monumento equestre del Re Umberto 1°. Un giorno si presenterà nel suo studio al Vomero il filosofo Benedetto Croce con tutto il seguito di giovani intellettuali della sua scuola. Osserva le opere di Filippo una ad una, lo saluta senza alcun commento, solo con una calorosa stretta di mano. Il giorno dopo lo scultore si vedrà consegnare una lettera di Croce che si conclude così: “raramente ho visto un’opera d’arte storica nella quale si esprima, insieme con l’immagine verace del passato, il pensiero di noi, uomini moderni che lo celebriamo”.
Sarà l’ultimo matrimonio, celebrato nel 1925, con una “fanciulla” tedesca di nome Anna Marzel, a donare a Filippo finalmente una parvenza di “normalità” e quella serenità d’animo cui aveva da sempre aspirato: in una condizione mentale priva di tensioni e conflitti, accompagnato da un largo successo di critica, Filippo produrrà opere ad un ritmo impressionante per far fronte alle richieste che gli provenivano da mercanti d’arte, collezionisti, Musei e ricchi commettenti. Grazie ad Anna, Filippo vedrà avverarsi il sogno che aveva sperato si potesse realizzare prima con Maria e poi con Evelina. Dal matrimonio con Anna nascono due figli, Filippo e Antonio. Per le sue opere i committenti sono pronti a versare cifre altissime: Il “centesimino”, altro soprannome dii Filippo, è diventato un “benestante” che può consentirsi di comprare vigneti a Capri, investire in edilizia, costruirsi una grandiosa villa museo sulla collina del Vomero. Purtroppo il male di vivere, che mai aveva smesso di logorare la sua mente anche nei momenti di apparente benessere, finì per prendere di nuovo il sopravvento e nel 1936 l’artista si tolse la vita nel suo studio di Napoli.
La sventura continuò ad accanirsi con Filippo Cifariello anche dopo la sua morte. In un incidente aereo morì il secondogenito Antonio, bravo attore che tutti ricordiamo per la sua interpretazione di “Peppe ‘o cric” nella commedia di Eduardo De Filippo “Napoli Milionaria”.
Dopo aver conosciuto meglio la storia del nostro Monumento, e la travagliata vicenda artistica e umana di questo grande artista, ci auguriamo che tutti noi teanesi volgeremo uno sguardo più attento alla nostra Vittoria alata, e forse saremo riconoscenti a quel Comitato che nel 1920 fece una scelta di grande valore artistico e seppe inseguire con tenacia una chimera per otto, difficili anni.

Giuseppe Lacetera
(da Il Sidicino - Anno XX 2023 n. 12 Dicembre)

Filippo Cifariello al lavoro nel suo studio
 

Teano - Piazza della Vittoria - il «Monumento»
foto di Mimmo Feola

 
Filippo Cifariello - Nudo di donna
Inizi '900 - Scultura in bronzo
 
Filippo Cifariello - Settembrina
1910 circa - Scultura in bronzo
 
Filippo Cifariello - Sulla poltrona
Scultura in bronzo
 
Filippo Cifariello - Fachiro
Scultura in bronzo - 1895