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"Yvonne de Fleuriel" una sciantosa di Vico Asilo Infantile

 
 

Nove gennaio 1963: in un anonimo e misero appartamento romano muore una donna di settantaquattro anni. Il suo nome, Adele Croce, non dice niente a nessuno. Tantomeno evoca particolari emozioni nei cronisti e nei lettori del tempo il suo nome d'arte, Yvonne De Fleuriel. Nell'Italia della Olivetti Lettera 22, della Cinquecento, delle gite fuori porta, delle gemelle Kessler in bianco e nero, la morte di una sfiorita sciantosa, uscita dal cono di luce dei palcoscenici da più di trenta anni, cade nel silenzio più totale.
Soltanto “Bianco e Nero”, la rivista del Centro Sperimentale Cinematografico, le dedica un delicato saggio che la restituisce, con tutto il suo fascino misterioso di donna e di attrice, ai frenetici anni della Belle Epoque e ai languori del cinema muto.
Adele veniva da un altro tempo, da un altro mondo, da un'altra speranza. Veniva dal fumo di sigari che galleggiava nei Cafè Chantant, dai manifesti del Moulin Rouge disegnati da Toulouse Lautrec, dai duelli per amore e per onore. Adele era stata, insieme a tante altre donne dai nomi alla francese, il simbolo stesso di un'epoca che nient'altro desiderava se non vivere di allegria e leggerezza; Adele era l'icona stessa di un mondo durato, purtroppo, solo un ventennio, a cavallo tra i sanguinosi conflitti dell'ottocento e la catastrofe delle due guerre mondiali.
Questa, la storia della nostra Adele Croce. Nei registri del Comune di Teano, alla data del 7 luglio 1889, è registrata la nascita di una bambina alla quale viene dato il nome di Adele. È figlia di due braccianti, Giacomo Croce e Maria Carmina Di Resta, residenti in Vico Asilo Infantile.
L'infanzia di Adele scorre nei vicoli e nelle piazze di Teano, passando dai poveri giochi di bambini sulla strada alla greve stanchezza serale nella casa di braccianti. Non conosciamo quasi nulla della sua vita da ragazza, se non che a un certo momento viene accolta in un collegio femminile di Napoli, probabilmente il collegio della Nunziata. È qui, alla severa scuola delle suore che insegnano alle ragazze i canti religiosi, che quasi certamente impara ad impostare e modulare la sua acuta vocina. Né Adele, né i cronisti del tempo, né i suoi tanti estimatori, hanno mai fatto cenno nei loro ricordi agli anni che precedono la notorietà.
È la stessa misteriosa oscurità che avvolge la vita di molte altre famose “sciantose”, quasi che queste donne, una volta diventate oggetto del desiderio di uomini ricchi e potenti, ci tenessero ad inventarsi, insieme ad un nuovo nome francesizzante, anche un passato romanzesco e intrigante, cancellando le tracce di una esistenza molto spesso fatta di miseria.
Ha diciotto anni, Adele, quando lascia il collegio, per avventurarsi nel rischioso mondo dello spettacolo: la ritroviamo attrice generica a recitare particine nella compagnia di Eduardo Scarpetta.
Costui, oltre ad essere stato un grande regista, un autore di commedie notissime come “Miseria e nobiltà”, “Lo scarfalietto”, “'Na santarella”, e oltre ad averci fatto il regalo di tre grandi figli - Eduardo, Peppino e Titina De Filippo -, era notoriamente dotato di un fiuto eccezionale nello scoprire giovani donne affascinanti e talentuose. Ma la svolta che avrebbe cambiato la vita di Adele era alle porte, e si concretizzò intorno ai venti anni quando avvenne l'incontro fatale con il grande Nicola Maldacea. Lo straordinario cabarettista, inventore della “macchietta” e dominatore per anni dei caffè - concerto di Napoli con le sue ironiche e pungenti parodie “en travesti”, volle Adele nei suoi spettacoli, guidandola fino alle tavole del “Salone Margherita”, calcate in quegli stessi anni da Petrolini, da Fregoli, da Viviani.
Inizia da qui per Yvonne De Fleuriel, al secolo Adele Croce, l'inarrestabile corsa verso la fama che la porterà ad essere una delle sciantose più ammirate sui palcoscenici italiani, europei e americani.
Il suo fascino naturale unito ad uno studiato atteggiamento di donna fatale, seducente, ammaliatrice, incolla sulle poltrone rococò del Salone Margherita banchieri, ufficiali, aristocratici e ricchi borghesi, pronti a cogliere un suo sguardo ammiccante. Nelle prime file vanno a sedersi spesso Gabriele D'Annunzio e Salvatore di Giacomo. Negli anni della Belle Epoque, segnati da amori e passioni travolgenti, da colpi di pistola e suicidi, cresce intorno alla figura di Yvonne la fama di donna irraggiungibile. Fama che finirà per isolarla in una distanza inviolabile, confermata dai mille fabliaux popolari che favoleggiano di ingenti patrimoni mandati in fumo dai suoi corteggiatori. Certo è che un noto musicista, Carlo Mirelli, arriva a suicidarsi perché respinto dalla bella Yvonne.
Adele introduce nei suoi spettacoli sapienti elementi di novità che la fanno emergere con una sua forte personalità sulla schiera delle sciantose italiane, schiera di cui fanno parte nomi importanti come la Bella Otero, Gilda Mignonette, Cleo De Merode, Anna Fougez, Lina Cavalieri.
Si fa incastonare due diamanti nei molari anteriori in modo da lanciare sugli spettatori due piccoli raggi di luce quando veniva avanti sulla scena. In una tournèe americana si esibisce in una gabbia di leoni. Ma più di ogni altra trovata, diventa mitica, al pari della “mossa” inventata dalla sciantosa Maria Campi (in arte Ninì Tirabusciò), la capriola da lei eseguita mentre cantava “'O scugnizzo”, momento magico in cui mostrava bianche promesse che sconvolgevano il pubblico.
“Attrice, cantante e fine dicitrice” – come amava definirsi - Yvonne continua a splendere con la sua bellezza sui più importanti palcoscenici italiani e stranieri fino a quando, nel 1915, decide di abbandonare il varietà per passare al cinema. Napoli in quegli anni si avvaleva di una straordinaria concentrazione di case di produzione cinematografica, circa dieci, che non aveva uguali in tutta Italia; Yvonne resta affascinata dalla sfida lanciata da questa nuova arte e intuisce che il cinema avrebbe soppiantato in breve tempo i polverosi palcoscenici dei cafè chantant, ormai avviati al declino.
Ha inizio da questo momento una intensa, frenetica attività di attrice che la porta nel volgere di otto anni a recitare da protagonista assoluta in ben 13 film, diventando l'attrice forse più prolifica di quegli anni. Nel solo anno 1921 gira ben cinque film, e i titoli lasciano ben intendere il filone che più le era congeniale: “il veleno del piacere”, “la follia del giuoco”, “la piccola ignota”, “la madre folle”, “le braccia aperte”. Si tratta per lo più di drammoni con esiti funesti, recitati sotto la guida di importanti registi quali Carmine Gallone ed Ermanno Geymonat, cineasti che portano sullo schermo sceneggiature scritte da grandi autori come Marco Praga.
Verso la metà degli anni venti il cinema napoletano subisce un rapido tracollo, non reggendo alla concorrenza di altri centri di produzione ben più ricchi ed attrezzati. Yvonne, con i suoi trentasei anni e i colpi assestati nel suo volto da una vita vissuta intensamente, si trasferisce a Berlino, per cercare un nuovo inizio in un cinema che è animato da una grande vitalità e sperimenta linguaggi nuovi. Sono, invece, anni di lento e triste crepuscolo, sorretti dall'illusione di piccole particine raccattate in produzioni di seconda categoria.
Amaro è il ritorno in Italia di Yvonne e gli ultimi trenta anni di vita scorrono, interminabili nel ricordo di un altro tempo, nel silenzio e nella solitudine di un piccolo appartamento romano, fino al nove gennaio millenovecentosessantatre.
Per non dimenticare la nostra Adele, ci auguriamo che il prossimo anno, cinquantenario della morte di Adele/Yvonne, possa diventare l'occasione per riaccendere le luci della ribalta su questa ragazza di Vico Asilo Infantile.
Magari con un piccolo festival del cabaret e, perché no, con una strada a lei intitolata.

Giuseppe Lacetera
(da Il Sidicino - Anno IX 2012 - n. 4 Aprile)