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Quando Lucio andava a teatro

 
Immaginando una sera a teatro di un giovane di Teano del III secolo dopo Cristo
 

Finalmente è arrivato il sei di luglio: Lucio non sta nei panni perché ha saputo, dal cartellone esposto nel Foro, che la sera del 12 di luglio sarà rappresentata nel teatro il Vopiscus, una vecchia togata di Afranio, autore che già Cicerone e Quintiliano avevano avuto modo di apprezzare per l'ironia con cui trattava la stupidità degli avari e dei moralisti ipocriti.
Come ogni anno, Teano celebra dal sei al tredici di luglio i Ludi Apollinares, sette giorni di rappresentazioni e di spettacoli in onore del Dio Apollo. Lucio, come ogni buon cittadino, porterà le sue offerte votive nel tempio di Apollo, che si innalza imponente proprio sul pianoro alle spalle del teatro, e poi si immergerà nella fantasmagoria degli spettacoli che riempiranno le sette giornate di festa: nel teatro passeranno i migliori mimi del momento, quelli che si esibiscono anche a Roma e Pompei, nel circo e nell'anfiteatro sarà tutto un susseguirsi di corse di cavalli, di combattimenti tra gladiatori, di lotte tra bestie, di incontri di pugilato e, cosa molto apprezzata dai suoi concittadini, di danza sulla fune.
Tutto gratis, senza sborsare un sesterzio. I costi per l'organizzazione dei Ludi scenici sono a completo carico del pretore urbano e di qualche riccone della città. Sarà che fra poco ci sono le elezioni e il magistrato di Teano vuole conquistarsi il favore del pubblico, fatto è che quest'anno ha aperto i cordoni della borsa ed ha chiamato i migliori impresari.
Le occasioni per assistere a qualche buona commedia sono diventate sempre più rare. E' da tempo che il pubblico impazzisce per il Mimo e questa farsa ha preso il sopravvento sulla tragedia e sulla commedia. Purtroppo, nella continua rincorsa al facile applauso degli spettatori, le compagnie dei mimi sono scivolate in un linguaggio scollacciato e in soggetti rozzi totalmente privi di forma letteraria.
A Teano, a parte i Ludi di Apollo, si presentano poche opportunità di assistere a spettacoli: bisogna attendere i giochi funebri in onore di un nobile teanese defunto - tre giorni nel mese di maggio -, e i rarissimi ludi votivi che si tengono quando si inaugura un nuovo edificio pubblico. A settembre il teatro, come il circo e l'anfiteatro, vengono chiusi per il sonno invernale e le rappresentazioni sospese. Nei freddi mesi da ottobre a marzo sarà soltanto qualche compagnia di dilettanti ad affacciarsi nei quadrivi con farse scadenti: “Greggi” (così vengono definite) di schiavi che recitano su palcoscenici improvvisati e sbarcano il lunario con le avare offerte degli spettatori.
Manca un'ora all'inizio della rappresentazione e Lucio si avvia, col suo amico Quinto, verso il teatro. Una volta preso posto a sedere, sarà meglio dimenticarsi della fame e della sete. I Romani hanno cancellato la salutare abitudine dei Greci di far girare per la platea, durante la rappresentazione, venditori di rinfreschi. Lucio e Quinto fanno un salto, perciò, alla taverna che si apre nell'isolato vicino al teatro, mangiano una fumante focaccia e bevono una tazza di forte Falerno. In teatro vale la legge del “chi prima arriva, prima si serve”. Soltanto le prime tre file della platea sono riservate ai notabili della città e per il resto non ci sono posti assegnati.Di conseguenza, si scatena una tumultuosa caccia ai posti di fronte al palcoscenico, accresciuta quest'anno dalla voglia di vedere da vicino il nuovo fronte della scena di cui tanto si parla in città. Lucio non si affretta più di tanto, si tiene lontano dalla calca, dal momento che ha potuto sperimentare di persona che dopo gli ultimi ampliamenti della cavea non esiste più alcun problema di acustica e ogni minimo sussurro o nota di flauto arriva chiara e senza eco fino alle file più alte. Sotto i posti a sedere sono stati sistemati vasi di bronzo e di terracotta che fanno da cassa di risonanza.
Gente di ogni condizione sociale e di ogni età si accalca agli ingressi del teatro, donne, ragazzi, soldati, reduci, servi, tintori, fabbri, sarti, bottai, mercanti, contadini, tutti si spintonano nelle gallerie coperte fino a che vengono vomitati, dalle grandi porte di accesso, sulle gradinate semicircolari. I posti che gli spettatori vanno ad occupare sono quelli che manterranno per tutti gli spettacoli che si succederanno, uno dopo l'altro, fino a notte fonda. Una volta conquistato un posto a sedere, vi resteranno saldamente incollati per paura di perderlo. Difficilmente verranno a conoscenza del titolo della commedia o del Mimo che si sta rappresentando, a meno che non siano in grado di vedere e di leggere i cartelloni che vengono esposti, ad inizio di ogni spettacolo, sul proscenio.
Lucio e Quinto attraversano i corridoi coperti del teatro, salgono le scale interne quasi senza toccare coi piedi la pavimentazione marmorea, trascinati dalla corrente vociante. Un vomitorium laterale li espelle nell'immenso ferro di cavallo della cavea. Prendendo posto nella parte più alta della gradinata, Lucio e Quinto osservano incantati il nuovo proscenio arricchito con enormi colonne di tutti i colori: una fastosa distesa di marmi preziosi africani e asiatici, di statue, di porte, di nicchie che si innalza fino al cielo. Nella nicchia centrale, giganteggia la statua dell'imperatore che tutti osserva dall'alto e a tutti ricorda che è lui ad occupare il centro della scena della storia.
Fortuna che sulla platea è steso l'immenso velario, il tendone tenuto teso da funi, a riparare gli spettatori dal caldo di questo afoso pomeriggio di luglio.
Inizia lo spettacolo ed il sipario scende nello spazio dell'orchestra. Si fa avanti sul proscenio l'attore che recita il prologo. Sulle gradinate continua il viavai di spettatori, il vociare delle donne, il pianto dei bambini più piccoli, e poco o nulla si riesce a capire delle parole dell'attore. Ogni volta che un notabile entra nel teatro e viene accompagnato al posto a lui riservato da uno degli uscieri, si leva sulle gradinate un diffuso chiacchiericcio di commento sul nuovo arrivato.
Quando comincia la rappresentazione vera e propria, dalla porta centrale della scena, la porta regia, entrano in scena gli attori che rappresentano i vecchi genitori del gemello sopravvissuto alla tempesta. Per aiutare il pubblico a riconoscerli, recano i segni esteriori del vecchio: hanno la maschera con capelli bianchi, vestono una tunica bianca, calzano i socci. Nel mentre gli attori narrano la vicenda del loro figliolo, un musicista col flauto a due canne si muove sulla scena, in mezzo a loro, per commentare con la musica i versi del testo.
Dopo la prima scena gli attori si ritirano, per cambiare i loro costumi, nei camerini costruiti proprio dietro il fondale in muratura e un annunciatore viene avanti per illustrare agli spettatori il contenuto della prossima scena.
A Quinto pare di cogliere che in essa si parlerà di un marito lasciato dalla moglie. Per quanti sforzi faccia l'attore, la sua voce è sopraffatta dal generale tramestio e dal parlottare del pubblico. Ad un certo momento l'attore si avvicina al fronte della scena e scaccia dal palcoscenico un gruppo di sfacciate prostitute che avevano preso posto proprio sul bordo della scena.
L'azione decisa dell'attore e l'intervento dei commessi sulle gradinate servono alla fine a riportare il silenzio. La rappresentazione può riprendere.
Nel bel mezzo della scena seguente, mentre si svolge uno spassosissimo alterco tra una moglie e un marito, incomincia a diffondersi la voce che nel vicino circo è in corso uno spettacolo di danzatori sulla fune. Buona parte del pubblico si alza rumoreggiando, guadagna l'uscita e si allontana irridendo gli attori con ingiurie e sberleffi. Nel teatro rimangono, con un sospiro di sollievo, quelli che amano veramente il teatro: i vecchi che un tempo hanno gustato, in religiosa attenzione, i versi di Terenzio, di Plauto, di Atta, di Titinio, ed i giovani come Quinto e Lucio che nella commedia togata sentono gli echi di una parola che educava gli uomini a rimuovere col sorriso i vizi e i difetti che una grande civiltà si portava dietro nelle pieghe dell'animo umano.
La rappresentazione va avanti indisturbata con i suoi colpi di scena e finalmente Lucio e Quinto possono godersi, atto dopo atto, le delicate musiche e comprendere le leggere parole della commedia che finisce con la sconfitta di un padrone irascibile e del suo fidato parassita.
È notte quando Lucio e Quinto lasciano il teatro e s'incamminano, alla luce delle torce di pece, verso la sponda del Savone per un sorso di acqua fresca. Sono di tutto cuore grati ad Apollo ed al munifico magistrato che ha offerto lo spettacolo.

Giuseppe Lacetera
(da Il Sidicino - Anno I 2004 - n. 9 Settembre)