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Solo ciò che è effimero è definitivo!

 

Tutto da leggere, e tutto d’un fiato, l’appassionante libro di Matteo Nucci “Achille/Odisseo: la ferocia e l’inganno”, edito da Einaudi nel gennaio 22.
Non una descrizione, magari colorita ed approfondita, degli eventi cantati da Omero, ma un accurato studio caratteriale dei due personaggi più importanti che travalica l’essere personale per divenire apprendimento comportamentale dell’intera umanità.
La fatica dimostrativa dell’Autore è tutta concentrata in una nota sulla copertina del volume: - Che cosa vuol dire essere uomini? Gettarsi a capofitto contro gli ostacoli a costo della morte, o pianificare con astuzia ogni mossa? Inseguire la verità o manipolarla? Essere Achille, oppure Odisseo? -.
Non si tratta, come con moderna e brutta frase si direbbe oggi, di un “Achille versus Odisseo”, ma di una approfondita analisi psicologica che diventa di massa, tratta dagli eventi, descritti da Omero nelle sue due opere, nei quali il nostro Autore sa leggere personali risvolti umani senz’altro generalizzabili, ampliandoli nella loro visione ed adattandoli anche ad una moderna visione della vita.
Infatti Odisseo ed Achille “sono considerati i paradigmi di due modi di affrontare la vita”: il primo ricco di intelligenza che usa in ogni circostanza nell’affrontare la vita, specie nell’affrontare i tanti ostacoli che vi si frappongono, “sa aspettare, sopportare, pur di salvarsi”.
“Achille no, consuma l’attimo, divora la propria esistenza. Perché è troppo schietto, istintivo, collerico...”; comunque il primo “rivolto al futuro, l’altro concentrato sul presente…”.
Un lavoro costellato di brillanti riflessioni delle quali mi piace riportare qualcuna.
Parlando del Pelide, sovrano l’incontro con Priamo, il padre di Ettore da quegli ucciso in un epico duello: “Priamo si avvicina lentamente all’eroe e quasi senza che quello se ne accorga gli stringe le mani che poco prima hanno ucciso Ettore del quale è venuto a chiedere la restituzione del corpo, e gli parla così:
- “Ricordati, Achille simile a un Dio, di tuo padre/che alla mia stessa età siede sulla soglia funesta di vecchiaia”. Achille guarda il vecchio senza parlare. È stupito dal coraggio, come spiega il poeta, ma anche dalla sincerità e dalla verità che le parole di Priamo, alate come frecce, iniettano nel suo petto… Non possono esistere nemici su questa terra. E non ci sono mai né vinti né vincitori fra chi comunque si ostina a dichiararsi nemico. Siamo tutti soltanto esseri umani che si confrontano con la propria finitezza…Achille vede in Priamo suo padre, che mai più potrà abbracciare, un vecchio che sarà colpito dal dolore più grande, la morte di un figlio. Priamo vede in Achille suo figlio, un eroe giovane e innamorato della vita, che è andato incontro al destino con fierezza e dignità…Il padre e il figlio, allora, si stringono in un abbraccio e piangono” –
C’è un solo personaggio, tra quelli omerici, che non piange mai: è Paride, “il ragazzo che a Sparta ha tradito l’ospitalità che Menelao gli offriva e appena questi ha lasciato la casa si è gettato sulla bellezza della moglie: Elena la conquistatrice… Non piange, Paride. Fugge. Svicola. Si nasconde. Non guarda in faccia gli avversari. Preferisce scoccare dardi da lontano. E forse fu per caso che una delle sue frecce lanciata senza alcuna determinazione finì per infilarsi nell’astragalo di Achille…. Forse fu un caso che il più vile degli uomini a Troia potesse uccidere il più coraggioso.”
E da qui giunge ad una meravigliosa considerazione: “… negare le lacrime è contro natura. Vergognarsi del pianto è da stupidi. Vantarsi di non piangere mai è da bambini o da insensati presuntuosi… Chi non sa piangere non può dirsi uomo. Paride non fu mai eroe.”
Odisseo è invece l’eroe saggio, intelligente molto più che astuto. E Nucci mette in evidenza queste doti con un’altra brillante riflessione, riferendosi al rifiuto dell’immortalità che la ninfa Calipso, innamoratasene perdutamente, non esita ad offrirgli per legarlo per sempre a sé.
Parlandone ai Feaci, Odisseo racconta: “Gentilmente/ella mi accolse, si prese cura di me, mi nutrì, e diceva/ che mi avrebbe reso immortale e per sempre senza vecchiaia…” Ma Odisseo non accetta.
“L’eroe non si lascia persuadere. Vuole invecchiare. Vuole tornare tra i vivi mortali e lasciare i morti immortali”.
A sostegno della scelta di Odisseo il nostro Autore riporta l’episodio di Afrodite, la più bella fra le dee, che, innamoratasi di Adone, cercò di metterlo al riparo da ogni pericolo specie nel bosco pieno di animali feroci; lo ritrovò invece proprio nel bosco, morto, azzannato da un cinghiale che gli aveva reciso la vena femorale.
Il dolore della dea fu grandissimo e, stringendone il corpo a sé, non faceva che gridare, lei immortale: “Voglio morire anch’io! Voglio morire anch’io”.
Da qui un’altra splendida riflessione:
“Il desiderio di morte dell’immortale è uno dei doni che gli antichi ci hanno fatto. Rivelandoci l’invidia degli dei per la nostra condizione mortale, la nostra condizione effimera e dunque sacra, essi ci hanno voluto spiegare ancora una volta, ammesso che non ce ne fossimo accorti vivendo vite brevi e sofferenti per conquistarci piccoli sprazzi di felicità, che proprio in questo sta la nostra grandezza. Proprio nella mortalità noi superiamo i divini. Proprio nella finitezza che rende noi unici e le nostre decisioni definitive.
Solo ciò che è effimero è definitivo”.

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno XX 2023 - n. 9 Settembre)