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Un bel libro

 

Alessandro D’Avenia, quarantaseienne professore di Liceo, palermitano, è un affermato opinionista del Correre della Sera; dottore di ricerca in Lettere Classiche fa trasparire le sue qualità sia negli articoli settimanali che nei numerosi libri scritti.
In uno degli ultimi che ho letto, “L’arte di essere fragili”, fingendo con lui un dialogo che si dipana tra le sue opere, eleva la “fragilità” di Leopardi a stile di vita, rivelandoci, nei fatti, come il poeta, nonostante tutti i suoi problemi fisici e morali, fosse ben altro che fragile. Il sottotitolo del libro, infatti, recita: “come Leopardi può salvarti la vita”.
Il percorso che lo spinge a questa conclusione è lungo e difficile, ma scritto con l’estrema chiarezza e didattica che solo un professore di liceo può possedere: comprensibile ed esaltante, ci dimostra come alla fine sia possibile trasformare la “fragilità” in forza interiore e salvarsi.
Fin dai primi capitoli, riportando una lettera del Leopardi a Pietro Giordani del 2 marzo 1818:
“Questa ed altre misere circostanze ha posto la fortuna intorno alla mia vita, dandomi una cotale apertura d’intelletto perch’io le vedessi chiaramente, e m’accorgessi di quello che sono, e di cuore perch’egli conoscesse che a lui non si conviene l’allegria, e, quasi vestendosi a lutto, si togliesse la malinconia per compagna eterna e inseparabile.”
fa notare la capacità di Leopardi di accettare le proprie sfortune e di trasformale in “trampolino di lancio per aprire la testa e il cuore”.
E subito dopo riporta un brano dello Zibaldone, del 1° agosto del 1820:
“Sebbene è spento nel mondo il grande e il bello e il vivo, non è spenta in noi l’inclinazione. Si è tolto l’ottenere, non è tolto né possibile a togliere il desiderare. Non è spento nei giovani l’ardore che li porta a procacciarsi una vita, e a sdegnare la nullità e la monotonia” a dimostrazione della continuità naturale della vita, grazie proprio a quell’ardore che anche Leopardi, nonostante tutto, continuò a nutrire per tutta la vita.
Precedente a questa, tutto sommato, ottimistica dichiarazione, più avanti nel libro il nostro riconduce il contenuto di un’altra lettera di Giacomo a Pietro Giordano, del 19 novembre del 1819, giusto a metà tra le citazioni precedenti:
“Sono così stordito dal niente che mi circonda, che non so come abbia la forza di prender la penna […] non vedo più divario tra la morte e questa mia vita, dove non viene più a consolarmi nemmeno il dolore. Questa è la prima volta che la noia non solamente mi opprime e stanca, ma mi affanna e lacera con un dolor gravissimo; e sono così spaventato della vanità di tutte le cose, e della condizione degli uomini, morte tutte le passioni, come sono spente nell’animo mio, che ne vo fuori di me, considerando ch’è un niente anche la mia disperazione.”
Lo fa per agganciarsi ad un altro male molto diffuso anche tra i giovani d’oggi, la noia. La noia, osserva D’Avena, che “non è il contrario del divertimento, ma il vuoto dei sensi… diventiamo indifferenti a tutto”. Da qui l’occasione per parlare del “divertimento” che non sarebbe, in ultima analisi, una cosa da buttar via come cura contro la noia. E lo fa da maestro. Ne riporto integralmente le parti più incisive:
“Divertirsi significa riferirsi a qualcosa di diverso, intrattenersi con qualcosa di differente da ciò che ha occupato la nostra attenzione sino ad ora. Abbandonare il sempre uguale per riferirsi al nuovo. Ma cosa è il nuovo? Oggi il nuovo non è altro che il più recente: il nuovo modello, il nuovo negozio, il nuovo locale, il nuovo gioco, il nuovo disco…Ma chi cerca il nuovo nel più recente spesso si inganna.
La noia è la mancanza del nuovo. Il nuovo non si oppone al “vecchio”, ma al “sempre uguale”, ed è veramente nuovo non perché capita dopo, ma perché è di più e meglio, in ragione della sua profondità.
Il “più recente” è già vecchio quando lo possiedo, mentre nuovo è ciò che si rinnova di continuo per una sua intrinseca forza…. Vecchio invece è ciò che non può più dare nulla di sé, perché esaurito…. Una sonata di Beethoven, un quadro di Cézanne, un canto di Dante sono più nuovi di una canzone “tormentone” (che dura fino al rapido esaurirsi di una stagione), perché danno sempre di più di sé stessi…”
Senz’altro un libro da leggere “L’arte di essere fragili”.

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno XX 2023 - n. 7 Luglio)