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Un serio pericolo per la democrazia

 

Nell'ultimo concorso per la Magistratura su ben 3797 aspiranti giudici che vi hanno partecipato solo 220 di loro hanno superato la prova scritta. Per la gran parte di questi la motivazione era così esplicitamente descritta: “grande povertà argomentativa e linguistica, schemi preconfezionati, senza una grande capacità di ragionamento, senza originalità e consequenzialità, in alcuni casi errori marchiani di concetto, diritto e grammatica”.
Non so quanto piacevole potrebbe essere la possibilità di finire giudicato da simili soggetti i quali, se pure non ammessi, certamente ritenteranno il concorso ed alla fine la spunteranno; passi la “grande povertà argomentativa e linguistica” cosa pur molto grave ma, inaccettabili per la carica che andrebbero a ricoprire, gli “errori marchiani di concetto, diritto e grammatica” e la assenza “di “grande capacità di ragionamento”.
La incultura ed impreparazione della maggioranza dei giovani, (ed anche meno giovani, a giudicare dal tempo in cui datano i probabili fattori che ne sono causa), è certo cosa molto grave nello specifico. E questo già basterebbe a far pensare ad opportuni accorgimenti per provvedervi.
Ma i danni da esse ingenerate potrebbero riguardare molti altri settori di più ampio respiro e di interesse generale; è appunto quanto, con la sua solita sagacia argomentativa, esprime Antonio Polito in un recente editoriale pubblicato dal “Corriere della Sera”.
Ad aggravare le cose è un rapporto di “Save The Children” secondo il quale solo la metà dei quindicenni italiani comprende i testi che leggono.
La cosa più preoccupante, sottolinea l’autore, è che tra, i tanti problemi legati alla dilagante incultura, c’è quello del futuro della nostra democrazia perché, come era solito sostenere il grande sociologo Ralf Dahrendorf, essa si basa sul “suffragio universale”; e questo si alimenta con una sfera pubblica rappresentata da “uno spazio di incontro tra soggetti liberi e con eguale diritto alla parola, i quali sottopongono al vaglio reciproco le loro idee e le loro opinioni espresse attraverso forme argomentative”.
In altre parole, perché si realizzi la democrazia, è necessario che ogni cittadino abbia la possibilità di elaborare proprie idee e di convincere ad esse qualcun altro con la forza delle proprie argomentazioni. Se non esistesse questo presupposto la democrazia, che non può e non deve esaurirsi nel semplice “momento elettorale, diventerebbe una cosa vuota, facile preda di demagoghi, fanatici e tiranni”.
Come potrà avvenire questo se la metà dei nostri quindicenni di oggi non comprende i testi che legge?
Un esempio pericoloso di quanto asserito temo si sia verificato proprio con il recente “flop” del Movimento5Stelle, primo partito in Italia alle elezioni del 2018, impietosamente frantumatosi nelle successive prove elettorali.
Un partito nato sull’onda di un generico qualunquismo, sulla scia di una opposizione a tutto e a tutti fondata solo sul grillino “vaffa’”, e dispensatore di disimpegnativi sussidi quali il “reddito di cittadinanza”, ha dimostrato, alla prova concreta dei fatti, tutta la sua pochezza “culturale”.
Prendere un “uomo della strada” e portarlo a gestire un Ministero non significa né democrazia, né egualitarismo: significa solo demagogia, i cui danni ricadranno inevitabilmente su tutti i cittadini.
Rifugiarsi dietro un “vaffa’” non significa esprimere dissenso ed opposizione: significa solo celarsi dietro un impulso pur comprensibile, ma rivelatore di tutta la propria abissale incultura, e non solo politica.
Antonio Polito ritrova le cause dirette di tutto questo nella organizzazione scolastica di oggi, quella che sostituisce alla “lettura” le immagini, i video, i grafici, i test, gli slogan, perché “diverso è il processo razionale che si mette in moto, diverso il mix tra ragione e intuizione, diverso lo stimolo alla riflessione”.
E non può che concludere col riportare una sintetica disamina di Francesco Provinciali, docente ed educatore di apprezzate capacità, che ne evidenzia le cause nella “facilitazione dei corsi di studio e di programma, progressivo abbandono dell’uso del corsivo e della scrittura manuale, enfasi dei test al posto del testo scritto, lenta espunzione della poesia, della musica e della storia dell’arte, linguaggi corti e sincopati, sigle ed acronimi che prendono il posto della scrittura fluente e narrativa, oblio della memoria come metodo di allenamento della mente, scomparsa dei dettati, sostituiti da cartelloni, diagrammi con frecce di richiamo e collegamento a schema aperto”.
Io aggiungerei pure il progressivo abbandono dell’italiano a favore di un predominante inglese e, peggio ancora, degli acronimi scritti in inglese debordanti ben oltre ogni linguaggio scientifico nel quale potrebbero pur avere necessario ma non indispensabile spazio.

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno XIX 2022 - n. 6 Giugno)