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Che non vinca le fredda tecnologia...

 

Quell'ammasso di plastica e materiali vari che ci portiamo in tasca o in mano, e che pare ci dia grande soddisfazione anche solo ad esibirlo, il telefonino, ha sicuramente cambiato il nostro modo di vivere.
In fondo in fondo, strutturalmente e fisicamente cos'è? Un insieme di vari elementi che disposti assieme ed in quel modo preciso, e non in un altro, si rivela uno strumento meraviglioso. Un po', per comprenderci, come la pila di Alessandro Volta: i dischi di rame e di zinco ed il panno bagnato di soluzione acidula sarebbero rimasti tali e quali, ognuno uguale a sé stesso per l'eternità. Disposti invece uno sopra l'altro produssero energia elettrica: e fu la pila!
Della utilità del telefonino, quando non abusata, non si può discutere: ci fa parlare con persone sparse il tutto il mondo, ci dà la possibilità di vederle, di accedere ai “social”, di assumere informazioni utili, di conservare dati, di scambiarli con tutti, di fare operazioni bancarie e postali dal divano di casa, di ascoltare musica, e, meraviglia delle meraviglie, di scattare foto e girare filmati.
Fotografare cose per ricordale, immortalare momenti particolari, fissare documenti, pratiche o scritti che abbiamo bisogno di leggere poi con comodo, e via discorrendo, ci aiuta tantissimo.
Come sovente accade, però, si prende l'abitudine, quando si ha uno strumento simile, di delegare ad esso una infinità di funzioni, che potremmo continuare a svolgere solo col nostro cervello, o di sensazioni, che potremmo continuare a percepire e godere soltanto con il nostro spirito. E la cosa non è bella, né utile.
Quante persone, le avrete viste tutti, di fronte ad uno spettacolo naturale, di fronte ad un ambiente nuovo e spettacolare, di fronte ad una eccelsa opera d'arte, non sanno far di meglio che tirare fuori di tasca il telefonino e scattare una miriade di foto; a volte anche di fronte ad un piatto particolare servito al ristorante!
Non si è fatto altro che “archiviare” un dato, “annullare” una sensazione, “azzerare” il bello ed il piacevole! Tutte cose che per essere godute non hanno bisogno di una foto da mostrare ad altri, ma di una intima partecipazione di animo e di sensi!
Un'opera d'arte, un quadro, una statua, una costruzione che sia, come diceva Roberto Vecchioni nella sua canzone “Figlio”, va guardata “per ore ed ore, fino a sentire i brividi dentro al cuore”, perché solo così, come affermerà in un altro testo (Io non appartengo più), si potrà dire con orgoglio: “io conosco la bellezza, e ce l'ho stampata in cuore”!
Come si fa a non “guardare per ore ed ore” il viso dolcissimo della Gioconda, il suo sorriso impenetrabile che sembra dirci tutto ed il contrario di tutto, il suo sguardo che ti trapassa da parte a parte, e “non sentire i battiti dentro al cuore”, ma limitarsi a mettere il più velocemente possibile il dito sulla impronta fotografica del nostro telefonino?
Come si fa a non estasiarsi di fronte alla perfezione scultorea della Venere di Milo, con la sua nudità greca, dolce e possente ad un tempo; quella nudità oggetto di censura per secoli bui, dominati da una religiosità folle e codina, ma ad archiviare subito il tutto su una foto?
Come si fa a staccare lo sguardo da “Le soleil levant” di Monet prima di aver sentito addosso l'uggia della notte che si va dissipando al progressivo salire del sole?
Come si fa, guardando “L'origìne du monde” di Coubert, a non avvertire sensazioni che travalicano ogni aspetto fisico, e ti si stampano nell'anima per la loro delicata essenza, oltre che ad ammirare la perfezione cromatica e la costruzione artistica della figura femminile?
Come si fa a delegare tutto questo sentire ad una fredda fotografia, manco stampata su carta, da mostrare agli amici solo per dire che si è stati a Parigi, al Louvre o al Museo d'Orsay?
Per quanto possa essere bella, una fotografia resterà sempre la fredda immagine di un particolare della realtà, privo di tutte quelle caratteristiche che concorrono a creare ed ad esaltarne la piacevolezza: quelle oggettive, ma a volte anche solo personali, sensazioni che si avvertono con tutti i sensi e mai con uno solo di essi.
Una foto non ci riprodurrà mai il vento, il caldo, l'umidità del mattino, il sole, le ombre, il profumo dei fiori, il cambiare della luce minuto per minuto.
Al diavolo, allora, il telefonino, e tutti gli strumenti che ci privano della essenza umana: il percepire, anzi il ”saper” percepire sensazioni, e “stamparsele nel cuore” perché, proprio attraverso di esse, la nostra anima voli sempre più in alto.

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno XVIII 2021 - n. 8 Agosto)