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La vaccinazione anti-covid, un democratico... dovere

 

La seconda parte della epidemia di Covid, che attanaglia il mondo intero da più di un anno, oltre che con le infinite partecipazioni cerebrali mediatiche di specialisti e non, di giornalisti e politici, di medici ed opinionisti, ci sta riempiendo le tasche con un altro non meno appassionante aspetto: vaccinazione sì, vaccinazione no.
E lo fa soprattutto per mezzo di persone che, lungi mille miglia da ogni forma di conoscenza storica e scientifica, credono di diffondere idee di libertà e di solidarietà sociale negando la necessità di ricorrere all’unica arma, entro notevoli limiti valida, che abbiamo contro la pandemia: il vaccino.
Pur volendo giustificare il legittimo timore che si possa avere per la inoculazione nel proprio corpo di sostanze ad esso estranee e create in laboratorio, e di tutti possibili effetti collaterali che potrebbero generare, non si possono spiegare certe prese di posizione diversamente che per la volontà di comparire, di farsi notare, di fare stupido proselitismo per una causa contrabbandata come affermazione di libertà.
Partendo dal presupposto che quest’ultima debba appartenere a tutti, non si dimentichi che, proprio per questo, essa termina per me proprio laddove inizia la tua e che i miei diritti coincidono esattamente con i tuoi doveri e viceversa; e se la tua volontà di essere diverso dai più può rappresentare un minimo pericolo di ledere il loro bene supremo, che è la vita, è tuo preciso dovere adeguarti alle decisioni della maggioranza. Niente di più, né di diverso.
Da ciò scaturisce con evidenza che la “libertà allo stato puro”, quella “belluina” direi, non può né potrà mai esistere perché limitata dalla “società” che è preesistente a noi ed alla nostra nascita (Rousseau, il filosofo, non la “piattaforma”) e dalla quale ci derivano, magari anche per imposizione, delle precise regole alle quali dobbiamo attenerci, proprio perché all’atto stesso della nascita, ne entriamo a far parte in maniera inscindibile.
Data quindi per assurda ogni validità della “democrazia del no”, tale già nella contraddittorietà dei termini, dilettiamoci con un po’ di storia non recente, ma forse salvifica per l’intera umanità.
Solo nel 1980 la Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarava scomparso dalla faccia della terra il “vaiolo”, terribile pestilenza che con le sue riacutizzazioni aveva mietuto nel tempo milioni e milioni di morti in tutto il mondo dai primi secoli dopo Cristo fino ad allora. E questo castigo di Dio era stato sconfitto solo grazie alla “vaccinazione” o “variolizzazione”, come si chiamava quando si cominciò a praticarla nei primi anni del 1700 fino a divenire “obbligatoria” negli anni a venire. Ed a proposito di “democrazia del no”, non so quanti esponenti del “no-vax” all’anti-covid sarebbero nemmeno esistiti se noialtri nati prima del 1980 non ci fossimo “obbligatoriamente” sottoposti alla “variolizzazione”.
Quello che pochi sanno è che questa tecnica, divenuta famosa grazie al medico inglese Edward Jenner, si iniziò a praticarla molto prima di lui sia in Inghilterra sia in Italia: unica differenza è che lui usò, per indurre risposta anticorpale, non più scarificazioni di pustole vaiolose umane, ma vaccine: donde il termine vaccinazione (1760/70). Ma pare che già nel X secolo d. C. il suo principio ispiratore fosse stato intuito dai Cinesi che facevano inalare al soggetto da immunizzare una polvere ottenuta dalle croste di un soggetto in via di guarigione. I primi a praticarla in Italia furono il professore Angelo Gatti, dell’Università di Pisa, ed il dottor Gianmaria Bicetti Buttinoni nella prima metà del XVII secolo.
Quello che vogliamo sottolineare che la cosa fu accolta ben diversamente da oggi dal mondo culturale e scientifico di allora, alieno da ogni desiderio di ridicole comparsate mediatiche, ed intervennero a favore della “variolizzazione” diversi intellettuali dell’epoca, come Cesare Beccaria e Pietro Verri, non a caso degni antesignani illuministi: quest’ultimo dedicò all’intervento medico l’ultimo numero della rivista da lui fondata “Il Caffè”.
Non fu da meno il poeta Giuseppe Parini il quale nel 1761 scrisse l’ode intitolata proprio “L’ Innesto del Vaiuolo” , dedicata proprio al medico Bucetti al quale si rivolge incitandolo così: “L’umanità soccorri;/ spregia l’ingiusto soglio/ ove s’arman d’orgoglio/ la superstizion del ver nemica,/ e l’ostinata folle scola antica.” E più avanti continua: “Sempre il nuovo, ch’è grande, appar menzogna,/ mio Bicetti, al volgar debile ingegno: / ma imperturbato il regno/ de’ saggi dietro all’utile si ostina./ Minaccia né vergogna/ no’l frena, no’l rimove;/ prove accumula e prove; / del popolar error l’idol rovina, /e la salute ai posteri destina.”
E difatti, nel 1980, il “regno de’ saggi” vide pienamente riconosciuto che “la salute ai posteri” era stata da lui ampiamente “destinata”.
Eppure, ahimè, “sempre il nuovo, ch’è grande” continua ad “apparir menzogna… al volgar debile ingegno”.
Son passati, da allora, trecento anni, ma ho la sensazione che “il volgar debile ingegno” si sia enormemente accresciuto, parallelamente alla moderna tecnologia digitale e globale, di fatto annullandone gli aspetti più positivi.

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno XVIII 2021 - n. 4 Aprile)