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Libertà e Modernità

 
 

Il 19 luglio scorso una leggiadra signora si immerge nelle acque del lago Balaton, il cosiddetto “mare magiaro”, in Ungheria; ma, colta da un malore durante una nuotata, muore per annegamento.
La leggiadra signora contava 90 anni e due mesi, ed è stata, filosofa e saggista, il massimo esponente della “Scuola di Budapest”, nata dal dissenso al comunismo dei paesi dell’est europeo.
La modalità della scomparsa è estrema dimostrazione della forza e della fermezza di questa letterata ungherese allieva e collaboratrice di Lukacs, grande studioso di Marx. Fu docente all’Università di Budapest, di Melbourne ed alla New School for Social Research di New York.
La Signora Agnes Heller, è di lei che stiamo parlando, marxista ed eretica, di origine ebraica, era sopravvissuta “alla fabbrica della morte nazista” nei campi di Auschwitz-Birkenau, perseguitata poi sotto il comunismo ed infine diffamata ed estromessa dall’università dal regime sovranista di Orban.
Teorica dei “bisogni radicali” e della rivoluzione della vita quotidiana al posto di quella mondiale, a poco a poco vide vacillare la sua ortodossia marxista, e, negli anni del tramonto del socialismo reale e del crollo dell’Unione Sovietica, divenne sempre più il punto di riferimento dei dissidenti, degli oppositori di ogni regime, e delle nuove élites democratiche. Dichiarò recentemente, infatti, di non essere più marxista e, forse, di non esserlo mai stata almeno nel senso ortodosso del termine.
Ad ulteriore testimonianza della sua lucidità la Heller solo due giorni prima di morire aveva consegnato agli organizzatori il suo discorso di apertura ad un simposio letterale tenuto poi a fine agosto presso Innsbruck ed al quale hanno partecipato cinquemila ospiti di novantacinque nazioni.
In esso la filosofa, partendo dal principio di libertà assunto nel tempo dalle varie dichiarazioni dei filosofi e dalle società, affronta il tema della “modernità”. Inizia con una amara considerazione, tratta dal libro dell’Esodo, riguardante gli Ebrei che, schiavi in Egitto, ricevono, per intervento divino, sia la libertà che una costituzione (i Dieci Comandamenti); ma di fatto non hanno lottato per conquistare né l’una né l’altra. E allora si stufano presto del loro vagabondare nel deserto, fino a rimpiangere le città egiziane dove avevano vissuto nella “sicurezza” della schiavitù. Ed anziché sfruttare la libertà, cardine essenziale di ogni organizzazione politica, per progettarla soprattutto in funzione del suo preservamento, la usano per crearsi “il vitello d’oro”, da adorare come un nuovo padrone!
La giustificazione: se gli esseri umani sono liberi, essi sono liberi anche di scegliere la negazione della libertà. Pertanto, come asseriva Rousseau, (nessun riferimento alla piattaforma telematica dei cinque stelle): “Tutti gli uomini sono nati liberi e dappertutto sono in catene”, quasi sempre per loro medesima volontà, aggiungerei io.
È doveroso, allora, affrontare il tema della “modernità” specie nei suoi ordinamenti sociali, che sono grandemente diversi da tutti quelli del passato ed anche, diciamo così, da quelli pre-moderni pur più vicini a noi, partendo dall’assunto che la modernità, mai come ai nostri tempi, si basa sulla libertà e, perché quest’ultima sopravviva e non si vada alla ricerca di un “vitello d’oro”, occorre preservarla e difenderla. Ovviamente con strumenti attuali alla nostra epoca.
Da qui l’analisi accurata della Heller, che prevede tre logiche fondamentali per la modernità:
- La prima: la distribuzione dei beni, degli uomini e dei servizi attraverso il mercato (in senso molto lato: il capitalismo)
- La seconda: lo sviluppo costante della scienza e della tecnologia
- La terza: la possibilità di scegliere liberamente governo ed istituzioni.
Le prime due sono costitutive della modernità, ma non possono prescindere dalla terza, che è il fondamento di tutte le libertà e la garanzia che le prime non prendano il sopravvento.
Ad esempio, dalla prima, per alterazione mondiale dei mercati, potrebbero derivare povertà e fame mondiale con conseguenti ribellioni, genocidi o guerre; la seconda potrebbe sfuggire di mano creando tecnologie o macchine da guerra che potrebbero distruggere il mondo. Ergo “la nostra sicurezza e la sicurezza delle prossime generazioni dipendono dalla nostra libertà, o meglio, dall’uso che noi facciamo della nostra libertà”.
La modernità si basa sulla libertà, eppure, continua la Heller, “la libertà è un fondamento che non fonda”.
Infatti si può essere liberi anche di assoggettarsi a dittature, a regimi totalitari, a oligarchie, perché non soltanto i regimi totalitari possono crollare, ma anche le democrazie liberali, e il novecento ce ne ha data amplissima testimonianza.
È un dato di fatto che le società moderne sono insoddisfatte, perché non esiste una società giusta e le democrazie liberali sono travagliate da molti mali, e tra questi uno su tutti: la insicurezza. Sì, la stessa che fece rimpiangere agli ebrei la schiavitù in Egitto. “Non si arriverà mai ad una società giusta, perché una società completamente giusta non esiste e non esisterà mai”.
La conclusione del discorso della Heller si mitiga però verso una prospettiva un po’ più ottimistica ricordando Voltaire che invitava a coltivare il proprio giardino: la modernità è il nostro giardino perché pur “se il raggio d’azione dei cittadini non è molto esteso, la loro responsabilità planetaria comincia, ma non finisce, con la responsabilità di salvaguardare la libertà della loro città, oppure di fare tutto ciò che è in loro potere per instaurare e difendere quella libertà”.
Prendiamone esempio.

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno XVI 2019 - n. 9 Settembre)