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Si salvi chi può

 
storie di ordinaria ingiustizia
 

Leggerete cose allucinanti, cose da far ribollire l'animo anche all'essere umano più mite e accondiscendente che esista, a tutti quelli che non hanno mai avuto paura del “Leviatano” di Hobbes, ed hanno invece sempre creduto nella reale esistenza di uno stato di diritto.
Nelle pagine dei giornali campeggia l'immagine di un uomo ottantacinquenne, distrutto nel fisico e forse nella mente, trasandato, non curato nel viso e nel corpo. È Bruno Contrada, poliziotto numero due del SISDE negli anni 90. Nel 2007 fu condannato in via definitiva a 10 anni di carcere accusato del reato di “concorso esterno in associazione mafiosa”, per fatti presumibilmente commessi nel 1992. Ometto di sottolineare i quindici anni necessari per la sentenza definitiva e ometto il fatto di sottolineare che il Contrada quegli anni di condanna li ha scontati tutti. Ma il bello è che Contrada è stato condannato per un reato che in Italia fino al 5 ottobre del 1994, cioè due anni dopo dei fatti contestatigli, non esisteva! La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ne stabilì la esistenza perché solo in quella data una pronuncia delle sezioni unite della Cassazione definì chiaramente i contorni di quel reato e lo proclamò tale.
In base a tanto la stessa corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo ,nel 2015, due anni fa, ordinò la scarcerazione del Contrada per “non aver commesso il fatto” ma i giudici della Corte d'Appello di Palermo se ne sono letteralmente “strafottuti” per due anni ancora, fin quando il ricorso in Corte di Cassazione non ha stabilito, solo pochi giorni fa, che ad un giudice interno non è consentito alcun apprezzamento di merito sui contenuti di una sentenza emessa dalla Cedu!
Il bello è che questa sentenza, emessa da giudici sicuramente meno estrosi ed immaginativi, ribadisce che ogni sentenza della Cedu deve essere applicata anche, dico anche, in Italia senza margini di interpretazione ed i giudici italiani non dovranno essere che semplici esecutori di essa.
Questo fatto sarà un duro colpo per tutti i magistrati che hanno applicato retroattivamente la legge Severino a Berlusconi, e per quelli che hanno condannato Dell'Utri per lo stesso reato ascritto a Contrada per fatti antecedenti al 1994!
Finalmente un po' di giustizia? O finalmente un po' di eccesso di zelo nella giustizia? Giudicate voi!
La storia ci narra di analoghi episodi in tutto il mondo: Sacco e Vanzetti negli Stati Uniti, Dreyfuss in Francia, Tortora in Italia, e speriamo che non riaccada con Massimo Bossetti per il delitto di Yara Gambirasio, le accuse verso il quale non sembrano mostrare tanta valida stabilità.
E chi mai potrà restituire al Contrada dieci anni di vita e la dignità infangata da una infame accusa; quale giudice pagherà per l'errore di aver giudicato e privato della libertà un uomo per un reato che non esisteva e del quale lo stesso con grande dignità si è sempre proclamato innocente, o quale giudice di Caltanissetta pagherà per aver respinto una revisione del processo, o quale giudice di Palermo pagherà per aver fatto cadere nel vuoto i dettami di una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo? Giurateci pure: NESSUNO! Ma mentre scrivo giunge la notizia della evasione di un galantuomo condannato all'ergastolo per tre omicidi, effettuata mentre era al mare, durante il tredicesimo permesso premio, concessogli dai giudici, per buona condotta. E non è il solo; mentre altri, accusati di stalking, hanno potuto portare a termine tutti i loro precedenti tentativi di omicidio dopo essere stati scarcerati non si sa perché.
Non più lusinghiere sono le cose nel campo delle cause civili la cui durata in prima istanza non è mai inferiore ai dieci anni; ed altrettanti anni impiega una sentenza di seconda istanza. Ma i più non sanno che, mentre il processo di prima istanza è istruito da un magistrato che interroga i testimoni, dispone sopralluoghi e accertamenti, ascolta direttamente tutte le parti, quello di seconda istanza, di appello per intenderci, si basa sulla sola letture degli atti prodotti dal primo magistrato. E quando la sentenza di appello ribalta completamente quella di prima istanza come si fa ad essere sereni, se il giudice che ha fatto questo non ha visto in faccia il querelato e il querelante, non ha ascoltato nuovamente i testimoni, non ha approfondito accertamenti, ma ha solo letto carte? La comprensione di un fatto, specie in materia così delicata, non può essere legata alla sola lettura di carte scritte da altri, con descrizione di avvenimenti nelle quali basta omettere o aggiungere una virgola per alterare tutto un contesto.
Ma anche questa è la giustizia italiana.
Si salvi chi può!

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno XIV 2017 - n. 7 Luglio)