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Diciamoci la verità

 

Ciò che è e che rappresenta l'individuo non lo è in quanto individuo, ma in quanto membro di una grande società umana che guida il suo essere materiale e morale dalla nascita fino alla morte.
Il valore di un uomo, per la comunità in cui vive, dipende anzitutto dalla misura in cui i suoi sentimenti, i suoi pensieri e le sue azioni contribuiscono allo sviluppo dell'esistenza degli altri individui. Infatti abbiamo l'abitudine di giudicare un uomo cattivo o buono secondo questo punto di vista. (A. Einstein)

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Sarà perché la scriviamo ogni giorno, sarà perché la creiamo ogni minuto della nostra esistenza, sarà perché la viviamo tutti assieme senza neanche rendercene conto, ma la storia vive in noi e con noi in un rapporto così fortemente saldo, da non potercene liberare mai, neppure volendo e neppure per un istante.
Così si riaffaccia sovente nelle persone normali e negli studiosi, che talvolta vorrebbero reinterpretarla come per esorcizzarne alcuni aspetti o metterne in luce altri sui quali ci si è soffermati poco o sui quali, peggio, si è taciuto chissà a quali fini.
Mi sono infatti recentemente lasciato coinvolgere in una piacevole disputa con l'amico ingegnere Gino Gelsomino, colto ed attento studioso di storia, circa la non nuova tesi che il meridione d'Italia, il Regno delle Due Sicilie, per intenderci, sarebbe stato violentato e depredato in una guerra di conquista dal Re Sabaudo nella seconda metà del XlX secolo. A suffragio si portavano numerosissime testimonianze di scrittori e ricercatori, dell'epoca e contemporanei, i quali riferiscono di stragi ed espoliazioni verificatesi subito dopo il 1860 a danno del popolo governato sino ad allora dai Borboni. Sotto il cui dominio non dico si vivesse idilliacamente, ma quasi. Sia da un punto di vista sociale che, soprattutto, economico.
Non voglio ritornare sull'argomento: le rivisitazioni storiche non servono a cambiarla e nascono spesso così distanti nel tempo dagli eventi che investono da risultare comunque oggettivamente poco credibili.
È indubbio che il meridione, dall'Unità d'Italia in poi, abbia marciato a rilento rispetto al progresso che ha interessato tutto il paese, nato solo 150 anni fa e mai esistito, dico mai, per il passato. Va sicuramente a merito di tanti il fatto ch'esso sia riuscito, pur dopo disastrose esperienze politiche e di guerra, a divenire per un periodo, il quinto paese più industrializzato del mondo, superando la veneranda Albione, ma il suo sud ha continuato a rappresentare per esso una “questione”, una palla al piede.
Non dimentichiamoci degli infiniti tentativi di risanamento economico che sono stati messi in atto dai vari governi del Regno, prima, e della Repubblica poi; non dimentichiamoci della famosa “Cassa Per il Mezzogiorno”, elargitrice di fondi senza limiti, finiti, nella migliore della ipotesi, a generare cattedrali del deserto o degli infiniti finanziamenti europei, ai quali i politici meridionali non hanno sovente neppure voluto o saputo accedere.
Su questo aspetto pone l'accento, in una recente intervista sul Corriere del Mezzogiorno, il Prof. Piero Craveri, figlio di Elena Croce e quindi nipote diretto di Benedetto: una garanzia come poche!
“Il Sud nel corso di questi 150 anni - afferma Craveri – ha seguito con un passo più lento il progresso complessivo del Paese”.
Quel che purtroppo sfugge è che questa lentezza del passo si è fortemente accentuata negli ultimi cinquant'anni “perché il Sud si è fermato al 1970, quando sono nate le Regioni, quando cioè il maggior flusso di risorse pubbliche è passato sotto la responsabilità delle classi dirigenti meridionali…… le classi dirigenti meridionali sono molto peggiori di quelle del centro-nord…. perfino la Lega, che disprezzo per le tesi politiche, ha dei buoni amministratori…. gente che pensa a come far funzionare la comunità…. il problema centrale della classe politica meridionale è invece rafforzare se stessa….”.
Le domande, a questo punto sorgono spontanee: il Regno delle Due Sicilie, dato e non concesso che fosse un paradiso terrestre, era tale con lo stesso tipo di umanità; ed allora il merito era tutto del Sovrano? Perciò solo quando ha cominciato a traballare il suo trono gli uomini si sono rivelati per quello che erano realmente: inaffidabili? E allora il giudizio che l'Europa e l'America di allora avevano di noi meridionali era vero? Suffragate da realtà facilmente oggettivabili, o mere fantasie propagatesi per scopi politici?
Una socialità di molto inferiore a quella del nord era un fatto certo ed esistente, visto che ancora oggi, a distanza di centocinquanta anni dalla “conquista” sabauda, la … “gente non pensa a far funzionare la comunità ed il problema della classe politica meridionale è invece rafforzare se stessa”?
E forse alla base dei nostri piagnistei c'è sempre quell'atavica vigliaccheria di dare sempre la colpa agli altri?
Se poi vogliamo rifarci all'aforisma di Einstein citato in apertura, se un individuo rappresenta qualcosa solo perché membro di una grande società umana che guida il suo essere materiale e morale dalla nascita fino alla morte (ma io non lo credo) bisogna pensare che la società umana meridionale non sia uguale a quella del nord, e se non lo è forse qualche colpa ce l'ha anche chi ne ha avuto assolutisticamente funzioni di guida.
Ma solo quando riusciremo ad avere sentimenti, pensieri ed azioni che contribuiscano allo sviluppo della esistenza degli altri individui avremo singolarmente valore di individui, senza nasconderci dietro fole di sopraffazioni o di torti che ci vengono continuamente inflitti.

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno XI 2014 - n. 3 Marzo)