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Per un 26 ottobre meno polemico e più umano

 

26 ottobre 2013.
Non peccheremo di “amor di patria”, oggi tanto vituperato, né di apologia del Risorgimento, epopea storica da poco rivalutata, forse più per convenienza che per convinzione, anche da partiti che per anni hanno inneggiato alla costituzione politica ed ideologica di stati stranieri, né di esaltazione dell' Unità d'Italia, ancora deprecata da qualche partito del nord e da qualche nostalgico del sud.
26 ottobre 1860.
Ne parleremo, doverosamente e rispettosamente, come la naturale conclusione di un processo storico che caratterizzò, segnandolo di insurrezioni, rivoluzioni e guerre, un secolo intero, il XlX secolo (1800) che Carducci, in una superba ode dedicata a Giuseppe Mazzini, definì “fluttuante”.
Fu il secolo dei nazionalismi, del riscatto da centenarie dominazioni (gli austriaci, i Borboni, i turchi,) e la nascita, o la rinascita, di nuovi stati per anni scomparsi dalle cartine geografiche. Fu il secolo che si concluse con l'indipendenza della Grecia, della Ungheria, della Germania, degli Stati balcanici e dell'Italia. Per noi il processo fu duplice: di creazione dell'unità e di conquista della indipendenza. Di queste si è parlato forse troppo della prima e poco della seconda.
Ma si è parlato pochissimo, o quasi per niente, di un altro fondamentale aspetto: il diciannovesimo secolo fu anche il secolo del “costituzionalismo”, della organizzazione, cioè, dello stato moderno, in cui il sovrano non era tale per “volontà di Dio”, ma per scelta del popolo e in cui le decisioni politiche erano prese o suffragate da un parlamento regolarmente eletto e rappresentante tutti i cittadini di quello stato.
I moti del 1821, del 1828, del 1848 che sconvolsero l'Europa, in Italia non erano inizialmente o ufficialmente volti all'unità dello stato, ancora lontana chimera, ma all'ottenimento di una “costituzione” stabile e definitiva, mentre i vari sovrani, come Carlo Alberto o Ferdinando di Borbone, si limitavano a concederle e revocarle a seconda degli esiti rivoluzionari. Costituzione che non doveva essere più “concessione” , ma legittima conquista popolare, come avevano, nel secolo precedente, preconizzato Rousseau, Montesquieu, Lafayette, e gli illuministi.
Fu lotta primariamente per la democrazia e poi, ad essa strettamente legata, lotta per le indipendenze.
È da questo punto che bisogna partire per comprendere ed accettare, senza volgare distinguo tra nord e sud, tra piemontesi e borbonici, il grande evento dell'Unità d'Italia.
È da questo punto che bisogna partire per comprendere la “primavera araba” e le lotte che insanguinano oggi il Medio Oriente ed il Nord-Africa.
È da questo punto che bisogna partire per comprendere, accettare ed aiutare il grande movimento migratorio che spinge migliaia di profughi a rischiare una morte indegna nella ricerca spasmodica non solo di benessere, ma forse soprattutto di libertà e di democrazia. Ed il modo di parlare e di comportarsi di quanti sopravvivono e vengono accolti, se talvolta avanzano pretese di migliore trattamento, non suoni di oltraggio perché è la legittima coscienza di sé e una rivendicazione silente di libertà e di democrazia.
Stanno forse vivendo ora il diciannovesimo secolo dell'Europa, e l'Europa, oggi democratica e costituzionalista, non dimentichi l'aiuto offerto, perché tale diventasse, dalla Rivoluzione Americana che precedé nell'ideologia e nella realizzazione la Rivoluzione Francese.
Si vedano nei poveri sopravvissuti del mare non solo gli operai italiani costretti a migrare oltre oceano alla ricerca di un lavoro e di condizioni di vita migliore, ma anche i Carbonari ed i liberali costretti ad esiliare in Francia o in Inghilterra per non sottostare ad un potere dispotico e antidemocratico. Perché è soprattutto gente che fugge dalla paura, e non dall'indigenza, anche se questa esiste, altrimenti avrebbe cominciato a fuggire cento anni fa. E più sentito dovrebbe essere il dovere di aiutarli, soprattutto contro le organizzazioni che continuano vergognosamente a vendere armi ai loro governi o alle loro fazioni.
Apprestiamoci a celebrare con questo stato d'animo, noi teanesi, la data del 26 ottobre, giorno della unione d'Italia, e daremo ad essa un significato di progresso, di libertà e, soprattutto, di umanità.

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno X 2013 - n. 10 Ottobre)