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C'erano una volta... Mimì, Vicienzo e Supiniello

 

È difficile, per chi si accinge a scrivere una storia o a descrivere dei personaggi conosciuti e realmente esisititi, spersonalizzarsi al punto tale da divenire semplice cronista. È difficile e non ci pare neppure giusto farlo perché la realtà esiste solo dentro di noi ed in maniera differente per ognuno; ogni tentativo di renderla unica e buona per tutti è destinato a fallire.
"L'uomo è la misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono, e di quelle che non sono in quanto non sono" affermò Aristarco di Samotracia oltre duemila anni or sono. E la speculazione filosofica, a mio avviso, si sarebbe potuta fermare anche là, perché il concetto è talmente veritiero e profondo da essere al sicuro da ogni confutazione. A contraddirlo non si farebbe altro che affermare vieppiù la veridicità, perché si dimostrerebbe subito la esistenza di un'altra misura, e, dietro di essa, di un altro uomo. Quello che vedo, che sento, che vivo io è una cosa per me ed altra cosa è per te; così come tu non potrai mai avvertire le mie sensazioni, io non potrò mai immaginare come a te appare la realtà che, essendo inseparabile dal mio e dal tuo modo di sentire, finisce per non poter essere oggettivata e privata della sua anima. E chissà se pure esiste in quanto tale.
E allora raccontare fatti, personaggi, avvenimenti significa solo esporre le cose come l'autore del racconto le ha vissute, sentite, viste attraverso la sua "misura" e sarebbe ipocrita esercizio cercare di tenersene fuori.
Ma non si pensi che questa "misura", questa individuale forza che fa dell'uomo il dominatore della realtà, nasca e muoia inalterata in ogni persona. Essa si modifica, si trasforma, si accresce, decresce, migliora o peggiora in ogni istante della nostra vita, mai eguale a se stessa, mai eguale ad altre, a seconda delle infinite sensazioni che ognuno vive minuto per minuto.
Le storie, i luoghi, i personaggi che per amore e solo per amore ricorderò negli articoli di questa rubrica sono le storie vissute ed i personaggi visti attraverso la "mia misura", lontano mille miglia da ogni pretesa di asettica storiografia.
A volte, nel descrivere luoghi ed avvenimenti, ho avuto la sensazione ch'essi fossero ancora fermi lì, in uno spaccato della mia vita, e che potessi ancora riviverli e rivederli solo che li andassi a cercare! Le parole strambe, i veri personaggi che rendono caratteristica la storia di un paese, pare che stiano ancora al loro posto.
Mi pare di vederlo, "Supiniello", con la sua carriola da muratore scorrazzare di corsa per tutta piazza Duomo rifacendo il verso del clacson, piiiipiiiiiiii...!
E “Mimi acqua", famoso tanto da essere immortalato in un ritratto del Maestro Rino Feroce.
Lo chiamavano acqua, sicuramente perché nelle sue preferenze era il liquido meno quotato, sopravanzato di molte spanne dal vino. Qualcuno sosteneva che lo chiamassero “acqua” perché nel suo millantato passato sportivo di ciclista non facesse altro che richiederla continuamente ai tifosi assiepati lungo le strade; io non l'ho mai visto montare su quella bici da corsa che, invece, esibiva trascinandosela dietro a piedi specie nei rari passaggi del Giro d'ltalia.
Si vantava di essere comunista e quando, nella metà degli anni settanta, il PCl toccò il suo massimo storico, il buon Mimì salutò nella persona di Mons. Sperandeo il “compagno vescovo”.
Non era affatto stupido; possedeva una invidiabile proprietà di linguaggio ed un vocabolario a volte anche forbito. Come quando, incontrato sempre Mons. Sperandeo, chiestogli qualche spicciolo per il solito bicchiere di vino, di fronte alle difficoltà incontrate dal prelato nel reperire nelle proprie tasche quanto richiesto, lo incitava ripetendogli: ...fruga, ... fruga!
Gli volevano bene tutti. Lo trovarono morto nel suo tugurio, bruciato forse per una sigaretta cadutagli di bocca mentre dormiva, complice il vino.
Vicienzo "a' batteria " aveva il suo habitat tra Furnolo, Tuoro e Casafredda. Talvolta si spingeva anche nel versante occidentale ma sempre durante le feste patronali, dalle quali era particolarmente attratto. Erano specialmente i fuochi artificiali a colpirlo e ne ripeteva la sequenza sonora (donde il nome) a chiunque gliene facesse richiesta... ta, tata, tarattata... fino ai tre botti finali bum, bum... buum, che non mancava mai di mimare con le mani, come l'indimenticato Totò.
Se era di buzzo buono vi ripeteva anche qualche brano della banda musicale, della quale lo attiravano specialmente i piatti acustici.
Viveva della elemosina di tanti, non so se abbia mai avuto una casa, dormiva dove gli capitava. Una volta gli capitò nel camposanto, ma cominciò a piovere ed allora si alzò ripetendo a gran voce “... manco cca' stonco buono"; al casuale passante che transitava al buio ed a piedi sulla vicina strada per Casafredda, e che non lo aveva veduto, per poco non venne un tocco.
Erano personaggi di ieri, a modo loro strambi, forse con non tutte le rotelle a posto, ma facevano parte integrante della vita della città; non v'era alienazione, non v'era cattiveria. e soprattutto non v'era chi neanche pensasse di poter prendere a bastonate un barbone.
Oggi no. Forse anche a Teano!

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno I 2004 - n. 5 Maggio)