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240° genetliaco di Silvestro Bianco

 

Presso tutti i popoli della terra non v'è nessuno che, riconoscendo il valore educativo e civile di una personalità di spicco del passato, non opera il recupero della sua memoria riconoscendone il retto e corretto orientamento di vita, individuale e collettivo. La memoria dei grandi non va mai spenta, perché essi, dal passato, continuano a proiettare luce di virtù e di saggezza che, illuminando soprattutto le coscienze delle giovani generazioni, possano associare lo spirito a iniziative rivolte a maturi e coerenti atteggiamenti morali e civili.
Ricorre quest'anno il 240° genetliaco di Silvestro Bianco, figura che ci spinge a richiamare l'attenzione su una delle tante personalità del passato che hanno fatto grande la nostra terra sidicina.
Molti nostri concittadini conoscono il canonico Silvestro Bianco per sentito dire, come letterato, teologo, poeta e patriota ma pochissimi hanno letto qualche verso delle sue poesie o un rigo delle sue opere.
Nel 1827 pubblicò quattro volumi di un “CORSO INTERO DI ELOQUENZA GENERALE E PARTICOLARE COSI' IN PROSA CHE IN VERSI”, lasciando il quinto inedito che si conserva, manoscritto, presso il Museo Provinciale Campano.
Qualche anno dopo pubblicò un altro poderoso lavoro: “MEMORIA SUL CULTO DEGLI ANTICHI TEANESI SIDICINI, DISTRUTTO DAL VENERABILE SERVO DI DIO, S. PARIDE, NELL'ANNO 333 DELL'ERA CRISTIANA”. Da questi lavori, dalle poesie edite e dalle moltissime inedite, traspare tutta la sua profonda cultura e il suo straordinario sapere.
Tracciare, però, un profilo completo su una personalità alla quale si riconosce un notevole valore educativo e civile, é senza dubbio un'ardua impresa. Sono quasi certo che per quanto mi sforzerò di ricordarlo, per quello che è stato: sacerdote, teologo, scrittore, poeta e patriota, alla fine mi accorgerò che molti aspetti saranno stati trascurati o addirittura taciuti e, pertanto, il risultato conclusivo potrebbe rivelarsi incompleto o del tutto insoddisfacente.
Silvestro Bianco nacque a Teano da Antonio e da Margherita Pecoraro nel 1779, ove morì alle ore 16 del 17 aprile 1833, come si legge dal certificato di decesso redatto dal dott. Francesco Maria Gigli, Sindaco e Ufficiale di Stato Civile del Comune di Teano: “Con i testimoni regnicoli Nicola Rendina di anni 35 di professione bracciale, domiciliato in Teano e Crescenzo Rendina di anni 56 di professione negoziante, domiciliato ivi, è stata riconosciuta la effettiva morte di Don Silvestro Bianco, nella sua casa in Teano (Palazzo Cicerchia, oggi in ristrutturazione, sito in Piazza 23 settembre 1943 ndr) alle ore 16 di oggi 17 aprile 1833”.
Jacopo Porciani, pseudonimo di Giacomo Cipriano, pubblicò nel 1908 “Poesie Inedite Di Silvestro Bianco”, che non stampate sarebbero altrimenti andate perdute, e Filomeno Cipolla arricchì il suo libro sulla Cattedrale con: “Memoria” opera anch'essa inedita del Bianco sul culto del Dragone.
Dal Porciani sappiamo che don Silvestro “… fu di quegli uomini che sanno nutrire lo spirito di libertà. Prete e canonico della nostra Diocesi fu anima libera, e non seppe tacere né ciò che pensava né ciò che si svolgeva intorno a lui. Egli non simulò né dissimulò mai; come sentì scrisse; come il mondo gli parve lo tradusse in versi”. Con le sue poesie bernesche, denunziò l'incapacità, l'immoralità e la sfrontatezza frequente dei suoi tempi, non risparmiando nessuno dalle critiche, dai preti al papa.
Temuto dai suoi amici e colleghi in vita, fu dileggiato dalla maggioranza degli stessi appena morto. Tra le poesie del Bianco, di gustosissima lettura, sono i cinque canti “PER L'ELEZIONE DI UN NOVELLO CANONICO”, nei quali l'autore mette a nudo le beghe dei capitolari per sostenere la candidatura di don Mattia De Biasio.
Nei versi di questa poesia il poeta riporta l'assurda discussione aritmetica sul canonico eletto Compagnone.
Dopo la votazione i canonici sconfitti sono quasi rassegnati, ma... “si alza un Bertuccione di canonico di cervello massiccio e spalle grosse, chiede la parola per sostenere che, essendo i votanti 19 al Compagnone difetta mezzo voto per l'elezione. Son 10 qua e 9 di là? Si avvera l'effettivo equilibrio della cosa; V'è parità di voti e bonasera”. Il consiglio capitolare durò diversi giorni, forse più di trenta, ma senza trovare alcuno accordo sulla matematica ecclesiastica. Il vescovo, stanco di quella sconcia situazione, fece un decreto speciale, valevole solo per quella votazione, ed elesse ufficialmente canonico il Compagnone.
Le poesie pubblicate dal Porciani sono solo un piccolissimo numero di quante il canonico ne scrisse. Di questo prete va sottolineata la sensibilità, una vena poetica fluida, sincera, in tutte le sue poesie che, come accennato, sono di gustosissima lettura, efficaci soprattutto per la straordinaria attitudine nel cogliere gli elementi essenziali delle situazioni, degli ambienti dei personaggi trattati.
Va suggerito di leggere, inoltre, “UN BANCHETTO IN SOGNO”, dove sono segnalati numerosi nominativi di «tavernari» che erigevano sull'ameno colle di S. Antonio le loro baracche a ristoro del pubblico che per 13 giorni invadeva la località per le festività del santo: “L'APOTEOSI DEL GRAN COTTURO” - ”MACCARONATA ALLA NAPOLETANA” - “CAPITOLO” dedicata al signor V. Gualtieri ecc.
Politicamente i tempi in cui visse il canonico Bianco non potevano essere più turbinosi. Il nostro interesse, però, non è solo quello di ricordare il poeta, che ebbe come unici amori gli studi, la prosa e la poesia, e nessuno altro preciso palpito come: libertà e patria e, di tanto, era schernito dai suoi amici-nemici preti. Anzi fu accusato della sua innata ritrosia verso la politica, derivante proprio dal suo spirito più contemplativo che attivo. Ci piace precisare, invece, che egli dovette soffocare nel suo animo un'alta fiamma di amor di patria e di libertà, vivendo nel suo spirito il dramma di tutti i rivolgimenti nazionali. Nel 1814, tramontato l'astro Napoleonico, la Lombardia ricadeva sotto il dominio austriaco. Nel Regno di Napoli dal 1799, o meglio in Terra di Lavoro, dominava una mutevolezza di comportamenti che sarebbe stato possibile incanalare a favore o contro la Repubblica. In tale realtà si mossero i realisti, non per coordinare il popolo, ma per aizzarlo contro il governo, facendo leva su un malcontento al quale il governo stesso cercava invano di dare risposte. La Carboneria raccolse adepti nella borghesia, nell'esercito e anche nel clero. L'apparente innata ritrosia del Bianco politico, derivante proprio dal suo spirito bernesco, sembrava tenerlo lontano dalla politica attiva, era invece bravo a non palesare che nel suo animo nutriva alta la fiamma di amor di patria. La Rivoluzione Francese, sconvolta la Francia, aveva varie ripercussioni nel nostro paese, segnando un nuovo indirizzo nei vari rami dell'attività umana e dello spirito e un inizio di rinnovamento della vita italiana. Alle strepitose vittorie Napoleoniche, al dominio Austriaco subentrava il dominio Francese, ma la strombazzata libertà, uguaglianza e fratellanza per gli italiani non rimase che un vuoto motto. Dietro la sua maschera giocosa, don Silvestro visse con tormento i tanti rivolgimenti di governi e di popoli. Egli vedeva la salvezza della patria nell'unità d'Italia.
Con molti prelati di Terra di Lavoro e Giuseppe Ciello, suo alunno nel seminario ed amico per tutta la vita, s'iscrissero a Società Segrete e il Bianco fu gran maestro della Carboneria in Teano. Alla sommossa dei moti del luglio 1820, fece erigere in Piazza Indipendenza, oggi Piazza 23 Settembre 1943, proprio sotto la propria abitazione, palazzo Cicerchia, un gran trono con bandiere e trofei, e tenne, col Canonico Filippo Cinquegrana, una mirabile orazione incitando il popolo a sollevarsi e ad inneggiare all'Italia Unita. Il prete avendo voluto, nella fugacissima apparizione di un'alba nuova, denudare la sua anima venne ammonito e relegato nel monastero di S. Francesco a Teano ed il suo amico e complice canonico Cinquegrana a Napoli in Santa Lucia. Dal sonetto “CAPITOLO” indirizzato al Signor Valentino Gualtieri, si può notare l'amarezza ed il dolore del canonico Bianco …”Toglietemi per Dio da questo chiostro / che, se formava un dì la mia delizia / or mi s'è fatto spaventoso mostro”. Scoraggiato dagli eventi politici del 1821, perdette ogni fede nella redenzione d'Italia e si ritrasse da ogni setta e da ogni partito dedicandosi alla prosa e alla poesia. Questo o quel Governo a lui importava poco: a far del bene ed a vivere onestamente bastava qualunque governo.

Pasquale Giorgio
(da Il Sidicino - Anno XVI 2019 - n. 10 Ottobre)