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Il sagrestano e il matrimonio segreto

 
Tempi andati e situazioni boccaccesche in una storia vera del primo dopoguerra, con protagonisti un sagrestano dalle mille risorse, un prete poco ortodosso, e una coppia di sprovveduti che vuole sposarsi ma non può. Il prete e il suo sagrestano sono riportati, per ovvi motivi, con nomi di fantasia.
 

Luciano, di soprannome Titone, era uno di quegli italiani che nei primi anni del novecento si era trasferito negli Stati Uniti d'America in cerca di fortuna. Era un giovane di bello aspetto, ma analfabeta e ignorante. Al molo, dove salutò la moglie Francesca, da poco sposata e incinta da qualche mese, promise che appena si sarebbe sistemato l'avrebbe chiamata per farsi raggiungere. A Providence, capitale dello Stato di Rhode Island dove si era stabilito, iniziò a lavorare come lustrascarpe. Alla moglie scriveva che era difficile trovare lavoro e che la vita era dura, per cui doveva accontentarsi di quei pochi soldi che riusciva a spedirle. Col passare di qualche anno non solo i dollari ma anche le lettere cominciarono a scarseggiare, fino a interrompersi del tutto. Francesca, ormai rassegnata all'abbandono del marito, continuò il suo lavoro di lavandaia alle dipendenze di “Santulella”. Titone, che negli oltre quarant'anni trascorsi in America non era assolutamente riuscito a farsi una posizione, raggiunse gli anni della pensione e della vecchiaia carico di acciacchi e di delusioni. La donna, con la quale aveva convissuto in tutti quegli anni e con la quale aveva avuto due figli, decise di lasciarlo e trasferirsi con uno di loro. Luciano si accorse di essere rimasto improvvisamente solo. La misera pensione non gli sarebbe bastata neanche a pagarsi una casa di riposo; qualcuno però gli aveva detto che con la pensione americana in Italia si viveva da gran signore. Si ricordò allora di avere una moglie a Teano e immediatamente le scrisse una lettera annunciando il suo rientro in patria. Vendette in fretta quel poco che aveva e prima che la moglie ricevesse la missiva era già a Teano. Erano i primi anni cinquanta e la città si presentava agli occhi dell'emigrante molto diversa da come l'aveva lasciata. Ovunque, ancora macerie e profonde ferite della guerra. Si recò all'abitazione lasciata alla sua partenza ma dove c'era il fabbricato trovò una piazzetta. Da una signora fu informato del trasferimento della moglie in Largo Teatro Vecchio dove viveva con la figlia vedova e un nipote. Quando finalmente arrivò al nuovo domicilio, la moglie e la figlia, già avvertite da qualcuno, si fecero trovare sull'uscio di casa. Prima che Luciano aprisse bocca, la moglie, con voce forte e lacerante, diede libero sfogo alla sua rabbia, al suo rancore, e l'aggredì con parole di fuoco, sgravandosi del veleno che aveva accumulato in tutti quegli anni. Luciano, a capo chino, dovette andar via senza neanche fiatare e Francesca presa la figlia, che per tutto il tempo era rimasta muta e mummificata, la trascinò per un braccio in casa sbattendo la porta.
Due giorni di pensione bastarono a Titone per fittare un appartamentino nel quartiere medioevale della Viola. Poco distante, in un basso, abitava ”Vicenzina 'a Spappollina“ con la figlia Cecilia, una ragazzina di otto/nove anni. Nel rione Vicenzina era stimata e amata da tutti per la disponibilità che dimostrava verso coloro che avevano bisogno di aiuto, specialmente anziani e disabili. Era stata al servizio di più famiglie e da qualche galantuomo, di una di queste, aveva avuto Cecilia che diversa dalla madre era molto intelligente, spigliata nel parlare e giudiziosa. Vicenzina era una donna sulla cinquantina, con un viso roseo e fresco, sotto il gran volume dei capelli grigi, di media statura, sempliciotta, un po' sorda, sempre sorridente e pronta a ridere per niente. Dal suo sorriso, però, traspariva una dentatura mal ridotta che le recava difficoltà nel parlare, con conseguente balbuzie e conversazione farfugliata. I teanesi, sempre pronti ed attenti ad affibbiare soprannomi, da queste difficoltà trovarono lo spunto per nominarla “Spappollina”. Il colorito sano e naturale del viso e le sue forme, nonostante l'età , facevano supporre che in gioventù fosse stata una bella ragazza. Tra Luciano e Vicenzina scattò il colpo di fulmine. Titone propose alla Spappollina di trasferirsi da lui. Dopo un breve consulto con Cecilia, Vicenzina accettò la proposta ma prima si sarebbero dovuti sposare. La sera stessa si recarono dal parroco don Gaudenzio, un omaccione rude, caparbio e avaro, ignaro di cordialità. Appena i due espressero il loro desiderio si avvicinò a Titone e, con voce baritonale, gli ricordò di essere già sposato intimandogli di ritornare dalla legittima moglie. La Spappollina non riusciva a capire perché il prete li aveva trattati in quel modo. Più e più volte si recarono in parrocchia a rinnovare la richiesta e puntualmente don Gaudenzio li cacciava via in malo modo. Una sera dopo i vespri, da un incontro fortuito con i due, il sagrestano Gaetano, prefigurando un facile e fruttuoso affare, li assicurò che si poteva risolvere il tutto con un matrimonio segreto. Fece credere ai due sprovveduti che il celebrante poteva essere anche uno come lui che, dopo tanti anni trascorsi al servizio della chiesa, aveva imparato bene il mestiere e poteva svolgere molte funzioni in mancanza e in surroga del prete. Il rito si sarebbe officiato di primo mattino, alle cinque, dopo aver assolto al pagamento, nelle sue mani, dei vari diritti: canonici, ecclesiastici, di registrazione, oltre alla mazzetta per il suo impegno. A parte si doveva pagare il consumo dell'acqua santa, delle candele, e per la successiva pulizia del tappeto dell'altare. I due acconsentirono subito, anche se a Titone la spesa sembrò eccessiva. Alle cinque del mattino, come d'accordo, i novelli sposi si recarono in chiesa dove trovarono il sagrestano già con qualche paramento addosso. Gaetano fece entrare i due, chiuse la porta dall'interno, ed iniziò la cerimonia. La chiesa era scura, deserta, illuminata solo dalla fioca luce di quattro candele sull'altare. Da un libro lesse alcune frasi in un latino molto maccheronico, sottolineando più volte che di quella celebrazione, di quel “matrimonio segreto”, nessuno avrebbe mai dovuto parlare. Fece loro un bel bagno di acqua santa, e finalmente pronunciò le fatidiche parole: ”Vi dichiaro marito e moglie”. Titone diede il dovuto pattuito e via a casa. Il segreto durò appena qualche ora perché la Spappollina, che non era nella pelle per la felicità, alla prima donna che incontrò volle manifestarle ”segretamente“ la sua gioia. Ben presto tutto il rione seppe del matrimonio ma nessuno osò dirle che Gaetano li aveva imbrogliati. Intanto la cosa arrivò all'orecchio del prete. Quella notte don Gaudenzio non riuscì a dormire. La mattina presto era già in chiesa ad aspettare Gaetano. In sagrestia non riusciva a star fermo. Camminava avanti e dietro, chiudeva ed apriva cassetti, tirava fuori i registri dallo scaffale rimettendoli subito a loro posto. Ogni movimento era inconsulto. Di tanto in tanto guardava un Crocifisso appeso ad una parete e pensava a quello che aveva combinato il suo sagrestano, che con questo aveva davvero superato ogni limite. Proprio in quel momento entrò Gaetano ma rimase diritto in piedi, vicino alla porta, subito intimidito dallo sguardo feroce del parroco. Don Gaudenzio gli saltò addosso, lo afferrò per la gola quasi a strozzarlo, maledicendolo e promettendogli scomunica e giusto castigo. Senza mai mollare la presa, ingiuriandolo e strapazzandolo sempre di più, continuava a gridare e ad accusarlo di averlo coperto di vergogna e di fango. Poi, lasciandolo, gli scaricò in testa una lunga serie di pugni. Gaetano, libero dalla morsa, alzò le braccia barcollando, come colpito da una scoppiettata, e trascinandosi andò a cadere di peso sul seggiolone della scrivania singhiozzando e gemendo platealmente. Il prete, ancora con sguardo rabbioso, continuava ad urlare e a minacciarlo, mollandogli di tanto intanto qualche calcetto negli stinchi. Finalmente Gaetano, che fino ad allora aveva subito passivamente, con falso sgomento chiese il perché di tutta quella rabbia. : “La Spappollina! La Spappollina! La gente dice che l'hai sposata con Titone”, spiegò con rabbia il prete. La voce implorante di Gaetano, diventò improvvisamente disarmonica ed aspra: “Parucchià è per questo che stamattina siete impazzito. Voi credete a tutto quello che dice la gente? Calunnie don Gaudè! Calunnie. La gente se le inventa tutte per fare del male alle persone buone ed oneste come noi. Le false notizie possono generare disprezzo, paura, odio e anche violenza, come nel vostro caso. Ế importantissimo porre un freno subito a queste maldicenze parucchià. Immaginate che a me la gente dice che quando confessate donna Carmela la confessate abbracciati nell'angolo della sagrestia con la porta chiusa a chiave. E le bizzoche del primo banco dicono che voi sotto la sottana portate i pantaloni da uomo e spesso dimostrate loro di essere più uomo che prete. Non solo, ma la gente dice pure che le perpetue che cambiate continuamente dormono nel letto insieme a voi. Se io avessi creduto a tutto quello che dice la gente avrei già dovuto salire le scale del Vescovado e riferire la trasgressione al voto di castità. Don Gaudè, la gente è cattiva e non bisogna crederla”. A questo punto il prete, colpito, accusando duramente il colpo, improvvisamente cambiò umore e disse a Gaetano che forse aveva ragione e che si sarebbe dovuto indagare più a fondo per accertare la verità, rinviando la questione alla chiusura delle indagini. Gaetano, come se niente fosse successo, riprese serenamente il suo lavoro di sagrestano.

Pasquale Giorgio
(da Il Sidicino - Anno IX 2012 - n. 7 Luglio)